La decisione n. 55/2005 della Banca d’Italia non può costituire prova privilegiata dell’illecito anticoncorrenziale evocato con riferimento a una fideiussione specifica stipulata nel 2018, in quanto, in quella sede, l’Autorità di vigilanza ha accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza limitatamente al settore delle fideiussioni omnibus bancarie e nel solo periodo compreso tra il 2002 e il 2005.
In qualunque causa stand alone è onere della parte che assume la sussistenza di un illecito anticoncorrenziale provarne la esistenza, secondo le regole ordinarie del processo civile.
L’onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale grava sulla parte che ne assume l’esistenza, secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia stato già oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato, potendo in tale caso la parte interessata avvalersi di tale prova privilegiata. [Il caso aveva ad oggetto un'opposizione a un decreto ingiuntivo fondato su una fideiussione omnibus stipulata nel 2008, della quale l'opponente contestava la nullità per violazione della normativa antitrust in quanto il documento contrattuale riproduceva le clausole contenute nello schema ABI censurato da Banca d'Italia con provvedimento n. 55/2005. Secondo il Tribunale, non era stata provata l'esistenza dell'illecito anticoncorrenziale in quanto l’opponente non aveva prodotto né lo schema negoziale elaborato dall’ABI né il provvedimento n. 55/2005 di Banca di Italia. La mancata produzione di quest’ultimo atto, in particolare, non ha consentito di valutare in concreto la fondatezza della domanda. Inoltre, per il Collegio milanese, quel provvedimento, quand’anche prodotto, non avrebbe costiuito comunque prova privilegiata dell’illecito evocato, giacché la decisione dell’autorità di vigilanza ha accertato l’esistenza di un’intesa fino al maggio del 2005. La fideiussione sottoscritta dall’opponente risaliva, invece, al maggio del 2009. Trattandosi, quindi, di causa "stand alone", l'opponente avrebbe dovuto allegare e dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, e segnatamente la perdurante esistenza dell’intesa all’epoca della conclusione del negozio].
Il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia – all’epoca Autorità garante della concorrenza tra Istituti creditizi – concerne esclusivamente le condizioni generali di contratto predisposte dall’ABI con riguardo alle fideiussioni omnibus e ha per oggetto il periodo compreso tra il 2002 e il 2005. [Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto inutilizzabile la decisione della Banca d’Italia come prova privilegiata dell’illecito antitrust con riferimento alla domanda di nullità di un contratto autonomo di garanzia stipulato nel 2018].
In qualunque causa "stand alone" è onere della parte che assume la sussistenza di un illecito anticoncorrenziale provarne la esistenza, secondo le regole ordinarie del processo civile.
Ai sensi della legge n. 130/99 i crediti che formano oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono un vero e proprio “patrimonio separato”, destinato in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti, nonché al pagamento dei costi dell'operazione. Ne consegue che la questione relativa alla nullità del contratto di fideiussione deve essere dibattuta con il soggetto con il quale il contratto che si assume nullo, integralmente o parzialmente, è stato stipulato e non con la cessionaria del credito che dallo stesso deriva.
La nullità dell'intesa a monte determina la nullità derivata del contratto di fideiussione a valle limitatamente alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d'Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8). Agli effetti dell'interpretazione della disposizione contenuta nell'art. 1419 c.c., vige, infatti, la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all'intero contratto quando i contraenti lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto colpito da nullità. La regola dell'art. 1419 c.c., comma 1 esprime il generale favore dell'ordinamento per la "conservazione" degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, essendo viceversa eccezionale l'estensione della nullità, che colpisce la parte o la clausola, all'intero contratto. Il soggetto, che ha interesse a far dichiarare la nullità totale del contratto, è gravato dall’onere di provare l'interdipendenza della clausola nulla con il resto del contratto. Non opera, invece, l'estensione all'intero negozio degli effetti della nullità parziale quando permanga l'utilità del contratto in relazione agli interessi perseguiti.
Un contratto autonomo di garanzia stipulato tra il 2009 e il 2012 si colloca in un periodo successivo di vari anni rispetto a quello (ottobre 2002 – maggio 2005) oggetto dell’istruttoria condotta dalla Banca d’Italia e sfociata nel provvedimento n.55 del 2 maggio 2005. Periodo rispetto al quale nessuna indagine è stata svolta dall’autorità di vigilanza. Inoltre, le garanzie autonome non sono state oggetto di specifica analisi da parte della Banca d’Italia. Per tali ragioni, detti contratti non rientrano nel perimetro degli accertamenti della Banca d’Italia e il valore di prova privilegiata dell'intesa antitrust si affievolisce, sino ad esaurirsi, con riguardo a condotte tenute in epoca sempre più distante da quella oggetto di tale accertamento, risalente al 2005. L'eventuale causa tesa a far valere la nullità di detti contratti per violazione della normativa antitrust va quindi inquadrata fra le cause c.d. “stand alone”, relative a garanzie successive al provvedimento della Banca d’Italia n.55 del 2005 e gli attori sono onerati dell’allegazione e della prova della persistenza e attualità, all’epoca delle garanzie contestate, dell’intesa anticoncorrenziale inerente all’applicazione uniforme e generalizzata delle clausole ABI da parte degli istituti di credito.
L’invalidità del patto anticoncorrenziale “a monte” si trasmette non all’intero negozio “a valle” ma soltanto alle singole clausole che ne rappresentano lo sbocco, in virtù del principio di conservazione degli atti e nei limiti in cui questi ultimi siano rispondenti alla lecita volontà delle parti. L’art. 1419 c.c., del resto, ammette che la nullità di singole clausole contrattuali si estenda all’intero contratto solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto affetta dal vizio.
I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Chi invoca la nullità di una o più clausole contrattuali ha l’onere di allegare la concreta incidenza della pronuncia sulla propria posizione, ossia l’effetto utile che l’attore si ripropone di ottenere dall’accoglimento della domanda formulata. L’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., che costituisce una condizione preliminare di ammissibilità anche delle azioni di mero accertamento, deve essere infatti concreto e attuale, sicché la parte che persegue la tutela di un diritto non può limitarsi alla mera contestazione di fatti, pure se giuridicamente rilevanti, laddove questi non si riflettano sulla posizione giuridica dedotta in giudizio. In quest’ottica, l’azione di mero accertamento, quale è quella di nullità, è proponibile soltanto quando esiste una situazione attuale di obiettiva incertezza che determina l’interesse ad agire per accertare la sussistenza di un diritto già sorto e che possa competere all’attore – o, viceversa, l’insussistenza di un diritto altrui oggetto di vanto –, in modo da evitare il pregiudizio concreto (e non meramente potenziale) che può derivargli dalla descritta incertezza. La legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, non esime infatti l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c., non potendo tale azione essere proposta con lo scopo di perseguire un fine generale di attuazione della legge. Sempre in questa prospettiva, quindi, l’esigenza per l’attore di dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, in base al disposto dell’art. 100 c.p.c., rende l’azione stessa improponibile in mancanza della prova, da parte dell’attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica. [Nel caso di specie, l'attrice lamentava la nullità parziale di un contratto di fideiussione con riferimento alle clausole conformi allo schema ABI censurato da Banca d'Italia con provvedimento n. 55/2005 per violazione della normativa antitrust. L'attrice, tuttavia, non dava evidenza del risultato utile conseguito attraverso un'eventuale pronuncia di nullità].
Tutte le volte in cui venga dedotta la nullità di una fideiussione, in quanto contratta “a valle” di un’intesa restrittiva della concorrenza (come avviene nel caso relativo alle norme bancarie uniformi in materia di fideiussioni omnibus), la controversia va deferita alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa.
Le decisioni n. 3/1994 e n. 55/2005 della Banca d’Italia non possono costituire prova privilegiata dell’illecito anticoncorrenziale in una causa avente ad oggetto la nullità di un contratto autonomo di garanzia per violazione della normativa antitrust, in quanto, in quella sede, l’Autorità di vigilanza ha accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza limitatamente al settore delle fideiussioni omnibus bancarie nel solo periodo compreso tra il 2002 e il 2005 e, in relazione al primo provvedimento, sino al dicembre 1994. Come in qualunque causa stand alone, è, pertanto, onere della parte, che assume la sussistenza di un illecito anticoncorrenziale, provarne la esistenza, secondo le regole ordinarie del processo civile.
L’accertamento, ad opera della Banca d’Italia, dell’illiceità di alcune clausole delle Norme Bancarie Uniformi trasfuse nella modulistica contrattuale predisposta in attuazione di un'intesa anticoncorrenziale non esclude che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. c.c. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 c.c., laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite.
I contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287/1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Pertanto, la nullità non può propagarsi all’intero contratto qualora permanga una sua utilità in relazione agli interessi perseguiti.
Quando il fideiussore è tenuto al pagamento a prima o a semplice richiesta, o comunque entro un tempo convenzionalmente determinato, il rispetto dell’art. 1957 c.c. da parte del creditore garantito deve ritenersi soddisfatto con la stessa richiesta rivolta al fideiussore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, con la conseguenza che, una volta tempestivamente effettuata la richiesta di pagamento al fideiussore il creditore non è più tenuto ad agire giudizialmente contro il debitore. Infatti, in una pattuizione contrattuale in cui la garanzia si stabilisce a prima richiesta e, nel contempo, si prevede l’applicazione del primo comma dell’art. 1957 c.c., il criterio di esegesi di cui all’art 1363 c.c. impone di leggere il rinvio a detta norma, tanto più se espresso, con un riferimento al termine di cui ad essa e non ad altro dei suoi contenuti, nel senso che il termine debba osservarsi con una mera richiesta stragiudiziale e non con l’inizio dell’azione giurisdizionale, secondo la tradizionale esegesi della norma. Diversamente interpretando, vi sarebbe contraddizione tra le due clausole contrattuali, non potendosi considerare “a prima richiesta” l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio. Del resto, una volta che il fideiussore tenuto al pagamento a prima o a semplice richiesta sia invitato dal creditore a provvedervi per affermato inadempimento del debitore principale, per un verso è obbligato a farlo secondo il meccanismo proprio del solve et repete, in quanto solo dopo l’avvenuto pagamento può eventualmente agire in ripetizione verso il creditore facendo valere tutti i diritti che competono al debitore nel rapporto principale; e, per altro verso, è reso immediatamente edotto dell'inadempimento del debitore. Al contrario, se non paga, non solo si rende inadempiente, ma si pone anche volontariamente nella condizione di non potersi immediatamente surrogare ex art. 1949 c.c., dopo aver pagato, nei diritti che il creditore aveva contro il debitore, così dando luogo ad una situazione nella quale risulta fortemente incisa la ragione sopra delineata della tutela assicurata al fideiussore dall’art.1957 c.c.
Una fideiussione specifica stipulata nel 2011 non rientra nel perimetro dell’accertamento del provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, in veste di autorità della concorrenza, sia per l’oggetto che per l’ambito temporale. Infatti, quanto all’ambito temporale, la fideiussione è stata sottoscritta sei anni dopo la conclusione del procedimento culminato nel provvedimento in questione. Quanto alla garanzia, il provvedimento n. 55/2005 ha riguardato le sole fideiussioni omnibus, prendendo in esame, ai fini dell’accertamento della violazione antitrust, esclusivamente i moduli contrattuali concernenti garanzie omnibus e quindi garanzie che mirano a garantire qualunque obbligazione presente e futura e non esclusivamente un’obbligazione specificamente determinata. In altre parole, chi ha sottoscritto una fideiussione specifica nel 2011 non può giovarsi dell’accertamento della Banca d’Italia, che ha riguardato esclusivamente lo schema contrattuale elaborato dall’ABI per le fideiussioni omnibus senza investire il settore delle fideiussioni rilasciate a garanzia di obbligazioni derivanti da specifiche operazioni bancarie. Pertanto, un'eventuale controversia non segue ad un provvedimento dell’autorità che ha accertato la sussistenza della violazione antitrust (e specificamente l’esistenza all’epoca delle fideiussioni specifiche per cui è causa di un’intesa anticoncorrenziale “a monte” fra istituti di credito per l’applicazione uniforme alle fideiussioni specifiche - o ordinarie - delle clausole 2, 6 e 8 dello schema A.B.I.) e, pertanto, la sua qualificazione come “stand alone” determina che la prova degli elementi costitutivi incomba sull’attore.
La decisione della Banca d'Italia n. 55 del 2005 non è utilizzabile come prova privilegiata con riferimento a garanzie che siano qualificate come contratti autonomi di garanzia, ponendosi al di fuori del perimetro oggettivo dell'accertamento effettuato dall'Autorità.
Il contratto autonomo di garanzia si caratterizza rispetto alla fideiussione, per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo. L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale; tuttavia, in presenza di elementi che conducano, comunque, a una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l’assenza di formule come quella anzidetta non è elemento decisivo in senso contrario
L’onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale grava sulla parte che ne assume l’esistenza, secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia stato già oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato, potendo in tale caso la parte interessata avvalersi di tale prova privilegiata. [Nel caso di specie gli attori agivano in giudizio per far accertare la nullità di fideiussioni specifiche lamentandone la conformità allo schema ABI censurato da Banca d'Italia con provvedimento n. 55/2005 per violazione della normativa antitrust. Il giudice ha rigettato le pretese attoree in quanto il provvedimento in questione non era stato prodotto in giudizio e, inoltre, le fideiussioni controverse erano specifiche e sottoscritte nel 2008, quindi estranee al perimetro dell'accertamento compiuto da Banca d'Italia, che riguardava fideiussioni omnibus stipulate fino al 2005. Trattandosi quindi di una causa stand alone gli attori avrebbero dovuto provare il perdurare dell’esistenza dell’intesa anticoncorrenziale].
L’autorità del giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte valere nel giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono, tuttavia, precedenti logici, essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito). Detto principio concerne in particolare le ragioni non dedotte che si presentino come un antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, nel senso che deve ritenersi preclusa alle parti stesse la proposizione, in altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato. Pertanto, il decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, che abbia ad oggetto la condanna al pagamento di prestazioni fondate su un contratto a monte, preclude all’intimato la possibilità di invocare, in un diverso giudizio, la nullità del contratto o di specifiche sue clausole, atteso che il giudicato, coprendo il dedotto ed il deducibile, si estende anche all’insussistenza di cause di invalidità (c.d. giudicato per implicazione discendente), ancorché diverse da quelle fatte valere nel processo definito con sentenza irrevocabile. [Nel caso di specie, gli attori agivano in giudizio per far valere la nullità di una fideiussione omnibus lamentandone la conformità allo schema ABI censurato da Banca d'Italia per violazione della normativa antitrust con provvedimento n. 55/2005. Il Tribunale ha dichiarato inammissibili le domande attoree in ragione del passaggio in giudicato della sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo fondato sulla stessa fideiussione rilasciata dagli attori].