La mancata approvazione del bilancio costituisce sintomo della causa di scioglimento della società ex art. 2484, comma 1, n. 3, cod. civ. ove tale omissione concerna almeno due bilanci di esercizio. La circostanza che, attraverso la locazione degli immobili oggetto di attività sociale, nel corso degli anni siano state ricavate risorse finanziarie e pagati i debiti sociali, non esclude che non debba prendersi atto dell’impossibilità di funzionamento dell’assemblea e della sua perdurante inattività, causa di scioglimento della società ai sensi della norma codicistica, alla quale non può sopperire un’attività di fatto slegata dal controllo e dalle determinazioni dell’ organo collegiale.
È legittima la condanna alle spese giudiziali nel procedimento promosso in sede di reclamo, ex art. 739 cod. proc. civ., avverso provvedimento reso in camera di consiglio, atteso che ivi si profila comunque un conflitto tra parte impugnante e parte destinataria del reclamo, la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta alle regole dettate dagli articoli 91 ss. cod. proc. civ., e che, inoltre, se lo sviluppo del procedimento nella fase di impugnazione non può ovviamente conferire al procedimento stesso carattere contenzioso in senso proprio, si deve tuttavia riconoscere che - in tale fase - le posizioni delle parti con riguardo al provvedimento dato assumono un rilievo formale autonomo, che dà fondamento alla applicazione estensiva dell’art. 91 citato.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ai sensi degli artt. 146 legge fall. ha carattere unitario e inscindibile e assomma in sé i presupposti sia dell’azione sociale (art. 2393 cod. civ.) che dell’azione dei creditori (art. 2394 cod. civ.). Seppur promosse unitariamente dal curatore, tali azioni non perdono comunque la propria originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto che nella disciplina applicabile. In particolare, l’azione sociale (che ha natura contrattuale) differisce dall’azione dei creditori sociali (che ha natura extracontrattuale) quanto alla distribuzione dell’onere della prova, ai criteri di determinazione del danno risarcibile e al regime della prescrizione. Con riferimento a tale ultimo aspetto, entrambe le azioni si prescrivono nel termine di cinque anni, ai sensi dell’art. 2949 cod. civ. Tuttavia, nell’azione sociale il dies a quo del termine di prescrizione coincide con la data del fatto dannoso; inoltre, nell’azione sociale si applica la sospensione prevista dall’art. 2941, n. 7, cod. civ. (con la conseguenza che la prescrizione rimane sospesa tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché essi sono in carica). Diversamente, nell’azione ex art. 2394 cod. civ. il dies a quo coincide con il momento in cui i creditori hanno potuto avere contezza dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei loro crediti
In materia di responsabilità degli amministratori di società di capitali, l’insindacabilità del merito delle scelte gestorie trova un limite nella ragionevolezza delle stesse. La valutazione circa la ragionevolezza delle scelte di gestione va compiuta “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, tenendo conto della adozione (o meno) da parte dell’amministratore delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta del tipo di quella assunta, nonché tendo conto della diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione poi compiuta
In forza del principio di causazione (che unitamente a quello di soccombenza regola il riparto delle spese di lite), il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore qualora la chiamata in causa sia stata resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda. Il rimborso rimane invece a carico della parte che ha chiamato in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa
La consulenza tecnica d'ufficio è un atto compiuto nell'interesse generale di giustizia e, dunque, nell'interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio. Le relative spese rientrano pertanto tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c., sicché possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, senza violare in tal modo il divieto di condanna di quest'ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica una condanna, ma solo l'esclusione del rimborso.
Con la revoca della delibera del c.d.a. impugnata viene a cessare la materia del contendere. In tal caso, il Collegio provvede sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale.
Il principio di cui all'art. 2377, co. 8, c.c. è espressione specifica del più generale principio di soccombenza che governa il regime delle spese processuali. In tal senso, la sostituzione da parte di un'ente di una delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dell'atto costitutivo implica il riconoscimento da parte dell'ente dell'invalidità della delibera sostituita, con la conseguenza che le spese processuali dovranno essere sostenute dall'ente medesimo.
In forza del disposto degli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, d.lgs. n. 5/2003, la pattuizione di una clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari ex art. 2378 c.c. ed agli arbitri compete anche il potere di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera (in virtù della precedente formulazione dell’art. 818 c.p.c. che impediva agli arbitri di concedere misure cautelari).
Nel lasso di tempo intercorrente fra la proposizione della domanda di arbitrato e la formazione dell’organo arbitrale, è riconosciuta pacificamente la competenza del giudice ordinario in relazione alla sola istanza di sospensione della delibera e ciò fino al momento in cui l’organo arbitrale non solo sia stato nominato, ma anche sia concretamente in grado di provvedere, allo scopo di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost.
Il provvedimento di nomina del curatore speciale costituisce un sub-procedimento di volontaria giurisdizione che si traduce in un atto sempre modificabile e revocabile dal giudice che lo ha emesso, che non passa in giudicato e non assume una stabilità idonea ad integrare la nozione di definitività.
Il provvedimento di nomina del curatore speciale di cui all’art. 78 c.p.c. è diretto non già ad attribuire o negare un bene della vita, ma ad assicurare la rappresentanza processuale tanto al soggetto che ne sia privo, quanto al rappresentato che si trovi in conflitto di interessi col rappresentante; ha pertanto una funzione meramente strumentale ai fini del singolo processo ed è sempre revocabile e modificabile ad opera del giudice che lo ha pronunciato.
Non sussiste conflitto d’interessi, tale da rendere necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, in cui il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società, in persona di chi ne abbia la rappresentanza legale; nè è fondata una valutazione di conflitto di interessi in capo all’amministratore, solo in quanto la deliberazione assembleare abbia ad oggetto profili di pertinenza dello stesso organo gestorio, posto che ravvisarvi un’immanente situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale alla società in tutte o quasi tutte le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto distorsivo per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale alla società ex art. 78 c.p.c., l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.
Non sussiste conflitto di interesse rilevante ex art. 78 c.p.c. allorché il socio che sia anche amministratore abbia espresso il proprio voto determinante a favore della deliberazione relativa al suo compenso, atteso che egli legittimamente può avvalersi del proprio diritto di voto per realizzare anche un proprio fine personale, salvo non si accerti che attraverso il voto egli abbia sacrificato a proprio favore l’interesse sociale.
Mentre l’art. 78 c.p.c. si applica qualora si ravvisi una conflittualità tra la società ed il suo rappresentante (ossia l’amministratore), il conflitto di interessi di cui all’art. 2373 c.c. riguarda il rapporto fra socio e società, ossia quando il socio si trova nella condizione di essere portatore, di fronte ad una data deliberazione, di un duplice interesse: del suo interesse di socio e di un interesse esterno alla società.
Viene meno la ragion d’essere sostanziale della lite una volta intervenuto il pagamento spontaneo da parte dei convenuti di quanto richiesto da parte attrice. Tale circostanza priva le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, venendo meno ogni ragione di contrasto tra di esse.
Rispetto al regolamento delle spese del giudizio, l’art. 91 c.p.c. prevede il principio della soccombenza che, nel caso in cui vi sia cessazione della materia del contendere, si declina nel principio della soccombenza virtuale, secondo il quale le spese processuali gravano sulla parte che sarebbe risultata soccombente secondo un apprezzamento prognostico sulla fondatezza della domanda proposta. Non trova invece applicazione il secondo periodo del comma 1 dell’art. 91 c.p.c. – secondo cui il giudice “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92” – qualora le parti abbiano richiesto la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, mentre la norma in oggetto presuppone una pronuncia di accoglimento della domanda di una delle parti e dunque una pronuncia nel merito, la cui necessità nel presente procedimento è venuta meno.
In tema di impugnazione di deliberazioni dell’assemblea, affinché possa prodursi l’effetto sanante previsto dall’art. 2377, co. 8, c.c., è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che, adottata in conformità alla legge e allo statuto, abbia identico contenuto e, quindi, provveda sui medesimi argomenti della prima deliberazione, ferma l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità.
Le controversie aventi ad oggetto la validità di deliberazioni assembleari sono compromettibili in arbitri qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili. A tale riguardo, attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri, soltanto le controversie relative all'impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione, sicché la lite che abbia ad oggetto l'invalidità della delibera assembleare per omessa convocazione del socio, essendo soggetta al regime di sanatoria previsto dall'art. 2379-bis c.c., può essere deferita ad arbitri.
Qualora l’arbitrato previsto nello statuto sociale abbia natura rituale, l’eccezione di compromesso ha carattere processuale e integra una questione di competenza - e non di giurisdizione - cui è applicabile l’art. 819-ter c.p.c. Tale ultima previsione, in particolare, nel delineare i rapporti tra giudice ordinario e arbitro, prevede espressamente che il giudice debba affermare o negare la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato tramite sentenza, e infatti, in ipotesi di devoluzione della controversia ad un arbitro, soggetto posto al di fuori della giurisdizione ordinaria, il giudice, nel negare la propria competenza, si pronuncia con sentenza decidendo sulle relative spese, ai sensi del combinato disposto degli artt. 819-ter e 91 c.p.c.