Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa del medesimo ufficio giudiziario non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell'ufficio giudiziario.
Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa del medesimo ufficio giudiziario non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell'ufficio giudiziario.
Con riferimento alle impugnazioni per nullità di deliberazioni antecedenti già proposte, sussiste la perpetuatio legitimationis, in capo a chi abbia impugnato la deliberazione che determina l’estinzione del rapporto sociale, quantomeno nei suoi confronti, prima che la stessa sia efficace in quanto, essendo l’interesse ad impugnare per nullità dipendente dall’esito della successiva impugnazione, detto interesse resta presente fino all’eventuale rigetto di questa. Viceversa, per le deliberazioni antecedenti all'estinzione del rapporto sociale ma non impugnate o per le successive, l’efficacia delle delibere estintive del rapporto sociale, anche se invalide, comporta che l’interesse ad impugnare deve essere valutato rispetto a colui nei confronti dei quali è stato estinto il rapporto sociale alla stregua dell'interesse del terzo e, dunque, potrà essere ritenuto attuale e concreto solo quando l'impugnante sia titolare di una situazione giuridica qualificata da una correlazione con gli effetti della deliberazione impugnata. L'interesse deve quindi essere legato agli effetti che la delibera viziata ha prodotto o può produrre nella sfera giuridica dell’impugnante, non essendo sufficiente un generico interesse all’eliminazione delle invalidità o, più specificamente, al corretto svolgimento dell’attività sociale, ovvero al conseguimento di vantaggi da parte di altri terzi per effetto dell’eliminazione della delibera (es.: i soci stessi). In questi casi, tuttavia, la sospensione degli effetti della deliberazione estintiva del rapporto sociale avrà effetto di supporto alla legittimazione all’impugnazione per nullità delle deliberazioni in questione, dovendo essere valutata considerando l’impugnante ancora socio.
La legittimazione del terzo a impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio d'esercizio non può discendere da un generico interesse ad ottenere una corretta, trasparente e veritiera esposizione delle poste in bilancio, bensì deve essere correlata all'allegazione di elementi che dimostrino il pregiudizio nella propria sfera giuridica discendente dalla declaratoria dell’invalidità del bilancio in questione.
L'art 2358 c.c., nella misura in cui vieta la stipulazione di determinate operazioni di assistenza finanziaria a tutela del preminente interesse alla tutela dell'integrità e dell'effettività del patrimonio netto nonchè di quello dei creditori, può considerarsi come norma imperativa. Tale carattere è rimasto anche dopo le modifiche che, nel 2008, hanno indotto alcune deroghe al divieto, dovendo ritenersi che, quando il collocamento di azioni avvenga, contro il divieto, nel mancato rispetto di modalità e limiti previsti dalla legge, la sanzione sia quella della nullità in quanto solo il rispetto di tali requisiti e limiti permette di superare il divieto.
La disciplina dell'art. 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative: tale disposizione supera, infatti, il vaglio di compatibilità di cui all'art. 2519 c.c..
L'art. 2358 c.c. può ritenersi applicabile anche alle banche popolari costituite in forma di società cooperativa in ragione dell'abrogazione dell'art. 9, d.lgs. n. 105/1948 e del disposto dell'art. 150-bis TUB.
L’arbitrato costituisce un rimedio alternativo alla risoluzione delle controversie, che presuppone in primo luogo la volontà delle parti di accedervi attraverso un patto compromissorio che definisce, tra i vari elementi, anche il tipo di arbitrato cui le parti intendono accedere, che può essere rituale o irrituale. Con il primo, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’articolo 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale. Con l’arbitrato irrituale, esse intendono invece affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione – appunto – della loro volontà
Se è vero, per un principio a carattere generale che la clausola compromissoria inerente al contratto cui accede in funzione integrativa o complementare, si trasferisce anch’essa all’acquirente dell’azienda, essendo lo strumento per realizzare, con effetto per tutte le parti, l’osservanza dell’accordo sostanziale cui essa clausola inerisce , è pur vero che tale trasferimento può ipotizzarsi con riferimento alle clausole compromissorie che prevedono un arbitrato rituale; mentre deve negarsi tale trasferimento quando la clausola compromissoria preveda un arbitrato irrituale.
Il socio di minoranza di società fallita che abbia dedotto in giudizio le condotte illecite di una società holding di fatto riconducibile al socio di maggioranza, è legittimato ad agire in giudizio ai sensi dell’art. 2497, co. 1, c.c. in quanto la legittimazione esclusiva del curatore fallimentare è prevista solo per la diversa azione dei creditori.
L’accoglimento dell’azione ex art. 2497 cc presuppone l’accertamento della pluralità di requisiti: (i) la sussistenza di una holding di fatto; (ii) l’esercizio, da parte di tale ente di attività di direzione e coordinamento sulla controllata; (iii) l’accertamento che le condotte denunciate costituiscano espressione di tale attività di direzione e coordinamento e siano state poste in essere in violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale e in perseguimento dio un interesse proprio dell’ente o di soggetti terzi; (iv) l’esistenza e la quantificazione di un danno alla redditività o al valore della partecipazione sociale del socio attore, eziologicamente riconducibile a tali condotte.
La holding di fatto di tipo personale, che può assumere anche la veste di una società di persone di fatto, composta dunque da due o più persone fisiche, esiste per il sol fatto di esser stata costituita tra i soci col fine della direzione unitaria delle società commerciali figlie, vale a dire per l’effettivo esercizio dell’attività di direzione e controllo esplicitamente considerata dagli artt. 2497 e seg. cod. civ., per essere stati i soci animati dall’intento di far operare le singole società eterodirette "come strumenti strategici per un interesse sovradimensionato", corrispondente all’interesse della Holding. L’Holding di tipo personale (che abbia assunto la veste di società di fatto), agisce dunque in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico da ottenersi attraverso l'attività svolta, professionalmente, con l'organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi del proprio gruppo d'imprese. Deve trattarsi, cioè, di una stabile organizzazione volta a determinare l'indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società (non limitandosi al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio). In quest'ottica, le società coordinate devono risultare destinate a realizzare un medesimo scopo economico non corrispondente con quello proprio ed autonomo di ciascuna di queste esse, né coincidente con un mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle medesime. Non occorre, per converso, che l'attività di direzione risulti idonea a far conseguire al gruppo vantaggi economici diversi ed ulteriori rispetto a quelli realizzabili in mancanza dell'opera di coordinamento, né che le attività di servizi realizzate dall'holder disvelino un'economicità autonoma rispetto a quella propria delle attività svolte dalle società controllate.
Le caratteristiche qualificanti l’attività di eterodirezione (che non trova una espressa definizione legislativa) non possono desumersi dalla mera gestione di diverse imprese societarie o dalla titolarità di diverse partecipazioni sociali, essendo comunque necessaria, per la realizzazione della fattispecie, la sistematicità di condotte di direzione e coordinamento. Il concetto di direzione e coordinamento costituisce, infatti, un quid pluris rispetto al concetto di controllo societario ex art. 2359 cc e non si esaurisce in esso, essendo espressione di un potere di ingerenza più intenso, consistente nel flusso costante di istruzioni impartite dalla società controllante e trasposte all’interno delle decisioni assunte dagli organi della controllata, aventi ad oggetto momenti significativi della vita della società etero diretta. Segnatamente, l’attività di direzione consiste nell’esercizio di una pluralità sistematica e costante atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa ossia sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. Vi deve essere, quindi, una pluralità di atti in un contesto di sistematico e duraturo coordinamento gestionale ove il coordinamento enfatizza la pluralità degli interessi dei diversi soggetti giuridici considerati.
Una delibera assembleare di carattere meramente "consultivo", anche ove esprima parere negativo all'operazione gestoria proposta dagli amministratori, non inibisce il potere di questi ultimi di porla in essere [il Tribunale, pertanto, nel caso di specie, ha respinto la richiesta di sospensione cautelare della delibera assemblea consultiva, asseritamente invalida, in quanto è carente l'interesse ad agire degli amministratori, i quali, come detto, conservano il potere di porre in essere l'atto gestorio in esame].
L’ordinanza di revoca dell’amministratore e nomina dell’amministratore giudiziario adottata nell’ambito di un procedimento ex art. 2409 c.c. non è soggetta a revoca in via generale ai sensi dell’art. 742 c.p.c., ma può essere rimessa in discussione solo in presenza di fatti oggettivamente sopravvenuti. Il provvedimento giudiziale incide non solo sugli interessi dei soci, ma anche su quelli dei terzi e del mercato, rendendone inammissibile un riesame continuo.
La pluralità delle irregolarità gestorie non costituisce presupposto indefettibile dell’intervento ex art. 2409 c.c., essendo sufficiente che l’illecito gestorio, anche unico, sia connotato da gravità e continuità [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto idoneo ad integrare i presupposti del provvedimento ex art. 2409 c.c. il fatto gestorio consistente nella redazione e conduzione ad approvazione di progetto di bilancio non vero, nonché nell'inerzia rispetto agli adempimenti di legge conseguenti alla perdita che la corretta redazione di bilancio farebbe emergere, in quanto fatto avente carattere di illecito continuativo].
La pendenza di giudizi di impugnazione dei bilanci non incide sulla residualità del rimedio ex art. 2409 c.c., posto che i due strumenti hanno finalità distinte: l’impugnazione del bilancio mira a garantire la correttezza della rappresentazione contabile, mentre l’intervento del Tribunale è volto a sanzionare e correggere condotte gestionali anomale e potenzialmente lesive per la società.
Ove la società risulti inattiva e senza organo amministrativo per oltre 10 anni, trovandosi in una situazione di stallo, senza alcun interesse del socio titolare del 99% del capitale sociale alla prosecuzione dell'attività sociale, spetta al Tribunale l'accertamento dello scioglimento della società a responsabilità limitata ai sensi dell'art. 2484 n. 3 c.c. e la nomina dei liquidatori [nel caso di specie, il socio titolare del 99% del capitale sociale era lo Stato, quale erede del socio defunto ex art. 586 c.c.].
Al sindaco in regime di prorogatio non spetta alcun compenso per l’attività svolta durante tale periodo. Ciò, innanzitutto, per via delle difficoltà che vi possono essere nel dare provare della attività effettivamente svolta dal singolo nel periodo successivo alla scadenza del suo mandato e fino alla nomina del nuovo sindaco. A sostegno, inoltre, vi sono ragioni di coerenza del sistema, il quale, ex art. 2400, comma 1, c.c., prevede un fisiologico e limitato periodo di prorogatio dopo lo svolgimento dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio. Pertanto, la remunerazione dell’attività svolta dall’organo di controllo dopo la scadenza del suo mandato deve considerarsi - nei casi di prorogatio limitata ad un periodo naturale e contenuto - già compresa nella previsione relativa al compenso annuale fissato ab origine dall’assemblea dei soci in sede di nomina.
Nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica del conferente procura alla lite in nome di società, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell'art. 157 cod. proc. civ., facendo così carico alla parte istante d'integrare con la prima replica la lacunosità dell'atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell'autore della firma illeggibile; ove difetti, sia inadeguata o sia tardiva detta integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell'atto cui accede.
Non sussistono i requisiti per configurare profili di responsabilità ex art. 2395 c.c. nei confronti degli amministratori della società committente nel caso in cui tale azione venga promossa dal subappaltatore che assuma di avere subito un danno per la mancata verifica dei requisiti di capacità economica e finanziaria ex art. 84, comma 1, del D.Lgs n. 50/2016 da parte della committente che abbia affidato un appalto, sulla base di una procedura ad evidenza pubblica, ad un’impresa successivamente ammessa ad una procedura concorsuale (circostanza da cui sia conseguito il mancato pagamento del credito vantato dal subappaltatore). In tale ipotesi, infatti, difetta il nesso di causalità tra i profili di negligenza imputati agli amministratori e il danno di cui il subappaltatore richiede il risarcimento; il nesso di causalità è, infatti, esclusivamente riconducibile al subappaltatore il quale, prima di stipulare il contratto con l’appaltatore, avrebbe dovuto autonomamente accertarsi della solidità patrimoniale di quest’ultimo e, se del caso, chiedere allo stesso idonee garanzie.