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Jacopo Ciani

Jacopo Ciani

Avvocato del Foro di Milano, Professore a contratto presso ESCP Business School, Dottore di ricerca in diritto industriale, si occupa di proprietà intellettuale, diritto della concorrenza e della comunicazione commerciale ed è appassionato di informatica e nuove tecnologie

18 Maggio 2024

Nullità delle clausole contenute nella fideiussione uniforme allo schema predisposto dall’ABI in violazione della Legge Antitrust

Il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d'Italia - in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi ex artt. 14 e 20 L. n. 287 del 1990, vigenti fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la l. n. 262 del 2005, a far tempo dal 12/01/2016, avente ad oggetto il denunziato contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI e l'art. 2 della l. n. 287 del 1990 ("Legge Antitrust") - ha statuito, applicando tale norma, la violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, con riferimento agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall'associazione bancaria italiana ABI e da alcune associazioni di consumatori avente ad oggetto uno schema di fideiussione omnibus a garanzia delle operazioni bancarie. I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la l. n. 287 del 1990, art. 2, co. 2, lett. a), e art. 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, co. 3, della legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa dichiarata vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia costituisce prova privilegiata solo in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso in relazione al periodo rispetto all’arco temporale interessato dall’indagine svolta dall'autorità di vigilanza, compreso tra il mese di ottobre 2002 e il maggio 2005. Inoltre, gli accertamenti della Banca d'Italia non comportano alcun automatismo che conduca alla nullità delle clausole contenute nella singola fideiussione. Pertanto, l’attore che voglia far valere la nullità della singola fideiussione stipulata potrà avvalersi di tale prova privilegiata nella misura in cui vi sia uniformità tra la fideiussione oggetto di lite e lo schema standardizzato predisposto dall’ABI, oggetto del provvedimento del 2005 di Banca d’Italia. L’onere della prova della nullità della fideiussione grava sull’attore, secondo il principio generale ex art. 2697 c.c. e non può dirsi assolto, se il contratto di cui si controverte è stato stipulato in un periodo successivo rispetto a quello oggetto dell’accertamento effettuato dalla Banca d’Italia – in tal caso, grava sull’attore l’onere di dimostrare l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale a monte – né qualora il medesimo contratto non presenti le tre clausole oggetto della decisione della Banca d’Italia, ovvero: (i) la clausola di reviviscenza, in base alla quale "il fideiussore s’impegna a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo" (art. 2 dello schema ABI); (ii) la clausola di sopravvivenza, a mente della quale "qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate" (art. 8 dello schema ABI); (iii) la clausola di deroga, a mente della quale "i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato" (art. 6 dello schema ABI). [ Continua ]
18 Maggio 2024

Il provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia non riguarda le fideiussioni specifiche

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la l. n. 287 del 1990, art. 2, co. 2, lett. a), e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, co. 3, della legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Ai sensi dell'art. 2697 c.c., grava su parte attrice l'onere di provare l'effettiva sussistenza di un accordo o intesa anticoncorrenziale a cui abbia aderito la banca e, pertanto, la dimostrazione dell'uniformità nella predisposizione delle previsioni contrattuali oggetto di censura da parte degli istituti di credito nel tempo e nel luogo della fideiussione contestata. Compete all'attore che deduca un'intesa restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell'intesa stessa. Ai fini della pronuncia sulla nullità delle clausole della fideiussione, risulta necessaria la prova dell'esistenza di un'intesa anticoncorrenziale tra un ampio “cartello” di istituti di credito nel momento della stipulazione dei contratti di garanzia di cui si predica la nullità parziale. Con provvedimento n. 55 del 02/05/2005, avente ad oggetto il denunziato contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI e l'articolo 2 della L. n. 287 del 1990, la Banca d'Italia - nella sua qualità pro tempore di autorità di vigilanza sulla concorrenza e sul mercato finanziario (oggi deferita all'AGCM) - ha espresso un giudizio negativo in relazione allo schema contrattuale uniforme predisposto dall'associazione bancaria italiana ABI e da alcune associazioni di consumatori avente ad oggetto uno schema di fideiussione omnibus a garanzia delle operazioni bancarie. L’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale nel provvedimento della Banca d’Italia del 2005 è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, assunti dal debitore principale entro un limite massimo predeterminato ai sensi dell’art. 1938 c.c. Il provvedimento della Banca d’Italia evidenzia che la fideiussione omnibus presenta una funzione specifica e diversa da quella della fideiussione civile, volta a garantire una particolare tutela alle specificità del credito bancario in considerazione della rilevanza dell’attività di concessione di finanziamenti in via professionale e sistematica agli operatori. In assenza di provvedimenti di natura sanzionatoria emessi dall’Autorità di vigilanza competente che abbia accertato l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, l’onere probatorio relativo alla contestazione di intesa in relazione all’art. 2 L. 287/90 nel settore delle fideiussioni specifiche non può che ricadere sulla parte che ha formulato detta contestazione, secondo le regole proprie del giudizio civile. [ Continua ]
26 Novembre 2023

Brevetto e funzione probatoria del fumus boni iuris nel procedimento per descrizione

Nel quadro del procedimento per descrizione ex artt. 129 e ss. c.p.i., il fumus boni iuris va apprezzato in via diretta in relazione al diritto processuale alla prova – ritenuta utile o necessaria nel futuro giudizio di merito - e solo in via indiretta in relazione al diritto sostanziale di cui s’invoca tutela. Tale fumus che ha dunque funzione esclusivamente probatoria è sicuramente affievolito rispetto al fumus richiesto per la concessione delle altre misure cautelari, quali il sequestro e l’inibitoria, esaurendosi nella ragionevolezza della richiesta o nella non pretestuosità della domanda. [In tema di brevetto di procedimento, il fumus può ritenersi provato anche se il ricorso per descrizione risulti obiettivamente necessario per accertare il procedimento effettivamente adottato dal presunto contraffattore.]   [ Continua ]
7 Maggio 2023

Risarcimento del danno da violazione della denominazione d’origine/indicazione geografica “Scotch Whisky”

Nell’illecito di concorrenza sleale la colpa dell’autore si presume ex art. 2600 comma 3 c.c. Lo sfruttamento illecito attraverso l’evocazione del Paese che conferisce tutte quelle caratteristiche tipiche al prodotto e il richiamo ai pregi dello stesso viene eseguito per immettere sul mercato prodotti di qualità inferiore, con una riduzione dei costi tramite l’utilizzo di materiali meno pregiati, così danneggiando gravemente l’immagine di successo e il prestigio dei produttori di quel determinato prodotto. L’offuscamento dell’immagine nonché lo svilimento del prodotto originale avranno la logica conseguenza di ridurre le vendite. [Nel caso di specie, va accolta la domanda risarcitoria per il danno all’immagine subito da THE SCOTCH WHISKY ASSOCIATION (SWA) per effetto della promozione, offerta in vendita e vendita da parte della convenuta di prodotti in violazione del Regolamento (CE) 110/2008, degli artt. 29 e 30 c.p.i., dell’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c. e di accordo transattivo sottoscritto tra le parti.]
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14 Novembre 2023

Sequestro giudiziario di quote di una società inclusa in un Trust

La domanda di nullità/annullamento/inefficacia dell’atto di assegnazione delle quote societarie conferite in Trust dal disponente, nonché l’assegnazione di dette quote ai beneficiari sono relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti, materia attribuita alla competenza della sezione imprese secondo il disposto di cui all’art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, come modificato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con l. 24 marzo 2012, n. 27. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, sono attratte nella competenza del tribunale delle imprese anche le domande connesse, relative alla validità degli atti inerenti il Trust. Non può essere riconosciuta soggettività giuridica al trust, che non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità; il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante di un soggetto, ma come soggetto che dispone del diritto. Il sequestro giudiziario pone sul bene un vincolo di indisponibilità finalizzato a preservare l’attribuzione finale del bene di cui sia controversa in causa la proprietà o il possesso, e quindi ha natura del tutto affine a quella delle alienazioni di cui parla l’art. 2470 c.c. Allo stesso tempo il vincolo di indisponibilità derivante dal sequestro può essere considerato affine a quello preordinato all’espropriazione derivante dal pignoramento di cui tratta l’art. 2914, co. 1, n. 1, c.c. Il sequestro giudiziario di quote di s.r.l. rientra tra i fatti di cui è prescritta l’iscrizione. La mancanza di una specifica previsione di legge che testualmente sancisca l’obbligo di iscrizione del sequestro nel registro delle imprese, non esclude la possibilità che tale obbligo sia ricavabile mediante interpretazione sistematica delle disposizioni legislative sul registro delle imprese. La tipicità degli atti soggetti a iscrizione deve essere intesa quale tipicità degli effetti che da tali atti discendono, nel senso che la previsione dell’obbligo di iscrizione di determinati eventi, che incidono su situazioni iscritte, determinandone la modifica o la cessazione, appare espressiva di un principio generale, in virtù del quale devono essere iscritti, pur in assenza di apposita previsione, tutti gli eventi modificativi o estintivi di situazioni iscritte. Così, la previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese del pignoramento delle quote di s.r.l. (espressamente prevista dall’ art. 2471 c.c.) consente di ritenere la sussistenza di un obbligo di iscrizione, nonostante il silenzio della legge, di qualsiasi atto che determini un vincolo di indisponibilità su quote di s.r.l., quale quello derivante da sequestro giudiziario (espressamente ammesso dall’art. 2471 bis c.c., che tuttavia non ne precisa le modalità di attuazione), la cui funzione cautelare, in presenza di contestazione sulla proprietà o il possesso, serve, fra l’altro, a preservare il bene da rischio di alienazione. [ Continua ]
26 Novembre 2023

Conflitto tra segni distintivi: eccezioni in senso stretto e rilevabili d’ufficio

Il comma III dell’art. 138 RMUE, sancendo che il titolare del marchio UE non può opporsi all’esercizio di un diritto anteriore di portata locale, definisce un limite intrinseco ai diritti derivanti dalla registrazione del marchio UE: non riserva al titolare di un diritto anteriore di portata locale il rilievo di tale situazione né prevede che la manifestazione di volontà di tale soggetto sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva, situazioni in cui deve escludersi la rilevabilità d’ufficio.   [ Continua ]
17 Giugno 2022

Responsabilità concorsuale nella violazione di diritti d’autore su forme del design industriale: il caso Moon Boot

Non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l'esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occorre rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell'acquisto di un bene economico dall'altro. In tale prospettiva può darsi rilievo - al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un'opera del design - al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell'appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l'opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto. In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l'opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale (l’applicazione di tali criteri ha determinato il Tribunale a riconoscere nel modelli dei Moon Boots la qualità di opera del design industriale ai sensi del n. 10 del comma 1 dell’art. 2 l.d.a., evidenziando a tale fine tutti gli elementi e le circostanze che testimoniavano già all’epoca la considerazione che tale prodotto e le sue peculiari forme avevano assunto da parte di ambienti culturali ed artistici nonché del mondo del design). La sostanziale identità delle forme non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che i prodotti contestati presentino una colorazione particolare o marchi differenti. In tema di diritto d'autore, l'elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest'ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell'opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un'elaborazione dell'opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d'impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell'impresa, ma la riproduzione illecita di un'opera da parte dell'altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l'opera originaria La fattispecie di plagio di un'opera altrui non è data soltanto dal "plagio semplice o mero plagio" o dalla "contraffazione" dell'opera tutelata, ma anche dal cosiddetto "plagio evolutivo", il quale costituisce un'ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell'originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell'intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un'opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell'abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest'ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.a. (nel caso di specie, ha ritenuto il Collegio che l'uso del glitter sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma). La ripresa pedissequa dei medesimi modelli per i quali era operativo l’impegno di astensione assunto in occasione di previo accordo transattivo consente di individuare la specifica violazione degli impegni medesimi, non aggirabili mediante la mera attribuzione ai modelli da ultimo contestati di un codice identificativo diverso da quelli indicati nell'accordo stesso anche in considerazione degli obblighi di buona fede connaturati all’ambito contrattuale di riferimento. L’obbligo di non contestazione della tutela autorale spettante all'opera dell'ingegno assunto dalle parti contrattualmente è del tutto legittimo, risultando detta rinuncia pertinente a diritti disponibili delle parti. Per dichiarare anche la sussistenza dell’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. a titolo di concorrenza sleale dipendente dalla violazione di diritti di proprietà intellettuale occorre che sussistano spazi di effettiva autonomia rispetto alle condotte di plagio/contraffazione che ne consentono un’autonoma individuazione. Diversamente essa deve ritenersi assorbita. Ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto deve risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fini della consumazione dell’illecito (nel caso di specie - e fatte salve le domande di manleva interne svolte dalle convenute tra loro – sono state ritenute responsabili in concorso tra loro la società gerente il sito e-commerce e le attività di promozione, commercializzazione e logistica afferenti alla vendita dei prodotti in contraffazione; la società produttrice dei prodotti contestati e licenziataria del marchio su di essi apposti; la società licenziante dei marchi stessi e corresponsabile dell’ideazione, scelta ed approvazione dei prodotti contestati; la società venditrice dei prodotti) L’esaurimento del diritto di distribuzione non si verifica ove il primo atto di trasferimento dell’opera originale o di sue copie sia avvenuto senza il consenso del titolare del diritto. Quanto alla sussistenza di un pregiudizio in danno del titolare dell’opera oggetto di plagio/contraffazione, l’esistenza in sé di tale pregiudizio è connessa alla natura assoluta dei diritti spettanti all’autore ed ai suoi aventi causa sul piano delle facoltà di utilizzazione economica di essa. Se è vero che il criterio della reversione degli utili non è stato esteso dal legislatore alla disciplina del diritto d’autore nei termini in cui esso è stato trasfuso nel terzo comma dell’art. 125 c.p.i., tuttavia il secondo comma dell’art. 158 l.d.a. prevede espressamente che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione dei diritti. Tale parametro, fondato sul beneficio tratto dall'attività vietata, nell'apprezzamento delle circostanze del caso concreto assurge infatti ad utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando il danno sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo. Per la natura contrattuale dell’arbitrato irrituale, l’eccezione di compromesso non dà luogo a una questione di competenza bensì di proponibilità della domanda, risultando la relativa eccezione di natura sostanziale, attinente al merito. Anche in esito alla novella del 2006, che ha inserito e disciplinato l’istituto dell’arbitrato irrituale all’interno del codice di rito all’art. 808 ter c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che la clausola di arbitrato irrituale non comporti l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere della domanda, ma soltanto, qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione, l'improponibilità della medesima. [ Continua ]

Contraffazione di brevetto per equivalenti e applicazione del principio del “file history estoppel”

L’ambito di protezione del brevetto non si limita a quanto letteralmente rivendicato, ma abbraccia ciò che riproduce il contenuto essenziale dell’invenzione e quindi comprende anche elementi equivalenti rispetto a quelli rivendicati. Pertanto, per valutare se vi sia contraffazione per equivalenti, va in primo luogo individuato il contenuto essenziale dell’invenzione. Per l’individuazione del contenuto essenziale del brevetto si deve tenere conto delle limitazioni apportate all’originario testo brevettuale a seguito delle procedure di opposizione davanti all’EPO. Allorché l’inventore del brevetto abbia limitato il brevetto, introducendo una caratteristica specifica durante la fase di opposizione, l’esclusione volontaria di tale caratteristica dalla rivendicazione impedisce di recuperare quella soluzione alla tutela brevettuale avvalendosi della dottrina degli equivalenti, altrimenti restando violato l’affidamento dei terzi in buona fede circa la portata oggettiva del brevetto. Infatti, il brevetto deve essere interpretato alla luce della c.d. dottrina dell'estoppel, istituto di common law secondo cui ad una parte in causa è vietato prendere vantaggio da dichiarazioni contraddittorie che abbiano creato aspettative verso altri soggetti ed, in particolare, del principio della "file history estoppel", secondo il quale le ragioni addotte nel corso dell'esame brevettuale, per indicare la validità del brevetto, sono fortemente considerate nel corso di una successiva causa di contraffazione. Nell'interpretare l'estensione della tutela brevettuale il Giudice deve bilanciare l'equa protezione del titolare del brevetto con la tutela dell'affidamento e la certezza dei terzi. In tale indagine il volontario inserimento, nell'ambito del procedimento per il rilascio del brevetto, di caratteristiche volte a delimitare la tutela brevettuale, al fine di assicurarsi il rilascio del brevetto, assume di regola un rilievo del tutto secondario e, comunque, è irrilevante se determinato dalla necessità di superare un'obiezione solo formale in quella sede sollevata, in quanto non attinente ai requisiti di validità sostanziale del brevetto. Per converso, la limitazione acquista rilevanza qualora la caratteristica non sia stata inserita per pura formalità, bensì perché necessaria per superare le anteriorità invalidanti ed indispensabile perché l’ufficio, nella procedura di opposizione, ritenesse sussistere l’originalità rispetto alle anteriorità comprese nello stato della tecnica. Ne consegue che ciò che è stato escluso dalla tutela non può essere recuperato a posteriori attraverso la dottrina degli equivalenti, con conseguente illegittima estensione della protezione brevettuale.
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24 Aprile 2023

Contraffazione del marchio rinomato Eataly e concorrenza sleale confusoria

Con riferimento alla valutazione della notorietà di un marchio la Corte di Giustizia Ue ha affermato che il grado di conoscenza richiesto deve essere considerato raggiunto se il marchio è conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi contraddistinti da detto marchio. Nell’esaminare tale condizione il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti della causa, cioè, in particolare, la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo. In merito al profilo territoriale, non si può esigere che la notorietà esista su “tutto” il territorio dello Stato membro, essendo sufficiente che essa esista in una parte sostanziale di esso. [ Continua ]
17 Giugno 2022

Nullità parziale del negozio fideiussorio perché viziato da clausole negoziate in contesto restrittivo della concorrenza

La produzione in giudizio della documentazione proveniente dalle Autorità Amministrative Indipendenti che hanno svolto approfondita istruttoria antitrust costituisce prova documentale idonea a dimostrare, secondo il paradigma generale di cui all’art. 2697 c.c., l’esistenza del cartello tra imprese. Poiché tale documentazione raccoglie gli esiti di un’esaustiva istruttoria amministrativa, avente carattere definitivo, essa assume valore intrinseco di fonte probatoria privilegiata dell’illecito antitrust (Nel caso di specie, si trattava del provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005 e del provvedimento AGCM n. 14251 del 20 aprile 2005 che hanno accertato la presenza di clausole idonee a restringere la concorrenza, ai sensi dell’art. 2, co. 2, della legge n. 287/90 in seno allo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica O, n. 20 del 17 giugno 1987). Accertato che lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica O, n. 20 del 17 giugno 1987 è stato adottato da tutti gli istituti di credito aderenti con effetti tali da pregiudicare la libera concorrenza degli operatori del settore, l'orientamento secondo il quale la trasposizione delle clausole in esso contenute nei contratti sottoscritti dai consumatori rende nullo l’intero negozio non appare del tutto convincente atteso che esso presume, in assenza peraltro di prova specifica sul punto, che i contraenti – e nello specifico l’istituto di credito – non avrebbero stipulato la fideiussione in assenza delle clausole ritenute oggetto di intesa anticoncorrenziale. Ma tale affermazione, a ben vedere, si traduce in una petizione di principio, senza che sia offerta sul punto una precisa dimostrazione ‘controfattuale’ della situazione di mercato, tale da dimostrare che la banca non avrebbe accettato la garanzia in assenza delle clausole concordate con ABI. Accertato che lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica O, n. 20 del 17 giugno 1987 è stato adottato da tutti gli istituti di credito aderenti con effetti tali da pregiudicare la libera concorrenza degli operatori del settore, tra gli opposti orientamenti giurisprudenziali emersi in riferimento alla questione se la trasposizione nei contratti sottoscritti dai consumatori delle clausole in esso contenute, le renda affette da nullità o, addirittura, renda nullo l’intero negozio, appare maggiormente convincente quello che, soffermandosi sulla natura abusiva dell’intesa e delle relative clausole che da essa sono derivate, trasla l’invalidità del patto anticoncorrenziale alle singole clausole che ne sono il prodotto e non già all’intero negozio, con conseguente accertamento della nullità delle sole clausole oggetto dell’intesa anticoncorrenziale e rigetto della domanda di nullità dell’intero rapporto fideiussorio. Non può essere accolta la domanda di risoluzione del contratto di fideiussione fondata sul presupposto che la banca non avrebbe proposto le proprie istanze nel termine semestrale previsto dall'art. 1957 c.c.. Ed invero, il termine previsto dall’art. 1957 c.c. costituisce ipotesi di decadenza e non già fattispecie risolutoria. Peraltro, la declaratoria di decadenza ha natura di accertamento, mentre la domanda di risoluzione ha natura costitutiva, sicché la riqualificazione della domanda risolutoria in domanda di accertamento dell’intervenuta decadenza, si risolverebbe in violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, stante l’impossibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la decadenza ex art. 2969 c.c.. Il rigetto della domanda di risoluzione lascia impregiudicata la possibilità per la parte chiamata all’adempimento di sollevare tutte le eccezioni che derivano dall’applicazione dell’art. 1957 c.c. e che conseguono alla declaratoria di nullità parziale della clausola contrattuale specificatamente invocata da parte . [ Continua ]