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Tribunale di Milano, 14 Febbraio 2024, n. 1796/2024
Riproduzione di modellini Ferrari e requisiti del carattere creativo e del valore artistico dell’opera del disegno industriale
Il potere di riduzione della clausola penale a equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., è funzionale alla tutela dell’equilibrio contrattuale, fatto – questo – che, essendo di interesse generale,...

Il potere di riduzione della clausola penale a equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., è funzionale alla tutela dell’equilibrio contrattuale, fatto – questo – che, essendo di interesse generale, legittima l’esercizio della potestà anche d’ufficio, ferma la necessità di previo assolvimento di oneri di allegazione e prova incombenti sulla parte circa le circostanze rilevanti per la valutazione della eccessività. Il criterio per esercitare il potere di riduzione non è mai, però, la valutazione del danno che sia stato accertato o risarcito, quanto piuttosto l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento della prestazione specifica cui ha diritto. Al di fuori del caso di manifesta eccessività della penale rispetto all’interesse che il creditore aveva all’adempimento della prestazione (e non rispetto al danno arrecatogli dall’altrui inadempimento), un esercizio disinvolto del potere di riduzione da parte del giudice finirebbe, infatti, per creare un incentivo economico all’inadempimento, privando la penale della sua capacità di stimolare le parti al rispetto degli impegni assunti in ambito negoziale e di prevenire il contenzioso, con ricadute positive in termini di diminuzione delle cause civili e di semplificazione del processo.

In tema di segni distintivi, qualora sia registrato un marchio per autoveicoli dotato di rinomanza, l’apposizione da parte di un terzo che realizza modellini di autovetture, senza autorizzazione del titolare del marchio, di un segno identico a tale marchio sulle miniature di tali prodotti, al fine di riprodurre fedelmente gli stessi, non è scriminata dall’art. 21, co. 1, lett. b) c.p.i, poiché il segno utilizzato non è un segno distintivo dei modellini, ma un elemento ornamentale degli stessi, spettando, dunque, al giudice di merito accertare in concreto, e in base ad una valutazione fattuale, se l’uso del marchio altrui, effettuato in funzione non distintiva, rechi comunque pregiudizio alle altre funzioni (pubblicitaria ed evocativa). Esclusa l’applicazione della esimente, l’uso del marchio altrui unitamente al proprio è ammesso nei limiti in cui le modalità concrete di tale uso non inducano il mercato in confusione circa la provenienza del bene [nel caso di specie, l’apposizione ben visibile del marchio CMC prima del nome del modello Ferrari riprodotto in scala è stato ritenuto tale da escludere – con riferimento al consumatore medio e, a maggior ragione, al pubblico di collezionisti a cui CMC si rivolge – qualsiasi rischio di confusione circa la provenienza del modellino pubblicizzato e commercializzato da CMC con il proprio marchio di produttore di autovetture in miniatura].

Quando la forma (intesa come pregio estetico) del prodotto concorre con altri elementi (le caratteristiche tecniche ed economiche) nella scelta del consumatore, essa diviene elemento importante che conferisce “valore sostanziale” al prodotto ai sensi dell’art. 9 c.p.i. La nozione di forma (o altra caratteristica) che dà un “valore sostanziale” al prodotto è riferita alla forma che conferisca un valore di mercato al prodotto, un fattore attrattivo aggiuntivo, in grado comunque di influenzare “in larga misura” le scelte d’acquisto del consumatore, ma non necessariamente e soltanto in maniera prevalente.

La nozione di opera del disegno industriale, prevista dall’art. 2, n. 10 l.d.a., richiede la compresenza dei requisiti del carattere creativo e del valore artistico. A tal riguardo, il carattere creativo non implica novità assoluta dell’opera di design, ma è espressione e manifestazione dell’idea dell’autore, mente la valutazione del valore artistico va effettuata caso per caso, facendo leva su indicatori di natura oggettiva, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali, ad esempio, il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali e istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità, ovvero la creazione da parte di un noto artista. Inoltre, le opere del disegno industriale, anche se in origine concepite come oggetti destinati ad una riproduzione seriale, possono acquisire in seguito un valore artistico che supera la sua originaria valenza meramente tecnica e funzionale, attraverso il riconoscimento collettivo da parte del mercato e degli ambienti artistici [nel caso di specie, sono stati ritenuti sussistenti i requisiti per il riconoscimento della tutela del diritto d’autore, come opere del disegno industriale, soltanto per due modelli di autovetture Ferrari e, segnatamente, per la Ferrari 250 GTO e per la Ferrari Testarossa].

La nozione di opera del disegno industriale, che richiede la compresenza dei requisiti del carattere creativo e del valore artistico, si differenzia dalla nozione di “opera” di cui alla direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione del diritto d’autore, così come interpretata dalla giurisprudenza europea, che pone, invece, l’accento sul requisito del carattere creativo o dell’originalità ed implica l’esistenza di un oggetto originale, nel senso che l’oggetto deve rappresentare una creazione del suo autore in quanto ne riflette la personalità, manifestando scelte libere, originali e creative. La tutela dei disegni e dei modelli, da una parte, e la tutela garantita dal diritto d’autore, dall’altra, perseguono, infatti, obiettivi fondamentalmente diversi e sono assoggettate a regimi distinti, sicché se un design può essere considerato quale opera dell’ingegno, allora esso potrà godere della tutela autorale, non essendo necessario, ai sensi della legislazione europea, che ricorra l’ulteriore requisito costituito dall’effetto visivo da loro prodotto e rilevante da un punto di vista estetico.

Tribunale di Milano, 27 Settembre 2024
Intensità della tutela del marchio debole registrato
È debole il marchio caratterizzato da elementi che presentino aderenza concettuale alla natura dell’attività svolta dal suo titolare. La debolezza di un marchio non incide sull’attitudine alla registrazione, ma soltanto...

È debole il marchio caratterizzato da elementi che presentino aderenza concettuale alla natura dell’attività svolta dal suo titolare.

La debolezza di un marchio non incide sull’attitudine alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, atteso che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modifiche o aggiunte. In presenza di un marchio debole registrato, l’inserimento di piccole varianti o di ulteriori componenti all’interno di un altro segno in comparazione vale dunque a scongiurare o attenuare significativamente il pericolo di confusione e di indebita associazione tra di essi.

Tribunale di Bologna, 9 Agosto 2023
Utilizzo di marchio altrui su pezzi di ricambio e art. 241 cpi
L’attività del ricambista produttore indipendente che sul prodotto apponga il marchio della casa produttrice non può ritenersi lecita e scriminata ai sensi dell’art. 241 CPI, atteso che tale norma, pur...

L’attività del ricambista produttore indipendente che sul prodotto apponga il marchio della casa produttrice non può ritenersi lecita e scriminata ai sensi dell'art. 241 CPI, atteso che tale norma, pur avendo una finalità di liberalizzazione del mercato dei componenti del prodotto complesso, lascia impregiudicata la tutela dei marchi della casa di produzione del prodotto complesso.

L'uso del marchio da parte di un terzo che non ne è il titolare è necessario per indicare la destinazione di un prodotto messo in commercio da tale terzo quando tale uso costituisce in pratica il solo mezzo per fornire al pubblico un’informazione comprensibile e completa su tale destinazione al fine di preservare il sistema di concorrenza non falsato sul mercato di tale prodotto. L’uso del marchio non è legittimo quando: a) avviene in modo tale da poter dare l'impressione che esista un legame commerciale fra il terzo e il titolare del marchio, b) compromette il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà, c) causa denigrazione o discredito al marchio, d) il terzo presenta il suo prodotto come imitazione o contraffazione del prodotto recante il marchio di cui non è il titolare.

[nel caso di specie la Corte ritiene che l’apposizione del marchio sul copricerchio di un'autovettura non si giustifica ex art. 21 CPI perché allo scopo indicativo della destinazione un uso siffatto del marchio è perfettamente sostituibile con l’apposizione di idonea indicazione sulla confezione laddove invece il permanere del marchio sul prodotto dopo il montaggio sull’automobile, cioè dopo il raggiungimento della destinazione del prodotto, è di per sé dimostrativo della finalità altra del siffatto uso, in agganciamento alla notorietà del marchio con indebito vantaggio del terzo utilizzatore].

Tribunale di Bologna, 11 Dicembre 2019
Accertamento della contraffazione e sussistenza dei requisiti per la tutela di un segno come marchio di fatto
La genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, pur protratto ed esclusivo, del segno, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia...

La genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, pur protratto ed esclusivo, del segno, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. Pertanto, l’intensità dell’uso del segno e, conseguentemente, la sua notorietà rappresentano le condizioni primarie e necessarie ai fini del suo riconoscimento e della sua tutela industrialistica come marchio di fatto. L’uso del marchio, per conferirgli la necessaria notorietà, deve essere, quindi, intenzionale e continuo, non precario né sperimentale, occasionale o casuale, e deve assicurare la conoscenza effettiva e diffusa del prodotto contraddistinto.

Tribunale di Milano, 22 Dicembre 2021
Limiti all’inserimento nel marchio di un patronimico identico al marchio celebre di un terzo
L’inserimento, nel marchio, di un patronimico coincidente con il nome della persona che in precedenza l’abbia incluso in un marchio registrato, divenuto celebre, e poi l’abbia ceduto a terzi, non...

L'inserimento, nel marchio, di un patronimico coincidente con il nome della persona che in precedenza l'abbia incluso in un marchio registrato, divenuto celebre, e poi l'abbia ceduto a terzi, non è conforme alla correttezza professionale se non sia giustificato, in una ambito strettamente delimitato, dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all'attività, ai prodotti o ai servizi offerti dalla persona che ha certo il diritto di svolgere una propria attività economica ed intellettuale o creativa ma senza trasformare la stessa in un'attività parallela a quella per la quale il marchio anteriore sia non solo stato registrato ma abbia anche svolto una rilevante sua funzione distintiva.

Corte d'appello di Milano, 28 Maggio 2019
Assenza di apposita clausola di sell-off: l’uso del marchio fuori dal periodo di durata della licenza è ammissibile solo per un periodo congruo al fine di bilanciare gli interessi delle parti
Il venire meno del titolo contrattuale che autorizza l’utilizzo dei segni distintivi fa venire meno il consenso all’utilizzazione dei detti segni distintivi. Purtuttavia, successivamente alla scadenza del contratto di licenza,...

Il venire meno del titolo contrattuale che autorizza l’utilizzo dei segni distintivi fa venire meno il consenso all’utilizzazione dei detti segni distintivi. Purtuttavia, successivamente alla scadenza del contratto di licenza, si può pattuire un termine per la lecita commercializzazione delle scorte o, in caso di mancata previsione, può giustificarsi -in base al canone di buona fede, che sempre deve presiedere i rapporti contrattuali- un circoscritto termine finalizzato allo smaltimento delle scorte. Nel contemperamento degli opposti interessi del titolare del segno e dell’ex licenziatario, in mancanza di un’espressa previsione, il periodo temporale di commercializzazione, successivo alla scadenza del contratto di licenza, deve essere limitato secondo criteri di equità, tenendo conto, da un lato, della natura di diritto assoluto della privativa e, dall’altro, della legittima aspettativa dell’ex licenziatario in buona fede allo smaltimento di giacenze prodotte nel periodo di vigenza del contratto. Tale periodo va circoscritto, tenendo presente gli elementi e le peculiarità del caso di specie e, in particolare, valutando la durata dei rapporti contrattuali e le quantità di prodotti oggetto della produzione. In base agli usi, quando non sia prevista dalle parti una espressa clausola di sell off, si ritiene congruo, per il lecito smaltimento di giacenze, un arco temporale individuabile tra i tre e i sei mesi. La liceità dell’uso del segno è circoscritta alla finalità dello smaltimento delle giacenze e, quindi, non può scriminare condotte volte a promuovere nuovi prodotti, come la promozione e la pubblicizzazione di nuovi modelli, attraverso nuovi cataloghi relativi ad anni successivi alla cessazione della licenza. Tale condotta consentirebbe surrettiziamente l’uso dei segni distintivi altrui, in palese violazione dei diritti assoluti di privativa, per un periodo di tempo indefinito e di gran lunga superiore a quelli riconducibili alla legittima aspettativa dell’ex licenziatario.[Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto incongruo un periodo di due anni successivi alla cessazione del contratto di licenza, ai fini del lecito smaltimento delle giacenze. Esso è infatti eccessivo rispetto agli usi, nonché valutando in concreto la durata biennale del contratto di licenza, addirittura uguagliato, se non superato, dal periodo successivo di utilizzazione non autorizzato dei segni distintivi].

 

 

 

Tribunale di Bologna, 2 Dicembre 2021
In Evidenza
Rischio di confusione tra segni distintivi: il nome anagrafico utilizzato come marchio
Un nome anagrafico, validamente registrato come marchio e divenuto noto, non può essere successivamente adottato come segno distintivo in settori merceologici identici o affini, neppure dalla persona che legittimamente porti...

Un nome anagrafico, validamente registrato come marchio e divenuto noto, non può essere successivamente adottato come segno distintivo in settori merceologici identici o affini, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome, non potendosi ritenere tale condotta conforme alla correttezza professionale. Infatti, la norma dell’art. 21 co. 1 lett. a) c.p.i., secondo cui alla suddetta condizione è consentito l’uso del proprio nome nell’esercizio dell’attività economica (peraltro limitatamente alle persone fisiche), ha carattere eccezionale ed è sempre stata interpretata in senso restrittivo, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. In nessun caso veniva legittimata l’adozione del proprio nome come marchio, in violazione di precedenti marchi altrui. Si ritiene infatti che contrasti con i principi della correttezza professionale l'uso del proprio nome anagrafico che pregiudichi il valore di un marchio già registrato, contenente lo stesso nome, in quanto in tal modo si trae indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà. Peraltro il giudizio sulla correttezza professionale dell’uso del nome civile, identico ad un marchio anteriore, deve essere svolto in modo molto rigoroso, ed è ravvisabile solo in presenza di un’effettiva esigenza di informazione incentrata sul nome civile e sulle concrete modalità con cui l’informazione viene fornita, senza che il pubblico venga indotto in errore sull’identificazione del produttore e sulla provenienza dei suoi beni o servizi, anche sotto il profilo dell’associazione tra i segni.

Tribunale di Milano, 8 Novembre 2019
Contraffazione di un marchio registrato per prodotti cosmetici e keyword advertising
Tramite il servizio a pagamento di sponsorizzazione online “AdWords” di Google qualsiasi operatore economico può, mediante la scelta di più parole chiavi, far apparire un link promozionale che rinvii direttamente...

Tramite il servizio a pagamento di sponsorizzazione online “AdWords” di Google qualsiasi operatore economico può, mediante la scelta di più parole chiavi, far apparire un link promozionale che rinvii direttamente al proprio sito. La giurisprudenza comunitaria considera illecito l’utilizzo di marchi altrui quali parole chiavi nel servizio AdWords (o anche come keyword-metatag) solo ove ricorrano specifiche condizioni. In particolare, si configura l’illecito quando l’annuncio non consente o consente soltanto difficilmente all’utente internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo. Infatti, in tal modo, l’utilizzo del segno da parte di un terzo potrebbe pregiudicare le funzioni del marchio, ossia quella di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto o garantire la qualità di detto prodotto o servizio, oppure di comunicazione, investimento o pubblicità. Spetterà poi al giudice nazionale l’esame dell’annuncio che compare tra i link sponsorizzati, facendo proprio il punto di vista dell’utente informato di Internet.

Tribunale di Napoli, 27 Ottobre 2022
Contratto di collaborazione professionale e sfruttamento illecito del noto marchio Sorbillo
Un marchio patronimico anteriore, di norma forte, non può essere inserito in un marchio o in una denominazione sociale altrui successiva, anche se corrispondente al nome del titolare, con riferimento...

Un marchio patronimico anteriore, di norma forte, non può essere inserito in un marchio o in una denominazione sociale altrui successiva, anche se corrispondente al nome del titolare, con riferimento a settori merceologici identici o affini, ovvero per attività economiche o intellettuali parallele a quelle contraddistinte dal marchio anteriore, a meno che tale inserimento sia conforme al principio di correttezza professionale. In particolare l'uso del marchio non è conforme agli usi consueti di lealtà in capo industriale e commerciale quando: avvenga in modo tale da far pensare che esista un legame commerciale fra i terzi e il titolare del marchio; pregiudichi il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà; arrechi discredito o denigrazione a tale marchio; il terzo presenti il suo prodotto come un'imitazione o una contraffazione del prodotto recante il marchio di cui egli non è il titolare.

[nel caso di specie l’utilizzo del patronimico "Sorbillo" da parte della società convenuta non ha alcuna valenza descrittiva né dell’attività né dei prodotti bensì si fonda esclusivamente sul contratto di collaborazione intercorso tra la stessa e il Sig. Sorbillo; pertanto, l’uso è prettamente a fini pubblicitari e conseguente illegittimo ai sensi dell’art. 20 e 22 cpi non essendo conforme al principio di correttezza professionale scriminante ex art. 21 cpi]

Tribunale di Catania, 24 Aprile 2020
Marchi deboli e rischio di confondibilità
La nozione di «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto» sancita dall’art. 5.3 del Reg. 44/2001/CE, oggi art. 7 n.2 del Reg. 1215/2012, deve essere interpretata come comprensiva sia del...

La nozione di «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto» sancita dall’art. 5.3 del Reg. 44/2001/CE, oggi art. 7 n.2 del Reg. 1215/2012, deve essere interpretata come comprensiva sia del luogo in cui si è verificata l'azione (o l'omissione) da cui il danno è derivato, sia di quello in cui il danno in questione si è manifestato, da intendersi come luogo in cui l'evento ha prodotto direttamente i suoi effetti dannosi. Ai fini dell'individuazione di entrambi tali luoghi con riferimento agli illeciti costituiti dalla violazione di diritti di proprietà industriale e, in particolare del luogo del danno, deve essere affermato come la natura territoriale che connota tali diritti comporta la sua necessaria identificazione con il territorio dello Stato membro in cui il diritto di privativa è tutelato ed in cui, dunque, si verifica la sua lesione.

Il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell'originalità e della fantasia nel relativo accostamento. Quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest'ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato “debole”.

Marchi "deboli" sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo; peraltro, la loro "debolezza" non incide sull'attitudine alla registrazione, ma soltanto sull'intensità della tutela che ne deriva, atteso che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte.

Ai fini della concorrenza sleale, il carattere confusorio deve essere accertato con riguardo al mercato di riferimento (ovvero “rilevante”), ossia quello nel quale operano o (secondo la naturale espansività delle attività economiche) possono operare gli imprenditori in concorrenza (nel caso di specie è stata esclusa la sussistenza dei presupposti di un’ipotesi di concorrenza sleale in quanto i vini a cui è stata apposta l’etichetta riportante il segno asseritamente in contraffazione erano destinati alla commercializzazione esclusivamente sui mercati americani e inglesi; mentre i vini del titolare del marchio erano commercializzati esclusivamente in Italia).

Premesso che l'art. 121, comma 1, c.p.i., in linea con i principi generali dell'art. 2697 c.c., dispone che l'onere di provare la decadenza di un marchio per non uso grava su chi impugna la privativa; la stessa norma precisa poi che, quando si voglia far valere la decadenza di un marchio per non uso, questo possa essere provato con qualsiasi mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici e ciò implica che il giudice può considerare provato il mancato uso quinquennale (consecutivo) del marchio in base ad un procedimento deduttivo da lui stesso condotto sulla base di ulteriori fatti dimostrati in causa.

L’inibitoria contemplata dall’art. 7 c.c. non consegue al semplice uso indebito da parte del terzo di un nome che compete ad altri, ma è necessario che da tale uso consegua un pregiudizio sia pure soltanto nel patrimonio morale di colui che chiede tutela.

Tribunale di Torino, 9 Maggio 2019
Decadenza di marchio per sopravvenuta ingannevolezza
Allorché la ragione sociale e il marchio di una impresa siano decisi dall’impresa controllante, quest’ultima non può successivamente muovere una censura di contraffazione solo per il fatto della successiva separazione...

Allorché la ragione sociale e il marchio di una impresa siano decisi dall'impresa controllante, quest'ultima non può successivamente muovere una censura di contraffazione solo per il fatto della successiva separazione societaria, non potendo un evento successivo incidere sulla validità del marchio originario. Può invece essere fondata una domanda di decadenza per l'indebito utilizzo tale da ingannare il pubblico, fra l’altro, circa la reale provenienza dei servizi offerti, se ne sussistono i presupposti.

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