Ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria è sufficiente l’esistenza di una semplice ragione o aspettativa di credito posto che, questo tipo di azione, non persegue fini restitutori. Ciò risulta essere coerente con l’intenzione del legislatore – sottesa all’art. 2901 c.c. – di ampliare e rafforzare la tutela del creditore che trova compimento nell’estendere la tutela conservativa ai titolari di crediti non attuali.
L’azione revocatoria presuppone sia il compimento di un atto pregiudizievole del debitore (eventus damni), ossia, l’atto di disposizione del debitore è finalizzato a rendere più difficile la soddisfazione coattiva del credito sia la consapevolezza, da parte del disponente, di tale carattere lesivo e, in caso di atti a titolo oneroso, anche da parte del terzo (partecipatio fraudis).
Nel caso in cui l’atto di disposizione del patrimonio risulti essere precedente al sorgere del credito è necessario – ai fini dell’accoglimento della domanda – che l’atto di disposizione sia stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie e che il terzo sia parimenti consapevole del pregiudizio arrecato a tali ragioni.
(Nel caso di specie, tali presupposti sussistono entrambi, poiché, con l’atto di cessione delle quote sociali, il disponente si privava della partecipazione sociale rappresentante l’unico bene residuo del suo patrimonio ed il terzo risultava essere a conoscenza del carattere pregiudizievole della cessione a titolo oneroso in virtù sia del rapporto di parentela che lo lega al cedente sia del rapporto di convivenza).
Non integra violazione del divieto di patto commissorio la procura irrevocabile a vendere [nel caso di specie, tra le altre cose, una quota di s.r.l.] conferita ad un soggetto, in assenza di prova del nesso funzionale con un preesistente contratto di mutuo o di altra obbligazione restitutoria tra le parti.
La cessione delle partecipazioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 cod. civ., la risoluzione per difetto di "qualità" della cosa venduta, solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
Qualora alla cessione delle partecipazioni sociali siano collegati dei patti autonomi di garanzia, aventi ad oggetto le passività del patrimonio sociale (c.d. business warranties), questi patti non attengono all’oggetto immediato del negozio, consistente nell’acquisizione della partecipazione sociale, ma al suo oggetto mediato, riconducibile alla quota del patrimonio sociale che essa rappresenta, e costituiscono un’autonoma regolamentazione di garanzia, sicché, in caso di inadempimento, deve riconoscersi all’acquirente il diritto a conseguire un indennizzo, e non la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni a causa del difetto di qualità della cosa venduta, secondo la disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c..
Nell’ambito di un regolamento negoziale afferente ad un’operazione di investimento e finanziamento dell’attività di una s.r.l., la presenza di “patti aggiunti” coevi all’atto notarile di cessione delle quote sociali può stabilire che il prezzo della cessione dell’intero capitale sociale sia comprensivo dei debiti della società verso gli istituti bancari, da estinguere mediante accollo del debito, e con versamento ai soci cedenti della sola eventuale differenza risultante all’esito del pagamento dei debiti sociali. Nel caso, la richiesta di pagamento di una delle rate del prezzo di cessione delle quote sociali si inserisce nell’ambito di un’operazione complessa, più articolata di una mera compravendita di quote sociali, essenzialmente finalizzata, attraverso la dismissione di partecipazioni sociali, alla liberazione della società dai debiti e contestualmente alla liberazione dei suoi soci garanti e fondata sul pilastro della prioritaria destinazione del prezzo – pattuito per la cessione – all’estinzione dei debiti sociali, nonché basata sulla natura essenzialmente residuale del diritto dei soci al versamento in loro favore del prezzo della cessione.
Una volta che un soggetto si obblighi a pagare una determinata somma in favore di altro soggetto in forza di contratto, il debitore, al fine di paralizzare anche in via preventiva la propria obbligazione di pagamento, non può limitarsi a richiedere un mero accertamento negativo ma deve necessariamente allegare e dimostrare la sussistenza degli specifici strumenti offerti dall’ordinamento giuridico per impedire al creditore di richiedere il pagamento (come ad esempio l’eccezione 1460 c.c., l’eccezione di annullamento, nullità ecc.). Ciò posto, nell'ambito di un contratto di cessione di quote sociali, il sopravvenuto fallimento (rectius: liquidazione giudiziale) della società target non è un fatto di per sé idoneo a giustificare un legittimo rifiuto di pagamento del prezzo, salvo che vengano dimostrati ulteriori fatti imputabili al venditore che comportino un vizio o un inadempimento da parte sua.
Secondo lo schema negoziale del contratto di compravendita con riservato dominio, ad essere sospensivamente condizionato è il solo effetto traslativo del diritto di proprietà, non anche l’effetto obbligatorio di pagamento del prezzo; resta inteso che l’effetto traslativo, pur rinviato nel tempo e subordinato all’integrale pagamento del prezzo, è già vincolante tra le parti, al punto che con la conclusione del contratto il venditore è obbligato alla consegna del bene al compratore, il quale dal momento della consegna assume su di sé i rischi relativi al bene acquistato. Ne deriva che il pagamento del corrispettivo non è un elemento accidentale del contratto, bensì attiene al sinallagma negoziale, impingendo la causa di scambio della compravendita con riservato dominio.
Il regime speciale in materia di vendita con riservato dominio ex art. 1525 c.c., secondo cui, nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del prezzo non dà luogo alla risoluzione del contratto ed il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive, è norma eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica; l’art. 1525 c.c. presenta uno spazio applicativo limitato all’inadempimento singolo (i.e. “una rata”) sotto-soglia (i.e. “non superi l’ottava parte del prezzo”). Pertanto, in caso di inadempimento plurimo - anche se complessivamente sotto-soglia - la conservazione del termine a favore del debitore va stabilita secondo le regole generali ex art. 1186 c.c..
In tema di compravendita delle azioni di una società che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429, n. 2, cod. civ., relativo all'errore essenziale, essendo la determinazione del prezzo delle azioni rimessa alla libera volontà delle parti.
Le clausole di indennizzo e manleva, spesso inserite nei contratti di cessione di partecipazioni sociali a tutela dell’esatto adempimento, possono avere natura indennitaria-risarcitoria, volta a tenere indenne l’acquirente da una certa passività, o natura di aggiustamento del prezzo, finalizzata a riequilibrare il sinallagma contrattuale tra le parti. E ciò, in ogni caso, neutralizzando gli effetti pregiudizievoli dell’evento incerto. In altre parole, tali clausole hanno funzione di assicurare al compratore la passata “buona gestione” della società target e l’insussistenza di passività ulteriori rispetto a quelle già contabilizzate. Il fine indennitario è spesso garantito convenzionalmente mediante la fissazione di un termine entro il quale azionare la garanzia nonché un termine decadenziale entro il quale formulare contestazioni.
L’eventuale responsabilità del commercialista, in quanto incaricato della redazione del bilancio della società, ha solamente natura contrattuale ed attiene al rapporto di mandato inerente la gestione della contabilità tra il professionista e la società rispetto al quale i soci sono terzi. In ogni caso, è esclusa ogni responsabilità di natura extracontrattuale per una condotta a monte (la redazione del bilancio) che - in violazione dei principi contabili - a valle avrebbe cagionato un danno all'acquirente delle partecipazione, soggetto terzo rispetto all’incarico professionale, giacché l’eventuale non corretta tenuta dei bilanci è imputabile, in primo luogo, ad amministratori ed all’organo di controllo.
Se e nella misura in cui la pattuizione finalizzata a ulteriori accordi preliminari non si possa già identificare in un contratto preliminare vero e proprio contenente tutti gli elementi essenziali della futura pattuizione, ciò non implichi necessariamente la ricorrenza di una mera puntuazione non giuridicamente rilevante, ben potendo, invece, le parti avere inteso già vincolarsi su alcuni profili su cui l’accordo è già stato irrevocabilmente raggiunto, ferma la necessità di concordare, secondo buona fede, ulteriori punti essenziali della realizzanda vicenda negoziale traslativa; ove ciò accada (come affermato in tema di c.d. “preliminare di preliminare”), la violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un'obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell'art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico, ben potendosi ritenere quale vincolo obbligatorio valido ed efficace, sempreché rispondente a un interesse meritevole di tutela tra le parti, quello idoneo soltanto a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare finale: ciò in quanto, a ben vedere, con la propria pattuizione, le parti hanno inteso concordemente pervenire a una contrattualizzazione dell’obbligo di cui all’art. 1337 c.c. di condurre le trattative precontrattuali secondo buona fede, così sanzionando la relativa violazione, già di per sé disciplinata dall’ordinamento alla luce della figura della responsabilità precontrattuale, mediante le regole (maggiormente tutelanti per il danneggiato in punto di riparto dell’onere della prova) della responsabilità contrattuale
In caso di simulazione relativa di un contratto per il quale sia prescritta la forma scritta ad substantiam [nel caso di specie, un contratto di cessione di quote di s.r.l.], la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un negozio diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all'ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche l'ostacolo, più rigoroso, derivante dal disposto dell'art. 1414 c.c., comma 2, e art. 2725 c.c., norme in base alle quali il contratto dissimulato ha efficacia tra le parti purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma: di talché, ove si tratti di contratto per il quale la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità, è necessaria la produzione di una controdichiarazione contestuale alla stipula del contratto. Pertanto, laddove sia la parte a dedurre la simulazione del contratto, la prova della simulazione non soltanto non può essere data per testimoni e mediante il ricorso alle presunzioni (ai sensi del combinato disposto degli artt. 1417 e 2729, comma 2, c.c.) ma, ove finalizzata a fare valere la validità di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, richiede la produzione in giudizio della controdichiarazione.
In caso di simulazione relativa di un contratto per il quale sia prescritta la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un negozio diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all'ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche l'ostacolo, più rigoroso, derivante dal disposto dell'art. 1414 c.c., comma 2, e art. 2725 c.c., norme in base alle quali il contratto dissimulato ha efficacia tra le parti purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma: di talché, ove si tratti di contratto per il quale la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità, è necessaria la produzione di una controdichiarazione contestuale alla stipula del contratto. Pertanto, laddove sia la parte a dedurre la simulazione del contratto, la prova della simulazione non soltanto non può essere data per testimoni e mediante il ricorso alle presunzioni (ai sensi del combinato disposto degli artt. 1417 e 2729, comma 2, c.c.), ma, ove finalizzata a fare valere la validità di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta, richiede la produzione in giudizio della controdichiarazione. È inammissibile la richiesta di provare per testimoni la simulazione del contratto, stante il divieto imposto dall’art. 1417 c.c..
Non coglie nel segno l’assunto secondo cui, nel caso di cessione di plurime quote, si sarebbe al cospetto di distinti contratti di cessione e, di conseguenza, ciascuno dei cessionari sarebbe terzo rispetto alla cessione operata a favore degli altri. Questa tesi contrasta con il dato testuale dell’art. 1417 c.c. e trascura una pluralità di elementi sintomatici dell’unicità del rapporto contrattuale. Tra questi assume rilevanza, la circostanza che il contratto sia stato concluso contestualmente dai cessionari e sia contenuto in un unico documento che vede contrapposte due parti contrattuali. Ulteriore conferma dell’erroneità dell’assunto discusso si trova nell’indagine sulla causa del contratto di cessione, laddove le parti abbiano voluto conseguire un intento economico unitario [nel caso di specie, l’intento di non alterare la composizione delle quote e l’equilibrio assunto a seguito dell’atto di donazione]
Nell’ambito dei contratti di acquisizione di partecipazioni sociali, le clausole di price adjustments, ossia le clausole che prevedono che il corrispettivo della cessione possa essere adeguato per far fronte alla minore consistenza patrimoniale societaria, attengono alla determinazione della misura dell’obbligazione a carico dell'acquirente e assolvono alla loro funzione di tutela di quest'ultimo intervenendo ex ante, mediante l’adeguamento della prestazione ancora da adempiere.
Tali clausole, quindi, differiscono dalle clausole di indemnity, le quali hanno – al contrario – ad oggetto l’assunzione volontaria di un’ulteriore obbligazione autonoma in capo al venditore, consistente nella dazione all'acquirente di un indennizzo al ricorrere di prederminate circostanze.
Le clausole di price adjustment non sono soggette al termine ordinario decennale di prescrizione (come le clausole di indemnity) ma, per la loro natura e il loro modo di operare, sono soggette alla disciplina dell’art. 1495 c.c. A tal riguardo, l'azione del compratore contro il venditore per far valere la garanzia a norma dell'articolo 1495 c.c. si prescrive, alla stregua del comma 3 di tale disposizione, in ogni caso nel termine di un anno dalla consegna del bene compravenduto e ciò anche se i vizi non siano stati scoperti o non siano stati tempestivamente denunciati o la denuncia non fosse neppure necessaria. Posto che ai sensi dell’art. 2935 c.c. la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, nel caso di cessione di partecipazioni sociali tale data coincide con la data dell'atto definitivo di cessione delle quote e dalla relativa iscrizione nel registro delle imprese.