In tema di prova dell’adempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
L’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., accertamento che va effettuato con riguardo esclusivo alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed all’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento.
In merito ai criteri alla stregua dei quali valutare la gravità dell’inadempimento, occorre tener conto in primo luogo di un parametro oggettivo, dovendosi verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità.
L’interesse richiesto dall’art. 1455 c.c., non può che consistere nell’interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita e deve presumersi (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.) vulnerato tutte le volte che l’inadempimento sia stato di rilevante entità, ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie.
La valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione si fonda su un criterio oggettivo che impone di accertare l’obiettiva entità dell’inadempimento con riferimento alla natura accessoria o principale dell’obbligazione inattuata o all’entità del ritardo e su un criterio soggettivo che impone di considerare l’interesse che l’altra parte si era prefissa di realizzare così come cristallizzato nell’accordo contrattuale, dovendo il giudice verificare, tenuto conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive indicative della possibile alterazione dell’equilibrio contrattuale, se la parte inadempiente con la sua condotta, nel cui ambito rientra anche l’inosservanza di un termine non essenziale, abbia compromesso l’interesse dell’altra parte al raggiungimento dello scopo negoziale originariamente programmato. Fondamentale, quindi, nella valutazione della gravità anche solo del ritardo nell’esecuzione della prestazione principale è la considerazione della natura e delle finalità dell’accordo, dovendo la gravità dell’inadempimento essere commisurata non all’entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell'altra parte all’esatta e tempestiva prestazione [nel caso di specie, il Tribunale, sulla scorta di tali principi, ha accolto la domanda di risoluzione per inadempimento di un complesso accordo di investimento, ritenendo di non scarsa importanza l'inadempimento dato dal ritardo nella stipulazione dell’atto notarile di closing].
In caso di riqualificazione fiscale di un'operazione negoziale, l’imposta di registro è a carico dell’acquirente, salvo diversa pattuizione contrattuale esplicita, in applicazione del principio generale di cui all’art. 1475 c.c. La parte obbligata a sostenere un onere derivante dal contratto non può sottrarsi all’adempimento opponendo il pagamento effettuato da un coobbligato, se tale pagamento è stato effettuato per evitare ulteriori aggravi e con espressa riserva di regresso.
La mancata impugnazione effettiva di un avviso di liquidazione dell’imposta da parte del soggetto obbligato può determinare la definitività dell’accertamento e l’impossibilità di contestare successivamente la natura fiscale dell’operazione.
L'accordo che prevede il riconoscimento di un beneficio economico a favore di un ex socio, in caso di cessione di quote societarie, è vincolante e non richiede ulteriori pattuizioni per la sua esecuzione, qualora sia già stabilita la percentuale del beneficio da corrispondere. Tale clausola mira a compensare il contributo apportato dall'ex socio alla crescita del valore aziendale e non può essere svuotata di significato attraverso un'interpretazione contraria alla lettera dell'accordo, all'intenzione delle parti e al principio di buona fede. La successiva transazione generale tra le parti non estingue questo specifico obbligo, se non espressamente menzionato.
La cessione di azioni o quote delle società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo indirettamente il compendio dei beni di cui la società è proprietaria. Di conseguenza, le garanzie ex art. 1492 e 1497 c.c. non operano relativamente alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale, a meno che il cedente la partecipazione abbia fornito specifiche garanzie contrattuali al riguardo, ovvero abbia agito con dolo.
In caso di contratto di cessione di partecipazioni, l’obbligo risarcitorio che l’art. 1440 c.c. pone in capo al contraente in mala fede, suppone che questi abbia posto in essere artifici o raggiri nei confronti della controparte, anche nella forma della menzogna o della semplice reticenza qualificata sulle qualità della partecipazione ceduta, tali che senza di essi il contratto sarebbe stato ugualmente concluso, ma a condizioni diverse da quelle pattuite. In merito al profilo probatorio, in tema di dolus incidens (art. 1440 cod.), l'attore, una volta provata l'esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell'an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli.
Dunque, l’azione risarcitoria ex art. 1440 c.c. presuppone una responsabilità di natura precontrattuale che impone all’attore di provare la “condotta illecita” posta in essere dall’altro contraente ovvero l’esistenza di un raggiro o di “una reticenza qualificata” su un elemento non trascurabile del contratto e, nella specifica ipotesi di cessione di partecipazioni sociali, “sulle qualità della partecipazione ceduta”.
La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di "qualità" della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
L'oggetto immediato della vendita di azioni è la partecipazione sociale e si estende alla consistenza o al valore del patrimonio solo per effetto di specifiche pattuizioni, frutto di autonomia contrattuale, sia perché è indiscutibile, sul piano giuridico, la alterità oggettiva tra la partecipazione oggetto di contratto ed il patrimonio della società, che appartiene ad altro soggetto giuridico e sul quale il socio non vanta diritti – sorgendo i suoi diritti non solo amministrativi ma anche patrimoniali rispetto alla società come soggetto giuridico altro da sé -, sia perché, sul piano economico, le parti del contratto di cessione ben possono tutelare i propri interessi inserendo apposite clausole di dichiarazioni e garanzie eventualmente anche ad effetto risolutivo, sia perché la prassi degli affari ha ormai da tempo individuato acconce clausole capaci di tutelare pienamente il cessionario, sia perché diverse impostazioni ermeneutiche finiscono inevitabilmente per aprire spazi di incertezza applicativa particolarmente disfunzionali in questa delicata materia.
In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento
Il pagamento delle obbligazioni per somma di denaro adempiute al domicilio del debitore, ove effettuabile in banca, si perfeziona solo allorché la rimessa entri materialmente nella disponibilità dell’avente diritto e non anche quando (e per il solo fatto che) il debitore abbia inoltrato alla propria banca l’ordine di bonifico e questa abbia dichiarato di avervi dato corso, dovendo soggiungersi che tale disposizione – ove non immediatamente eseguibile – è revocabile o anche suscettibile di storno ove non andata a buon fine. Il pagamento postula il trasferimento, concretantesi in una traditio anche se non necessariamente materiale, della somma dovuta dalla sfera patrimoniale del solvens a quella dello accipiens e quindi il conseguimento effettivo da parte di quest’ultimo della disponibilità della somma, effetto che non può ritenersi conseguito, neppure in via presuntiva, con il mero ordine di bonifico ove non risulti che le somme siano state sicuramente incamerate.
In tema di responsabilità precontrattuale, non sussiste alcuna responsabilità delle parti quando le trattative per la conclusione di un accordo di collaborazione commerciale non si sono concretizzate in un contratto definitivo, in assenza di prove tangibili circa la mala fede o il dolo di una delle parti nel recedere dalle trattative stesse. La mera esistenza di bozze contrattuali non sottoscritte e di incontri tra le parti per discutere i termini dell'accordo non è sufficiente a dimostrare il raggiungimento di un'intesa vincolante o la sussistenza di un obbligo a contrarre. Inoltre, non può essere accolta la domanda di trasferimento di quote societarie basata su un presunto accordo non formalizzato, in mancanza di elementi probatori che dimostrino un nesso di corrispettività tra la mancata conclusione dell'accordo di collaborazione e l'esclusione di una parte dalla compagine sociale di una nuova società.
Nella vendita di partecipazioni la disciplina giuridica della vendita si applica all'oggetto immediato e cioè alla partecipazione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un'espressa clausola di garanzia, frutto dell'autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore della partecipazione alle qualità del patrimonio sociale.
La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di qualità della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
La cessione delle partecipazioni sociali è un atto di disposizione patrimoniale che ha per oggetto immediato la partecipazione sociale – che esprime l’insieme dei diritti patrimoniali ed amministrativi che qualificano, secondo la tipica disciplina legale, lo status di socio – e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Da ciò discende che la differente consistenza dei beni patrimoniali della società non incide sull’oggetto del contratto, o sulla qualità della partecipazione, e la sopravvenienza di passività o la minusvalenza di cespiti attivi, per effetto dei quali il valore del patrimonio sociale risulti diminuito, non possono costituire di per sé soli un vizio rilevante ai sensi degli artt. 1490 ss. c.c. Resta salva l’ipotesi in cui il venditore abbia fornito all’acquirente delle specifiche garanzie contrattuali: in questo caso, tuttavia, l’azione di risoluzione e/o di riduzione del prezzo non rinviene il suo fondamento direttamente nella normativa legale in materia di garanzia per vizi prevista dagli artt. 1490 ss. c.c., ma esclusivamente nella clausola negoziale con cui è stata prestata la c.d. garanzia convenzionale.
L’art. 1304, co. 1, c.c. prevede che la transazione conclusa dal creditore con uno dei condebitori solidali non produce effetto nei confronti degli altri, a meno che questi non dichiarino di volerne profittare. Tale norma si riferisce alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del condebitore solidale con cui è stipulata, giacché è la comunanza dell’oggetto della transazione stessa a consentire che gli altri condebitori solidali, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione, possano dichiarare di volerne profittare, in deroga al principio per cui il contratto produce effetti soltanto tra le parti (art. 1372 c.c.). Per converso, laddove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto non già l’intero debito ma solo ed esclusivamente la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto soltanto se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
L’azione di arricchimento non può essere proposta laddove l’attore disponga di una diversa azione fondata sul contratto, sulla legge o su clausole generali e questa sia stata rigettata per prescrizione o per decadenza oppure per mancanza di prova del pregiudizio subito o infine per nullità del contratto derivante da contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.