L'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell'art. 146 l.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 della l.fall., derivante, "in primis", dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione "iuris tantum" di coincidenza tra il "dies a quo" di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza. Il principio riguardante l’individuazione del dies a quo può trovare applicazione anche con riferimento alla liquidazione giudiziale. L'azione sociale di responsabilità, pur quando sia esercitata dal curatore del fallimento, si prescrive nel termine di cinque anni, con decorrenza dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all'esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; il decorso del termine rimane, peraltro, sospeso, a norma dell'art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dell'amministratore dalla carica.
Il pagamento dei tributi e degli oneri fiscali rappresenta un obbligo per gli amministratori; in caso di inadempimento, il danno subito dalla società non può essere parametrato all’entità dell’imposta o del contributo omesso, atteso che la società sarebbe stata comunque obbligata a sopportarne il costo, ma deve essere commisurato alle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e agli interessi maturati successivamente alla scadenza del termine legalmente previsto, atteso che tali esborsi sarebbero stati evitati se l’amministratore, utilizzando l’ordinaria diligenza, avesse assolto regolarmente i propri obblighi. È fatta salva la possibilità per l’amministratore convenuto di eccepire e provare di non aver potuto pagare, pur avendo impiegato la dovuta diligenza, in ragione dell’incapienza finanziaria o patrimoniale della società.
L’art. 2486 c.c., come novellato con la riforma della crisi di impresa (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), al terzo comma prevede i criteri di liquidazione presuntiva del danno nelle azioni di responsabilità aventi ad oggetto la violazione da parte degli amministratori dell'obbligo di eseguire, in caso di intervenuto scioglimento della società, ancorché non formalmente accertato, una gestione "conservativa" e non "imprenditoriale" della società, disponendo che quando è accertata la responsabilità degli amministratori, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore é cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si é verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484 c.c., detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. La nuova norma ha recepito l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale occorre correttamente individuare il danno che si ricollega alla particolare ipotesi di responsabilità costituita dall'avere l'amministratore protratto l'attività in presenza di una causa di scioglimento senza avvedersi della perdita del capitale sociale, individuandolo nel c.d. criterio della differenza dei patrimoni netti sia pure contemperato dall'applicazione concorrente del criterio equitativo, al fine di rispettare il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo e la produzione del danno; il dato iniziale - costituito dal patrimonio netto alla data del verificarsi della causa di scioglimento – risulta, infatti, comprensivo anche delle perdite causate dalla gestione precedente al verificarsi della causa di scioglimento che, in tal modo, non vengono poste a carico della gestione dell'amministratore del quale viene valutato il comportamento. Il meccanismo di liquidazione del "differenziale dei netti patrimoniali", di cui all'art. 2486, comma 3, c.c., come modificato dall'art. 378, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019, c.d. codice dell'impresa (CCII), è applicabile, in quanto latamente processuale, anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore di detta norma, atteso che essa stabilisce non già un nuovo criterio di riparto di oneri probatori, ma un criterio, rivolto al giudice, di valutazione del danno rispetto a fattispecie integrate dall'accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell'integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, salva la deduzione e individuazione di elementi di fatto legittimanti l'uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto.
In merito alla prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori, in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data, anteriore, di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto la notifica alla società fallita di cinque cartelle di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate come fatto, di per sé solo e senza ulteriori elementi, non certo suscettibile di essere sintomo di assoluta evidenza dell’incapienza patrimoniale della società e, dunque, non idoneo a consentire un’anticipazione del termine di decorrenza della prescrizione rispetto alla data del fallimento].
L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F. compendia in sé, in un'unica azione finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia dei soci e dei creditori, le azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., di talché la curatela attrice ha la possibilità di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni, sul piano del riparto dell’onere della prova e dei limiti al risarcimento del danno (art. 1225 c.c.), come anche del regime della prescrizione (art. 2393 comma 4, 2941 n. 7, 2949 e 2394 comma 2 c.c.). Ebbene, stante la natura anche contrattuale dell’azione di responsabilità ex art. 146 L.F. (attesa la natura contrattuale dell’azione ex art. 2393 c.c. in essa compendiata), il curatore che agisce in giudizio ha solo l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni degli obblighi imposti ed il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sul convenuto l’onere di allegare e provare i fatti idonei ad escludere od attenuare la sua responsabilità, ovvero la non imputabilità a sé degli inadempimenti contestatigli. Spetta, infine, all’attore l’onere di allegazione e prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, ovvero del depauperamento del patrimonio sociale e dalla riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente.
L’omessa/irregolare tenuta delle scritture contabili non comporta di per sé un danno per la società stessa o per i creditori sociali. Postulare che l’amministratore debba rispondere dello sbilancio patrimoniale della società accertato in sede fallimentare solo perché non ha tenuto o non ha correttamente tenuto la contabilità sociale e, dunque, non ha consentito alla Curatela la ricostruzione completa delle vicende societarie, significherebbe attribuire al risarcimento del danno una funzione prettamente sanzionatoria, in quanto si prescinderebbe dall’accertamento del nesso eziologico tra l’inadempimento contestatogli e il danno sofferto dal patrimonio della società: appare del tutto evidente come la contabilità registri gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, senza però determinarli; è da quegli accadimenti che deriva il danno patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità.
Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’ex-amministratore per violazione degli obblighi di cui agli artt. 2484 c.c. e ss. deve anche allegare che, successivamente alla perdita del capitale sociale, l’amministratore ha intrapreso iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di logiche conservative nella prospettiva della liquidazione, individuare tali iniziative ed indicare le conseguenze negative che sono derivate dalle illegittime condotte gestorie. In particolare, la Curatela che agisce in giudizio ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè della ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuta, invece, a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria; spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari.
L’azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare, pur cumulando in sé i profili propri sia dell’azione di responsabilità sociale che dell’azione dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma - quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali –, implicando, quindi, una modifica della legittimazione attiva, non muta, tuttavia, la natura giuridica e i presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti, essendo quindi diversi, rispetto a ciascuna di esse, i principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova e la disciplina della prescrizione.
Con particolare riferimento alla prescrizione, tanto l’azione sociale di responsabilità quanto l’azione dei creditori si prescrivono in cinque anni. Tuttavia, mentre il decorso della prescrizione quinquennale dell’azione sociale di responsabilità è regolato dal principio secondo cui essa non decorre sino a quando l’organo amministrativo rimanga in carica, in forza del disposto dell’art. 2941 n. 7) cc., con la conseguenza che la prescrizione prevista dall’art. 2949 comma 1 cc rimane sospesa tra le persone giuridiche ed i loro amministratori finché sono in carica per le azioni di responsabilità contro di essi, nell’azione dei creditori sociali, secondo costante giurisprudenza di legittimità, il dies a quo della prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2949 co. 2 cc, decorre dal momento in cui i creditori abbiano potuto avere contezza dell’insufficienza patrimoniale, momento che, in caso di fallimento, si presume coincidere con la dichiarazione di insolvenza della società debitrice, salva prova contraria.
L'esecuzione di finanziamenti alle società controllate non è un'operazione sempre e comunque vietata all'amministratore della società controllante, mentre diventa un illecito gestorio laddove si tratti di erogazioni prive di giustificazione oppure contrarie a ragionevolezza e diligenza, come quando la destinataria del finanziamento presenti una situazione patrimoniale tale da indurre a dubitare della sua capacità di restituire le somme ricevute. Su tale giudizio è irrilevante che la provvista per detti finanziamenti sia stata fornita dallo stesso amministratore, in quanto una volta che le somme sono passate nella titolarità della società dovevano comunque essere gestite con criteri di ragionevolezza e diligenza.
L’azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare, pur cumulando in sé i profili propri sia dell’azione di responsabilità sociale che dell’azione dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali, implicando quindi una modifica della legittimazione attiva, non muta tuttavia la natura giuridica e i presupposti delle due azioni, che rimangono diversi e indipendenti, essendo quindi diversi, rispetto a ciascuna di esse, i principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova e la disciplina della prescrizione.
Tanto l’azione sociale di responsabilità quanto l’azione dei creditori si prescrivono in cinque anni. Tuttavia, mentre il decorso della prescrizione quinquennale dell’azione sociale di responsabilità è regolato dal principio secondo cui essa non decorre sino a quando l’organo amministrativo rimanga in carica, in forza del disposto dell’art. 2941, n. 7, c.c., con la conseguenza che la prescrizione prevista dall’art. 2949, co. 1, c.c. rimane sospesa tra le persone giuridiche e i loro amministratori finché sono in carica per le azioni di responsabilità contro di essi, nell’azione dei creditori sociali il dies a quo della prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2949, co. 2, c.c. decorre dal momento in cui i creditori abbiano potuto avere contezza dell’insufficienza patrimoniale, momento che, in caso di fallimento, si presume coincidere con la dichiarazione di insolvenza della società debitrice, salva prova contraria; ricadendo sull'amministratore la prova contraria della diversa data, anteriore, di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito.
L'azione di responsabilità esercitata dal curatore ai sensi dell'art. 146, co. 2, l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste in base all’attuale formulazione dall’art. 2476 co. 2 e co. 6, c.c., a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, che, seppur cumulate in un’unica domanda, non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte, sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, attesa la natura contrattuale della prima ed extracontrattuale della seconda, differenti essendo, dunque, la distribuzione dell'onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili e il regime di decorrenza del termine di prescrizione.
Sotto tale ultimo profilo, entrambe le azioni si prescrivono ai sensi dell’art. 2949 c.c. nel termine di cinque anni, ma, mentre il decorso della prescrizione quinquennale dell’azione sociale di responsabilità è dalla data del fatto dannoso e a esso si applica la sospensione prevista dall'art. 2941, n. 7, c.c., con la conseguenza che la prescrizione rimane sospesa tra le persone giuridiche e i loro amministratori finché sono in carica per le azioni di responsabilità contro di essi, nell’azione dei creditori sociali la prescrizione di cui all’art. 2949, co. 2, c.c. decorre dal momento in cui l'insufficienza patrimoniale si è manifestata come rilevante, ossia dal momento in cui i creditori abbiano potuto avere contezza dell’insufficienza patrimoniale, momento che, in caso di fallimento, si presume coincidere con la dichiarazione di insolvenza della società debitrice, salva prova contraria.
La natura contrattuale della responsabilità dell'amministratore sociale implica, in tema di onere della prova, che la società alleghi l’inadempimento degli obblighi gestori in capo all’amministratore, primo tra tutti l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale, nonché alleghi e provi il danno e il nesso causale rispetto all’inadempimento, danno che, in caso di atti distrattivi, consisterà nella perdita patrimoniale cagionata dalla relativa sottrazione imputabile all’organo amministrativo. L’amministratore convenuto dovrà, invece, allegare e provare di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio della società e, quindi, che gli atti di disposizione patrimoniale compiuti siano stati adottati nell’interesse della società, oppure di non aver potuto adempiere a detti obblighi conservativi per fatto non imputabile.
Il requisito del periculum in mora per la concessione di un sequestro conservativo richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.
L'azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146, co. 2, l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali, implicandone una modifica della legittimazione attiva, ma non dei presupposti. Sicché, dipendendo da rapporti che si trovano già nel patrimonio dell'impresa al momento dell'apertura della procedura concorsuale a suo carico, e che si pongono con questa in relazione di mera occasionalità, non riguarda la formazione dello stato passivo e non è attratta alla competenza funzionale del tribunale fallimentare ex art. 24 l.fall., restando soggetta a quella del tribunale delle imprese, ex art. 3, co. 2, del d.lgs. n. 168 del 2003, propria di tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, da chiunque promosse.
Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., anche se esercitate cumulativamente ai sensi dell'art. 146 l.fall., debbono considerarsi distinte, perché basate su presupposti differenti e soggette a diverso regime giuridico, con particolare riferimento al calcolo dei termini per la prescrizione. Infatti, le due azioni di responsabilità si prescrivono nel termine di cinque anni ex art. 2949 c.c.; tuttavia, la decorrenza del termine varia a seconda del profilo di responsabilità azionato dal curatore. Se il curatore agisce per far valere la responsabilità dei componenti degli organi sociali nei confronti della società ai sensi dell'art. 2393 c.c., il termine decorre da quando è cessata la carica prima del fallimento o da quando il fallimento è stato dichiarato, se il soggetto passivo dell'azione di responsabilità sia in carica in quel momento, in forza della causa di sospensione di cui all'art. 2941, n. 7, c.c. Se il curatore esercita invece l'azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., il termine di prescrizione decorra dalla conoscibilità esteriore dell'incapienza patrimoniale e quindi dell'insufficienza dell'attivo sociale a soddisfare i debiti, in forza del dato normativo letterale secondo cui l'insufficienza patrimoniale deve comunque "risultare", il che può avvenire prima, dopo o al momento del fallimento.
In considerazione dell'onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all'amministratore che sollevi la relativa eccezione fornire la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
La prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c., proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio, decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, o dalla cessazione dalla carica, bensì dal momento dell'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti e, per meglio dire, dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza di tale insufficienza. Tale incapacità, consistente nella eccedenza delle passività sulle attività, non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale (che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo) né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento.
Il rilascio, previo parere positivo del comitato dei creditori, dell'autorizzazione del giudice delegato all'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ex art. 146, co. 2, l.fall., costituisce una condizione dell'azione, la cui sussistenza (che deve ricorrere necessariamente al momento della pronuncia della sentenza) può e deve essere verificata giudizialmente e la cui carenza, in quanto incidente sulla legittimazione processuale del legale rappresentante della società, può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio. La conseguenza processuale dell’eventuale difetto di sufficiente specificità dell’autorizzazione è la rimessione della causa per il compimento delle attività di sanatoria di cui all’art. 182, co. 2, c.p.c. (versione precedente) mediante assegnazione di un termine per la produzione dell'autorizzazione.
Sotto il profilo passivo, l’art. 146 l.fall. deve ritenersi norma di natura processuale e meramente ricognitiva della legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità civilistiche, siccome dotata di una formulazione ampia rispetto ai possibili destinatari dell’azione, da leggersi non atomisticamente, bensì alla luce delle disposizioni di natura sostanziale, come estensiva del novero dei soggetti passivi delle iniziative giudiziarie anche ai revisori, nonché a tutti i soggetti che, a vario titolo, abbiano operato per conto della società, o, ancora, abbiano a qualunque titolo concorso nella causazione della deminutio al patrimonio sociale (si pensi alle iniziative giudiziali intraprese da una curatela per ottenere il risarcimento del danno da indebita erogazione di credito); donde la legittimazione del curatore a anche esperire l’azione risarcitoria nei confronti dei professionisti esterni alla compagine, pacifica essendo la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità solidale per un unico fatto dannoso in capo a più soggetti che allo stesso abbiano concorso, indipendentemente dal titolo.
La legittimazione attiva del curatore volta alla tutela risarcitoria in favore dei creditori deve riconoscersi circoscritta alle azioni di responsabilità da danno indiretto, che si alleghi subito dai creditori in conseguenza dell’inosservanza, da parte degli amministratori, degli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale posto a garanzia dei crediti ex art. 2740 c.c., ossia alle azioni tese all’incremento della massa attiva del patrimonio sociale; la legittimazione alle azioni di responsabilità da danno c.d. diretto causalmente connesso alla condotta dolosa o colposa dell’amministratore, invece, permane in capo al singolo creditore anche a seguito della dichiarazione di fallimento. Le azioni di spettanza del curatore devono individuarsi in tutte e solamente quelle che fanno capo alla stessa società fallita, onde la legittimazione del medesimo curatore a esercitarle si ricollega alla sua stessa funzione di gestore del patrimonio del fallito, o in quelle che sono qualificabili come azioni di massa, in quanto destinate a incrementare la massa dei beni sui quali i creditori ammessi al passivo possono soddisfare le proprie ragioni secondo le regole del concorso.
L'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci, esercitata dal curatore del fallimento ex art. 146 l.fall., compendiante in sé le azioni contemplate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. e diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia dei soci e dei creditori sociali, sorge nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente per il soddisfacimento dei creditori della società (il che consente di affermare che il danno da essi subito costituisce la misura del loro interesse ad agire) e si manifesti il decremento patrimoniale costituente il pregiudizio che la società non avrebbe subito in assenza del comportamento illegittimo. Il curatore ha facoltà di scegliere se cumulare le due azioni o formulare separatamente domande risarcitorie, potendo, altresì, scegliere quale delle due azioni esercitare: se l'azione sociale, di natura contrattuale, o quella verso i creditori, di natura extracontrattuale. In ogni caso, tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, connotata da regimi differenti in punto di distribuzione dell'onere della prova, di criteri di determinazione dei danni risarcibili e di regime di decorrenza del termine di prescrizione.
Quanto alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c., in applicazione del principio generale espresso dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, l’esperimento dell’azione da parte dei creditori sociali presuppone la conoscibilità delle condizioni per la relativa proposizione e, dunque, l’emersione dell’incapienza patrimoniale che legittima gli stessi all’esercizio dell’azione di responsabilità. Pertanto, occorre avere riguardo, nell’individuazione del dies a quo, non già del momento in cui i creditori abbiano avuto effettiva conoscenza dell'insufficienza patrimoniale, o di quello in cui si verifica tale insufficienza – che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all'art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale (non implicante necessariamente la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale), ma va intesa come eccedenza delle passività sulle attività o insufficienza dell'attivo sociale a soddisfare i debiti della società –, ma al momento, che può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione del fallimento, in cui essi siano stati in grado di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società, ossia al momento in cui l’insufficienza si manifesta, diventando oggettivamente conoscibile da parte dei creditori. In ragione dell'onerosità della prova a carico del curatore avente ad oggetto l'oggettiva percepibilità dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando al convenuto che eccepisca la prescrizione fornire la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza e di esteriorizzazione dello stato di incapienza patrimoniale; prova che, sebbene possa desumersi anche dal bilancio di esercizio, deve pur sempre avere ad oggetto fatti sintomatici di assoluta evidenza, dovendosi escludere, come dies a quo antecedente alla dichiarazione di fallimento, la pubblicazione di un bilancio che, all’epoca della relativa redazione, rendeva l'incapienza patrimoniale, pur effettivamente già sussistente, non oggettivamente percepibile da parte dei terzi, siccome artatamente occultata.
In punto di prescrizione, opera nei confronti del revisore contabile la lex specialis di cui al d.lgs. n. 39/2010, il quale all’art. 15, prevede che l’azione di risarcimento si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato, emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, senza alcuna previsione di cause ad hoc di sospensione del decorso dei termini.
Ai fini dell’individuazione del tempo della prescrizione, rileva l’astratta sussumibilità di un illecito in una fattispecie di reato, a prescindere dall’esito del procedimento penale avviato ai danni del danneggiante, non produttivo dei medesimi effetti di una sentenza di assoluzione con formula piena passata in giudicato. L’applicabilità a un illecito civile del più ampio termine prescrizionale previsto per un corrispondente fatto di reato, ex art. 2947, co. 3, c.c., presuppone la ricorrenza, in concreto, della totale identità e della piena concomitanza tra gli elementi (oggettivo e soggettivo) dell'illecito civile e di quello penale.
Sebbene il dovere di regolare tenuta della contabilità rientri tra i doveri gravanti sugli amministratori, l’erronea redazione di scritture contabili non costituisce, di per sé, una causa potenzialmente efficiente rispetto al danno, giacché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l'attività dell'impresa, ma non li determina, ed è da quegli accadimenti, e non dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità, che deriva la perdita patrimoniale.
A fronte di una diminuzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite, a norma dell’art. 2482 bis c.c., si impone all’organo amministrativo pro tempore in carica la tenuta di una condotta diligente consistente nella convocazione dell’assemblea “senza indugio” – ossia in una data ragionevolmente prossima, tenuto conto delle circostanze del caso concreto –, nella sottoposizione alla stessa di una specifica relazione, nel monitoraggio capillare dell’attività e nella convocazione di un’assemblea, nell’esercizio successivo, per l’approvazione del bilancio e la riduzione del capitale in proporzione alle perdite accertate e medio tempore non riportate sotto la soglia di allarme suindicata. In caso di totale azzeramento del capitale, ricorrono, ai sensi dell’art. 2484, n. 4, c.c., i presupposti per l’insorgenza di un’ulteriore serie di obblighi di condotta, quali, anzitutto, quello negativo di astensione dall’intraprendere nuove operazioni sociali e quello, dal lato attivo, di convocare l’assemblea per deliberare la ricapitalizzazione o lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2485 c.c.: di talché l’inosservanza di tali obblighi integra un inadempimento dell’amministratore agli obblighi sullo stesso incombenti e rende indebita la successiva attività di impresa non meramente liquidatoria, con conseguente responsabilità risarcitoria dell’organo di gestione per tutte le successive perdite subite dalla società e causalmente connesse alla violazione del dovere di astensione, ex art. 2486 c.c. All’indomani del verificarsi della causa di scioglimento, infatti, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, come in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, sicché gli amministratori non possono più utilizzarlo a tale fine, ma sono abilitati a compiere soltanto gli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando agli stessi inibito il compimento di nuovi atti di impresa suscettibili di porre a rischio, da un lato, il diritto dei creditori della società a trovare soddisfacimento sul patrimonio sociale, e, dall’altro, il diritto dei soci a una quota, proporzionale alla partecipazione societaria di ciascuno, del residuo attivo della liquidazione: in particolare, devono essere qualificate come nuove operazioni vietate tutte quelle realizzate dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di mera liquidazione della società.
Posto che la proposizione di richiesta di una procedura concorsuale o di una procedura alternativa da parte di una società in crisi o insolvente, in luogo della dichiarazione di fallimento, è prevista dall’ordinamento, in astratto, come del tutto legittima e, anzi, può rivelarsi in concreto maggiormente opportuna rispetto all’opzione alternativa, gli amministratori e gli organi sociali possono essere ritenuti responsabili per il pagamento di professionisti incaricati di verificare le condizioni di una richiesta concordataria, nonché di redigere le relative relazioni tecniche, soltanto laddove l’istanza di concordato risulti essere stata proposta abusivamente, ossia appaia, secondo un giudizio ex ante, irrazionale e arbitraria, e dunque del tutto infondata. L’arbitrarietà della domanda di concordato dev’essere, tuttavia, appurata non sulla scorta della semplice declaratoria di inammissibilità, né tantomeno in ragione dell’intervenuto rigetto da parte del tribunale, occorrendo invero un quid pluris, in specie rappresentato dalla conoscenza ex ante dell’insussistenza dei presupposti per adire la procedura – conoscenza che vale a connotare in termini di abuso del diritto o, quantomeno, a qualificare alla stregua di atto di mala gestio e di negligenza dell’organo gestorio una domanda altrimenti qualificabile in termini di attività lecita e, anzi, economicamente conveniente sotto il profilo dell’ottica aziendalistica.
Con riguardo alla disamina della ragionevolezza, con riferimento alla data della proposizione, della scelta di percorrere in prima battuta l’opzione del deposito di una domanda di concordato, quale strumento di risoluzione della crisi dagli stessi appena rilevata, il giudizio che il tribunale è chiamato a compiere, entro il perimetro del sindacato giudiziale consentito in sede concorsuale nel merito della fattibilità della proposta di concordato, non escluso dall’attestazione del professionista, e al contempo necessario ai fini della declaratoria di ammissibilità così come dell’omologazione della proposta, verte, anzitutto, sulla legittimità della stessa, intesa come non incompatibilità con le norme ordinamentali, e si estende, altresì, alla verifica della non manifesta inettitudine del piano sotto il profilo economico, intesa come effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato, inserita nel quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur parziale, dei creditori, fermo il controllo della completezza e della correttezza dei dati informativi forniti ai creditori ai fini della consapevole espressione del voto; riservata essendo, per contro, al comitato dei creditori la valutazione della fattibilità del medesimo piano sotto il profilo strettamente economico.
Il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità sociale verso amministratori e liquidatori è sospeso fino alla cessazione della loro carica, in virtù della disposizione di cui all'art. 2941, co. 1, n. 7, c.c., richiamata dall'art. 2489, co., 2 c.c. in tema di liquidatori. Alla luce di quanto previsto dall’art. 2949 c.c., detto termine ha durata quinquennale.
Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore dà luogo ad un debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto il danno e la data della liquidazione definitiva. Ciò vale anche se, al momento della sua produzione, il danno consista nella perdita di una determinata somma di denaro, in quanto quest’ultima vale soltanto a individuare il valore di cui il patrimonio del danneggiato è stato diminuito e può essere assunta come elemento di riferimento per la determinazione dell’entità del danno.
L'azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. ha natura unitaria e inscindibile e racchiude in sé, quale strumento di reintegrazione del patrimonio della fallita unitariamente considerato a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, tanto l'azione spettante alla società quanto quella a tutela dei creditori sociali; ciò comporta che anche in assenza di una specificazione, si deve presumere che il curatore abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni. Nondimeno, la natura giuridica e i presupposti delle due azioni rimangono diversi ed indipendenti. Ne consegue che il curatore ha il vantaggio di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni, sia sotto il profilo dell’onere della prova (gravando sul fallimento esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, gravando invece sull’amministratore l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso), sia per quanto attiene al regime della prescrizione.
Il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2949, co. 2, c.c. decorre dal momento in cui si è palesata e resa percepibile dai terzi l’insufficienza patrimoniale della società. Al riguardo, ricorre una presunzione semplice che tale momento coincida con il fallimento della società, salvo la prova contraria – ovvero che l’insufficienza patrimoniale si sia manifestata prima – a carico dell’amministratore.
La quantificazione del danno non si sottrae ai principi generali in tema di onere della prova che solo possono essere mitigati dal ricorso all’equità, ma sempre nella ricorrenza della prova dell’esistenza del danno. Infatti, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza.
È inammissibile la domanda di revoca del curatore per asserita mala gestio per condotte attive od omissive in spregio del dovere di diligenza proprio dell’ufficio. Il curatore è un organo della procedura concorsuale e la sua revoca, come la sua nomina e la sua sostituzione, sono di competenza esclusiva del tribunale fallimentare ex art. 23 l.fall.
L’attività di direzione e coordinamento, di per sé legittima, assume, ai sensi dell’art. 2497 c.c., i connotati dell’antigiuridicità quando sia esercitata da parte della società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa. Il secondo comma della norma prevede, inoltre, una responsabilità solidale in capo a chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, a chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
La predetta disposizione normativa e, in particolare, quella di cui al secondo comma, prevede un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, inquadrata nello schema di cui all’art. 2043 c.c., riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante. Gli amministratori della società controllante rispondono in solido, in via aquiliana, per la lesione all’integrità del patrimonio della società controllata conseguente a condotte che costituiscono violazione dei suddetti principi o per aver concorso con gli amministratori della società controllata al depauperamento del suo patrimonio sociale.
Il mero esercizio dell’attività di direzione e coordinamento non comporta che la controllante possa essere chiamata a rispondere delle obbligazioni di una controllata nei confronti dei fornitori della stessa o dell’inadempimento delle medesime. In altri termini, non può configurarsi una responsabilità della capogruppo per obbligazioni fisiologicamente assunte dalla controllata e rimaste inadempiute nella normale dinamica dello svolgimento dell’attività d’impresa.
Con riguardo al computo del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il dies a quo va individuato nel momento in cui il pregiudizio agli interessi sociali sia conoscibile da parte dei soci della società eterodiretta. Ne deriva che il decorso della prescrizione va ancorato non al momento in cui sono stati posti in essere i singoli atti attraverso cui si è realizzata l’illecita condotta di direzione e coordinamento, bensì valorizzando il frangente in cui il danno si è manifestato attraverso la completa evidenziazione dello scenario fattuale che ne costituiva la causa.