Nell’ambito di un contratto di cessione quote di S.r.l., laddove l’attore opponente, nel caso in cui il convenuto opposto abbia posto a fondamento del decreto ingiuntivo un riconoscimento di debito sottoscritto dall’attore stesso, onde ottenere la dichiarazione di nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, deve fornire delle prove, com’è suo onore ai sensi dell’art. 1988 c.c., in ordine alla sopravvenuta estinzione, parziale o totale del debito o alla sua originaria inesistenza.
In via generale, il creditore pignoratizio, in caso di inadempimento, può soddisfare la sua pretesa con due modalità differenti: può promuovere l’esecuzione forzata ordinaria, ovvero può in alternativa procedere all’esecuzione privata prevista dall’art. 2797 c.c. che costituisce una forma di autotutela esecutiva a carattere negoziale. La vendita del bene gravato da pegno viene attivata sulla base della sola iniziativa del creditore pignoratizio, anche se sprovvisto di titolo esecutivo, e deve essere preceduta da un’intimazione a pagare il debito e gli accessori, con l’avvertimento che, in difetto, si procederà alla vendita della cosa data in pegno, ovvero nel caso di specie delle quote societarie; si tratta di intimazione avente funzione analoga al precetto e va rivolta al debitore o al terzo proprietario della cosa costituita in pegno.
Il creditore può procedere alla vendita una volta che siano decorsi cinque giorni dalla notifica dell’intimazione, sempre che il debitore non abbia adempiuto o non sia stata proposta opposizione nel termine concesso.
La vendita viene eseguita dai soggetti indicati nell’art. 83 disp. att. c.c. e secondo le modalità di cui all’art. 1516 c.c., oppure nei modi indicati nell’atto costitutivo di pegno.
L’art. 2798 c.c. consente al creditore pignoratizio di chiedere in ogni momento l’assegnazione della cosa data in pegno, in alternativa alla vendita. L’assegnazione avviene necessariamente sotto il controllo giudiziale ed è disposta dal giudice competente a decidere sulle opposizioni (così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2332 del 09.08.1973).
L’intervento giurisdizionale trova giustificazione nell’esigenza del creditore di ottenere l’assegnazione del bene pignorato senza incorrere nel divieto del patto commissorio ai sensi dell’art. 2744 c.c.
La richiesta di assegnazione ex art. 2798 c.c. avanzata in via anticipatoria, nel corso del giudizio di opposizione ex art. 2797, comma 2, c.c., diretta a preservare il valore delle quote oggetto di pegno, può essere accolta unicamente qualora sia dimostrata congiuntamente la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
Qualunque socio, indipendentemente dall’entità della sua partecipazione, è legittimato - secondo quanto stabilito nell’art. 2492 co. 3 c.c. - all’impugnazione del bilancio finale di liquidazione nei novanta giorni successivi all’iscrizione dell’avvenuto deposito. La mancata proposizione del reclamo, decorsi novanta giorni dalla data dell’iscrizione, vale quale approvazione tacita del bilancio finale di liquidazione. Tuttavia, al di là della procedura legale tipica di approvazione del bilancio finale di liquidazione contenuta nell’art. 2493 co. 1 c.c., è data ai soci la possibilità di approvare lo stesso espressamente prima del decorso del termine. Ove intervenga l’approvazione espressa, a maggioranza dei soci, del bilancio finale di liquidazione e l’autorizzazione all’immediata cancellazione della società dal registro delle imprese, il diritto del singolo di reclamare il bilancio finale è neutralizzato. Una volta avvenuta [come nella specie] la cancellazione della società alle condizioni di legge, questa non può più esser revocata e la persona giuridica è definitivamente estinta, in quanto, il sistema delineato dagli artt. 2492 / 2495 c.c. è speciale rispetto alla regola generale di cui all’art. 1421 c.c.
Nel caso di contitolarità di una quota di partecipazione indivisa, ai sensi dell’art. 2468 ult.co. c.c. il diritto a proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione è del rappresentante comune risultante dalla pubblicità commerciale, in quanto, l’efficacia nei confronti della società a responsabilità limitata delle vicende circolatorie - e quindi degli assetti proprietari - delle quote, dipende, per espresso disposto di legge, dalle iscrizioni nel registro delle imprese. Non può essere riconosciuta un’autonoma legittimazione al singolo contitolare, diverso dal rappresentante comune, ad impugnare il bilancio finale di liquidazione; tantomeno, contro la volontà approvativa espressa dal rappresentante comune della quota. Eventuali abusi o inadempimenti del rappresentante comune alle indicazioni eventualmente ricevute dai contitolari rappresentati, possono trovare sanzione azionando in giudizio la sua responsabilità ex mandato.
La delibera di distribuzione degli utili fa sorgere in capo al socio (ancora) proprietario delle quote - in base al mero dato formale dell’iscrizione al registro delle imprese - il diritto individuale alla corresponsione dei dividendi, anche
nel caso in cui si sia nel frattempo perfezionato un negozio traslativo delle quote medesime ma in assenza del deposito dell’atto e dell’iscrizione.
La delibera con la quale l’assemblea dei soci vota la distribuzione degli utili può incidere sull’an e sul quantum, ma non può stabilire peculiari modalità di distribuzione o ripartizione tra i soci stessi che non siano previste nell’atto costitutivo o, in mancanza, che deroghino al principio c.d. di proporzionalità. Tantomeno, ai sensi dell'art. 2478-bis, co. 3, c.c., l’assemblea può disporre la distribuzione degli utili per una parte delle quote di titolarità di alcuni soci e l’accantonamento per altra parte di titolarità di altri e diversi soci, in quanto tale decisione lederebbe ingiustificatamente e iniquamente il diritto individuale di questi ultimi alla corresponsione degli utili.
La richiesta di revoca del decreto ingiuntivo ex art. 345 c.p.c. non contenuta nelle conclusioni rassegnate in primo grado configura una domanda nuova in sede di appello e non può essere nemmeno desunta in via implicita se in primo grado non è mai stata contestata la debenza di una somma di denaro.
Dopo la soppressione del libro soci (vedi art. 16, commi da 12 quater a 12-undecies, d.l. 29.11.2008 n. 185 conv. in legge 29.1.2009 n. 2), deve ritenersi condizione per la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali l’iscrizione dell’acquisto della quota nel registro delle imprese nella cui circoscrizione ha sede la società. Altro indirizzo, più aderente al dato normativo dell’art. 2470 c.c., assume invece come condizione necessaria per l’esercizio dei diritti sociali (non l’iscrizione ma) il deposito a registro delle imprese, per l’iscrizione, dell’atto recante il trasferimento o l’acquisto a causa di morte della quota, con decorrenza degli effetti dal momento del deposito. Vedi il primo comma dell’art. 2470: “il trasferimento ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al successivo comma”. La disposizione riguarda il trasferimento della quota per atto inter vivos, ma deve estendersi per condiviso indirizzo e in linea con il canone di completezza delle risultanze pubblicitarie a ogni altro atto di acquisto di diritti su quote, diverso da un trasferimento.
È tuttavia decisiva, per l’interpretazione restrittiva dell’art. 2470 primo comma, la considerazione che la pubblicità dei trasferimenti di quote di S.r.l. riveste carattere imperativo, di ordine pubblico economico, avendo la funzione di rendere conoscibili e in qualche misura più trasparenti gli assetti societari del più diffuso tipo di società di capitali, evitando l’opacità che connotava l’iscrizione a libro soci come strumento di legittimazione del socio nei confronti della società. Su questa premessa, il deposito per l’iscrizione (o l’iscrizione) non può essere surrogato dalla conoscenza de facto che la società abbia avuto dell’intervenuto acquisto della quota.
Il convenuto contro cui sia prodotta in giudizio una scrittura privata di risoluzione consensuale dell’atto di acquisto di quote di S.r.l. ha l’onere di effettuarne il disconoscimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 214 c.p.c., dovendo in caso contrario intendersi tale scrittura riconosciuta ex art. 215 c.p.c., anche laddove il convenuto abbia chiesto di accertare, in via incidentale, l’inesistenza di tale scrittura in sede arbitrale.
Se dal preliminare di cessione di una quota societaria si evince inequivocabilmente la comune intenzione dei contraenti di stipulare un contratto di compravendita (con tanto di determinazione del prezzo) e non di donazione, si deve far riferimento al criterio del senso letterale delle parole. Infatti, in tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.
Anche nell’ambito della rappresentanza societaria, la spendita del nome del rappresentato deve essere espressa, dovendosi portare a conoscenza del terzo, in maniera esplicita ed univoca che il contratto è stipulato non solo nell’interesse ma anche in nome del rappresentato. (altro…)
Deve ritenersi che l’interposizione fittizia di persona rientra tra i casi di simulazione relativa e che la cosiddetta <controdichiarazione> costituisce un atto di riconoscimento o di accertamento scritto che, non avendo carattere negoziale e non facendo parte del procedimento simulatorio come elemento essenziale, può non essere coeva all'atto simulato e può altresì provenire dalla sola parte contro il cui interesse è redatta e che voglia manifestare il riconoscimento della simulazione.
In materia di simulazione, i limiti all'ammissibilità della prova per presunzioni semplici stabiliti dall'art. 1417 cod. civ. (e, più in generale, dagli artt. 2721 e 2722 cod. civ.) sono diretti alla tutela esclusiva degli interessi privati e non della legge, derivando dal concreto atteggiarsi dei rapporti tra le parti e dalla loro possibilità di procurarsi la prova della simulazione attraverso le cosiddette controdichiarazioni contenenti l'intesa simulatoria. Conseguentemente, detti limiti sono sottratti al rilievo d'ufficio da parte del giudice.
L'art. 1186 cod. civ. faculta il creditore ad esigere immediatamente la prestazione se il debitore: a) è divenuto insolvente, b) ha diminuito per fatto proprio le garanzie che aveva dato; c) non ha dato le garanzie che aveva promesso. Si tratta di una normativa che intende tutelare: il creditore contro il pericolo di perdere le garanzie patrimoniali del proprio debitore, e il debitore, contro una ingiustificata richiesta di anticipazione dell'adempimento, dato che fuori dei casi previsti, il creditore non può invocare la decadenza del termine. Di qui due essenziali considerazioni: a) dato che la finalità perseguita dalla norma di cui all'art. 1186 cod. civ. è quella di tutelare il creditore contro il pericolo di perdere le garanzie patrimoniali del proprio debitore, lo stato di insolvenza cui si fa riferimento non può che essere costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, e la quale rende verosimile l'impossibilità da parte di quest'ultimo di far fronte ai propri impegni. Ciò significa che l'insolvenza ivi prevista non postula necessariamente un collasso economico, ma, solo l'impotenza, reale ed oggettiva, a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Non deve neppure rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, come previsto in materia di fallimento, ma può conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore.
La mancata opposizione al decreto ingiuntivo, cui deve logicamente assimilarsi l'opposizione proposta e rinunciata, ha efficacia di giudicato c.d. esterno e preclude, pertanto, ogni futura impugnazione negoziale avente a oggetto il contratto posto a fondamento della pretesa oggetto del decreto stesso. Infatti, il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione (cosi come all'opposizione proposta e rinunciata) copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito e il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedente al ricorso per ingiunzione non dedotti con l'opposizione (in quanto non proposta ovvero proposta e rinunciata).
Il socio di S.r.l., la cui quota sia oggetto di procedura esecutiva mobiliare avviata dall’amministratore della predetta S.r.l. in quanto titolare di un diritto di pegno su tale partecipazione, deve ritenersi legittimato a presentare ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. al fine di ottenere l’accesso a tutta la documentazione della società, in quanto il diritto di controllo afferente alla quota costituisce diritto amministrativo come tale estraneo alla sfera delle forme di disposizione della partecipazione stessa e, dunque, non è coinvolto nel vincolo instaurato mediante il pignoramento; non vi è ragione, infatti, per ritenere che, per effetto del pignoramento di una quota, al socio debitore esecutato sia precluso l’esercizio dei peculiari diritti di controllo riconosciuti dall’art. 2476 cod. civ., e del potere di azione di cui al comma 3 della norma citata, essendo tali diritti e azioni strumentali all’esigenza di preservare l’integrità del patrimonio sociale. Del resto, ciò appare coerente con la funzione e gli effetti sostanziali del pignoramento, che – assoggettando i beni pignorati al soddisfacimento del diritto di credito – pone un vincolo di indisponibilità sugli stessi, che tuttavia non priva il debitore – o il terzo assoggettato all’esecuzione del diritto di godere dei beni pignorati, limitandone solo la disponibilità.
Si ritiene inoltre rilevante, per quanto riguarda l’integrazione del presupposto del periculum in mora, l’ingiustificato procrastinarsi, da parte della società resistente, della concreta ed effettiva possibilità per il socio ricorrente di accedere alla documentazione sociale, poiché tale ritardo lede il diritto di controllo del socio sull’amministrazione della società e l’esercizio dei poteri connessi sia all’interno della società stessa che mediante eventuali iniziative giudiziarie.