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Tribunale di Venezia, 8 Maggio 2025, n. 2282/2025
Ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria dell’atto di conferimento dell’intero capitale sociale in società
È soggetto ad azione revocatoria ex art. 2901 c.c. l’atto di conferimento, in società di persone, dell’intero pacchetto azionario detenuto dal debitore in una società di capitali, compiuto successivamente al...

È soggetto ad azione revocatoria ex art. 2901 c.c. l’atto di conferimento, in società di persone, dell’intero pacchetto azionario detenuto dal debitore in una società di capitali, compiuto successivamente al sorgere del credito e idoneo a pregiudicare le ragioni del creditore, anche quando sia a titolo oneroso, ove il terzo (nella specie, la società conferitaria) fosse consapevole del pregiudizio. L’aumento di capitale a titolo gratuito intervenuto successivamente, con emissione di nuove azioni, non altera l’oggetto della revocatoria, poiché tali azioni rappresentano una ricollocazione di valori già presenti nella società conferita e restano ricomprese nel compendio oggetto dell’inefficacia.

Tribunale di Roma, 16 Febbraio 2023
Sulla revocatoria ordinaria di atti di trasferimento di partecipazioni sociali
L’azione revocatoria ordinaria rappresenta uno dei principali strumenti predisposti dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. Tale strumento, infatti, ha solo la funzione di...

L’azione revocatoria ordinaria rappresenta uno dei principali strumenti predisposti dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. Tale strumento, infatti, ha solo la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c., la cui consistenza, per effetto dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, si sia ridotta al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l'azione espropriativa. In coerenza con tale sua unica funzione, l'azione predetta ove esperita vittoriosamente, non determina il travolgimento dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma semplicemente l'inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che l'abbia vittoriosamente esperita, per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell'atto l'azione esecutiva ai sensi degli artt. 602 e ss. c.p.c. per la realizzazione del credito.

L’art. 2901 c.c. richiede la sussistenza di un elemento oggettivo e di uno soggettivo. Quanto al primo (c.d. eventus damni), non è necessario che il debitore si trovi in stato di insolvenza, essendo sufficiente che l’atto di disposizione da lui posto in essere produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva. Infatti, l’eventus damni ricorre non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nella esazione coattiva del credito. Ciò può verificarsi anche in caso di mera variazione qualitativa del patrimonio, tale da rendere più difficile la soddisfazione dei creditori. Quanto al secondo elemento, è necessario che il debitore fosse consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore dall’atto dispositivo in questione (c.d. scientia damni). In particolare, allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, essendo l’elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza – a cui va equiparata la agevole conoscibilità – nel debitore di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis), né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore. Inoltre, quando si tratta di atto a titolo oneroso, è richiesta anche la consapevolezza del terzo acquirente del pregiudizio arrecato dall’atto alle ragioni creditorie. Tuttavia, anche in questo caso occorre distinguere a seconda che l’atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito. Nel primo caso, è necessario che l’atto dispositivo sia stato compiuto proprio in funzione del sorgere della futura obbligazione, allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto. Nel secondo caso, invece, è sufficiente la generica conoscenza – da parte del terzo contraente – del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso posto in essere dal debitore possa arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra il terzo e il debitore.

Ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la titolarità di un credito eventuale, quale quello oggetto di un giudizio ancora in corso, fermo restando che l'eventuale sentenza dichiarativa dell'atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l'esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato.

Il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell’eventus damni è quello in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio e in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all'atto di disposizione.

Tribunale di Milano, 6 Novembre 2023
Presupposti della concessione abusiva di credito
La concessione abusiva di credito sussiste allorquando il finanziatore conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in stato d’insolvenza o comunque di crisi conclamata. Con...

La concessione abusiva di credito sussiste allorquando il finanziatore conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in stato d’insolvenza o comunque di crisi conclamata. Con riguardo ai profili civili risarcitori, dalle condotte di abusivo ricorso e di abusiva concessione del credito possono derivare danni alla società amministrata o finanziata: in particolare, il danno tipicamente ricollegato a tali condotte è, sul piano economico, la diminuita consistenza del patrimonio sociale e, sul piano contabile, l’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività d’impresa. Ai fini della configurabilità della responsabilità del soggetto finanziatore, il curatore ha l’onere di dedurre e provare: (i) la condotta violativa delle regole che disciplinano l’attività bancaria, caratterizzata da dolo o colpa, intesa come imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p.; (ii) il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; (iii) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto; (iv) il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta.

Nel caso di pagamenti preferenziali, il danno cagionato si configura come un danno da mancata falcidia del credito pagato per intero ovvero da maggiore falcidia dei crediti ammessi; esso è dunque pari alla differenza tra quanto il creditore ha acquisito a titolo di pagamento e quanto avrebbe acquisito in moneta fallimentare, tale essendo l’ammontare della somma che, in mancanza di pagamento, sarebbe stata ripartita, secondo le relative regole, tra tutti gli altri creditori.

In tema di azione revocatoria, la conoscenza in capo all’altra parte dello stato di insolvenza di cui all’art. 67, co. 2, l. fall. (i.e., il requisito soggettivo) deve essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato e non pure la semplice conoscibilità oggettiva e astratta delle condizioni economiche della controparte. La relativa prova è a carico della procedura che agisce, la quale può assolvere a tale onere anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti ex artt. 2727 e 2729 c.c., posto che la legge non pone limiti in merito.

Lo stato d’insolvenza consiste in una situazione di impotenza economica che si realizza allorquando l’imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, in quanto sono venute meno le necessarie condizioni di liquidità e di credito. La sussistenza dello stato d’insolvenza non è esclusa dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e dall’assenza di conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. L’insolvenza si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Ai fini dell’accertamento dell’avvenuta percezione da parte dell’accipiens dei sintomi conoscibili dello stato di insolvenza deve tenersi conto delle qualità e delle specifiche conoscenze tecniche del creditore, delle sue qualità personali e professionali, nonché delle condizioni in cui si è trovato concretamente a operare, così da far ritenere che egli, facendo uso della normale prudenza e avvedutezza, non potesse non percepire i sintomi rivelatori della situazione di decozione del debitore. La misura della diligenza richiesta va parametrata alla categoria di appartenenza del terzo e all’onere di informazione tipico del settore di operatività.

L’esenzione dalla revocatoria prevista all’art. 67, co. 3, lett. b, l. fall. prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria della rimessa e quindi dal fatto che la stessa afferisca a un conto scoperto o solo passivo, ma impone al giudice del merito di accertare la revocabilità della rimessa stessa avuto riguardo, oltre che alla consistenza, alla durevolezza di essa. Tale accertamento non può essere surrogato dalla semplice quantificazione della differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperto il concorso. Occorre accertare, caso per caso, che il versamento sia stato riassorbito da successive operazioni di addebito con un riutilizzo della somma rispondente alle finalità cui assolve il servizio di cassa che il conto corrente bancario è idoneo a svolgere per sua stessa natura. Il duplice riferimento alla durevolezza e alla consistenza può anche essere inteso come riferimento a una riduzione dell’esposizione che permanga durevole, cioè che sia di importo e di durata tale da attestare come il rientro non sia fisiologico alla vita di un conto attivo per la vita della società, cioè caratterizzato da continue movimentazioni, ma sia divenuto di fatto funzionale a soddisfare il credito della banca che si riduca stabilmente con rientri consistenti anche se non necessariamente definitivi, non potendo, invece, operare la previsione nella differente ipotesi, ad esempio, di un conto corrente congelato.

Tribunale di Roma, 2 Agosto 2023
In Evidenza
Responsabilità di amministratori e sindaci di s.p.a.
L’azione sociale di responsabilità, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo,...

L’azione sociale di responsabilità, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Ne consegue che, mentre sull’attore grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi, il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. In altre parole, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo.

Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui natura extracontrattuale presuppone l'assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti e un comportamento dell’amministratore funzionale a una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere e ciò nei limiti della somma che, in assenza delle condotte di mala gestio commesse dagli amministratori, avrebbe ricevuto.

Al di fuori delle ipotesi di condotte dolosamente poste in essere a danno della società, non possono di regola essere considerate, come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società, quelle scelte e quelle iniziative imprenditoriali o gestionali degli organi amministrativi, quand’anche risultate in concreto economicamente poco positive, che rientrino nell’ambito del normale esercizio della libertà imprenditoriale e nel rischio di impresa. I risultati negativi della gestione non determinano responsabilità in capo all’organo amministrativo, in quanto le scelte imprenditoriali presuppongono una valutazione di opportunità e di convenienza, che attiene all’ambito della discrezionalità e come tale è sottratta al giudizio del giudice.

Le scelte gestionali connotate da discrezionalità soggiacciono alla c.d. business judgement rule, secondo la quale è preclusa al giudice la valutazione del merito di quelle scelte ove queste siano state effettuate con la dovuta diligenza nell’apprezzamento dei loro presupposti, delle regole di scienza ed esperienza applicate e dei loro possibili risultati, essendo consentito al giudice soltanto di sanzionare le scelte negligenti o addirittura insensate, macroscopicamente ed evidentemente dannose ex ante. In particolare, la mancata o tardiva predisposizione dei bilanci da sottoporre all’approvazione dell’assemblea, pur costituendo indubbiamente una violazione dei doveri di diligenza dell’organo amministrativo, di carattere formale, non determina in re ipsa la responsabilità dell’amministratore nei confronti dei soci e della massa dei creditori, dovendosi allegare e comprovare che da tale omissione sia derivato un danno risarcibile.

Con riferimento ai sindaci, questi ultimi rispondono non per il fatto in sé che il danno sia stato dagli amministratori cagionato, ma solo in quanto sia configurabile, a loro carico, la violazione di un obbligo inerente alla loro funzione e, in particolare, dell’obbligo di vigilare sull’amministrazione della società con la diligenza richiesta dal primo comma dell’art. 2407 c.c., di denunziare le irregolarità riscontrate e di assumere le iniziative sostitutive o conseguenti. La responsabilità dei sindaci è, quindi, limitata ai danni derivanti da quegli illeciti che i sindaci avrebbero potuto o dovuto impedire esercitando, in maniera diligente, il loro controllo e, per converso, è esclusa per i danni, derivanti da comportamenti degli amministratori che i sindaci vigilando con professionalità e diligenza non avrebbero comunque in alcun modo potuto evitare.

L’esistenza di un debito contestato determina la necessità della formazione di un fondo rischi, in cui devono essere rappresentate le passività di natura determinata e di probabile esistenza, i cui valori deve essere stimati, trattandosi di passività potenziali connesse a situazioni già esistenti alla data di bilancio, ma caratterizzate da uno stato d’incertezza. La valutazione del rischio di effettiva sussistenza di passività non ancora determinate al momento di chiusura dell’esercizio consiste non nel rilievo di una vicenda gestoria oggettivamente già conclusa, ma nell’apprezzamento ex ante delle probabilità/possibilità di evoluzione di una situazione. La correttezza di tale apprezzamento, spettante in primis all’organo amministrativo quale redattore della bozza di bilancio e poi all’assemblea dei soci all’atto dell’approvazione del documento contabile, non è dunque ancorata a dati oggettivi, ma va rapportata ai canoni generali di prudenza e ragionevolezza sottesi alla redazione del bilancio, la cui violazione può, pertanto, portare a far ritenere scorretta la valutazione e, conseguentemente, inficiato il bilancio da carenze quanto all’appostazione di fondo rischi e, quindi, contrastante anche con il principio di verità.

È estensibile ad altri tipi di società di capitali il disposto di cui all'art. 2467 c.c. che, nelle s.r.l., prevede la postergazione del rimborso del finanziamento del socio concesso in situazioni che renderebbero necessario un conferimento, perché la ratio della norma consiste nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle società chiuse. Tale disciplina deve trovare pertanto trovare applicazione anche al finanziamento del socio di una s.p.a., qualora le condizioni della società siano a quest'ultimo note, per lo specifico assetto dell'ente o per la posizione da lui concretamente rivestita, quando essa sia sostanzialmente equivalente a quella del socio di una s.r.l.

Tribunale di Bologna, 4 Agosto 2023
L’azione revocatoria non è soggetta alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa
L’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., in quanto volta a provocare soltanto l’inefficacia c.d. relativa di un atto di disposizione patrimoniale, non incide sull’assetto della società e sull’entità del suo...

L’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., in quanto volta a provocare soltanto l’inefficacia c.d. relativa di un atto di disposizione patrimoniale, non incide sull’assetto della società e sull’entità del suo patrimonio, sicchè la relativa controversia non va ricompresa tra quelle devolute alla competenza funzionale inderogabile della sezione specializzata, neppure tra quelle relative ai rapporti societari lato sensu intesi. Le sezioni specializzate non sono competenti a conoscere della suddetta azione, neppure per ragioni di connessione, ove detta azione sia esercitata cumulativamente a quella di responsabilità degli amministratori. Infatti, tra le due azioni sussistono elementi di mera connessione soggettiva e non anche di connessione oggettiva e/o qualificata di cui agli artt. 31, 32, 34 e 35 c.p.c.

In caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all'azione di responsabilità proposta unitariamente dal curatore ai sensi dell'art. 146 l.fall. diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali e nella quale confluiscono sia l'azione prevista dall’art. 2393 c.c., che quella di cui all’art. 2394 c.c., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare poiché i creditori sono terzi rispetto alla società.

Tribunale di Venezia, 3 Maggio 2023
In Evidenza
Revocatoria dell’atto di scissione e sequestro conservativo ex art. 2905, co. 2, c.c. dei beni delle beneficiarie della scissione
L’art. 2504 quater c.c. (richiamato, in tema di scissione, dall’art. 2506 ter c.c.), ponendo un limite cronologico entro il quale può essere esperita l’azione di accertamento delle nullità rilevanti erga...

L’art. 2504 quater c.c. (richiamato, in tema di scissione, dall’art. 2506 ter c.c.), ponendo un limite cronologico entro il quale può essere esperita l’azione di accertamento delle nullità rilevanti erga omnes, opera su un piano differente da quello dell’actio pauliana che incide, invece, sull'efficacia dell’atto limitatamente a vantaggio del solo creditore che abbia agito in revocatoria. I due rimedi, quello dell'opposizione del creditore e quello dell'azione revocatoria, sono tra loro concorrenti.

La scissione parziale di una società può determinare una diminuzione della garanzia generica assicurata ai terzi creditori dal patrimonio netto della società scissa, che viene a essere anche solo in parte scorporato, configurandosi in astratto il presupposto oggettivo dell’eventus damni richiesto per l’esercizio della tutela revocatoria, laddove nella parte di patrimonio della società scissa, trasferito a quella beneficiaria, siano ricompresi beni immobili.

Nel caso di scissione, il cumulo di società debitrici, realizzato dall'art. 2506 quater, co. 3, c.c., determinando un frazionamento del limite di responsabilità tra coobbligati, comporta il pregiudizio (idoneo a integrare il presupposto dell'eventus damni richiesto dall'art. 2901 c.c.) per il creditore tenuto, in caso di incapienza del limite di valore del singolo debitore, a dover moltiplicare le azioni dirette alla soddisfazione dell'intero importo del credito.

Il periculum in mora, nel caso di sequestro ai sensi dell'art. 2905, co. 2, c.c., si atteggia come pericolo di perdere la possibilità di poter aggredire in via esecutiva, ex art. 2902, co. 1, c.c., quella parte di patrimonio di cui il debitore ha già disposto in favore dei terzi. L'esistenza del periculum in mora deve essere verificata con riferimento al rischio concreto che il terzo acquirente si disfi, a sua volta, del bene proveniente dal patrimonio del debitore.

L’oggetto del sequestro conservativo disciplinato dall’art. 2905, co. 2, c.c., non è la pluralità dei beni appartenenti al patrimonio del debitore fino alla concorrenza dell’importo corrispondente al credito, come nell’ipotesi generale di sequestro conservativo, ma esattamente il bene alienato dal debitore.

Tribunale di Napoli, 22 Luglio 2022
Cessazione della materia del contendere e ripartizione delle spese processuali
La cessazione della materia del contendere è una forma di definizione del processo conseguente al sopravvenuto mutamento della situazione dedotta in giudizio, di cui le parti si danno reciproco atto,...

La cessazione della materia del contendere è una forma di definizione del processo conseguente al sopravvenuto mutamento della situazione dedotta in giudizio, di cui le parti si danno reciproco atto, che fa venir meno la ragion d'essere della lite. Si tratta di un istituto giuridico, non regolamentato dal codice di procedura civile, di elaborazione giurisprudenziale, che porta ad una definizione del giudizio ontologicamente diversa rispetto alla rinuncia agli atti o all’azione, perché vengono meno le ragioni per le quali si è in giudizio a causa di eventi sopravvenuti, ma che conduce alle medesime conseguenze relativamente all’impossibilità di proseguire il processo. Con riguardo alle spese di lite, venuta meno la materia del contendere quanto al diritto sostanziale originariamente dedotto in giudizio, ove persista tra le parti contrasto sulla ripartizione delle spese processuali, esso deve essere risolto mediante il ricorso al principio della cosiddetta soccombenza virtuale.

Tribunale di Palermo, 12 Dicembre 2022
Azione revocatoria dell’atto di rinunzia all’esercizio del diritto di opzione
Con riguardo all’atto di rinunzia all’esercizio del diritto di opzione, è esperibile l’azione revocatoria soltanto qualora il diritto di opzione costituisca un bene in sé, dotato di autonomo valore di...

Con riguardo all’atto di rinunzia all’esercizio del diritto di opzione, è esperibile l’azione revocatoria soltanto qualora il diritto di opzione costituisca un bene in sé, dotato di autonomo valore di mercato. Ed invero, la revoca della rinuncia o del mancato esercizio del diritto di opzione relativo all’aumento di capitale di una società giammai può consentire al creditore  di aggredire le quote oggetto del mancato esercizio dell’opzione stessa, ciò in quanto effetto della revoca è unicamente la declaratoria di inefficacia dell’atto revocato e il conseguente assoggettamento del bene oggetto della rinuncia (id est, del diritto d’opzione) all’azione esecutiva, ossia all’espropriazione forzata, sì che dalla vendita forzata dei diritti d’opzione il creditore possa ricavare quanto necessario alla realizzazione del suo credito.

Il valore della rinuncia al diritto di opzione non può equivalere al valore delle quote rinunciate, né tanto meno del capitale sociale, bensì esso dipende unicamente dal mercato in cui si incontrano l’offerta e la domanda di tale diritto. Ebbene, nelle s.r.l., diversamente dalle s.p.a. – dove, alla luce delle previsioni dell’art. 2441 cc., il diritto di opzione presenta un indubbio valore economico in sé –, il diritto di opzione non ha automaticamente un valore patrimoniale autonomo. Ciò rende ammissibile l’azione revocatoria della rinuncia al diritto di opzione nelle forme di cui all’art. 2901 c.c. soltanto qualora a seguito dell’istruttoria venga accertato che tale diritto abbia un effettivo valore. Se, invece, tale valore dovesse risultare nullo alla data della delibera di aumento del capitale sociale e della rinuncia all’esercizio del diritto di opzione, è da escludere qualsiasi pregiudizio alle ragioni dei creditori arrecato dalla condotta abdicativa del socio, con conseguente insussistenza del presupposto oggettivo della revocatoria esercitata. L’onere di provare tale valore economico ricade sul creditore che agisce in revocatoria, il quale deve dimostrare la rilevanza quantitativa e qualitativa dell’atto di disposizione (eventus damni), che giustifichi l’iniziativa processuale assunta; mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti dell’azione revocatoria, provare che il proprio patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.

Il socio soltanto anteriormente alla scadenza del termine previsto per l’esercizio del diritto di opzione può, nei limiti in cui sia consentito dalle norme statutarie, cedere il diritto stesso a terzi non soci.

Tribunale di Milano, 5 Aprile 2022
Sottrazione fraudolenta per cessione di partecipazioni sociali in presenza di debito
La cessione di partecipazioni sociali preordinata a frustrare il soddisfacimento di un credito del cedente è soggetta a revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. L’accertamento dell’illegittimità della cessione richiede la...

La cessione di partecipazioni sociali preordinata a frustrare il soddisfacimento di un credito del cedente è soggetta a revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. L’accertamento dell’illegittimità della cessione richiede la prova dell’esistenza dell’atto dispositivo e la valutazione dei presupposti oggettivo e soggettivo, ossia del prodursi dell’evento dannoso e dell’intenzionalità del danno.

L’accertamento del presupposto oggettivo richiede la prova della preesistenza di una posizione debitoria dei convenuti rispetto all’atto dispositivo e il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Quanto alla “scientia fraudis”, essa può essere ritenuta provata quale conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, da indizi gravi, precisi e concordati ove il primo acquirente, legato da vincolo familiare al venditore-debitore, a breve distanza abbia rivenduto tutte le quote acquistate.

Tribunale di Catanzaro, 17 Marzo 2023
Rapporti tra azione revocatoria ordinaria di una cessione di partecipazioni e azione di petizione ereditaria
L’azione revocatoria ordinaria può essere esperita anche quando non ci sia certezza che il credito sia liquido ed esigibile. È sufficiente, infatti, una semplice aspettativa che non si riveli prima...

L’azione revocatoria ordinaria può essere esperita anche quando non ci sia certezza che il credito sia liquido ed esigibile. È sufficiente, infatti, una semplice aspettativa che non si riveli prima face infrondata, ma che sia quindi probabile.

Nel caso in cui sia richiesta la prova della partecipazione di terzi agli atti di cui si chiede l’azione revocatoria, la prova della participatio fraudis del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente.

Non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità dipendenza fra l’azione revocatoria e l’azione di petizione ereditaria ex art. 533 c.p.c. Pertanto, nel caso in cui sussistano i presupposti per l’applicazione di entrambe, nulla osta al titolare dell’aspettativa di credito di esperire ambedue le azioni.  Infatti, la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito, con l’unico limite che l’eventuale sentenza dichiarativa dell’atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l’esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato.

Tribunale di Catania, 27 Gennaio 2022
Criteri di liquidazione del danno nell’azione di responsabilità dell’amministratore. La prova della simulazione da parte del curatore
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli...

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.

La sola mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili è circostanza in sé non dirimente, ma, in un quadro più complesso di gravi inadempienze, colora ulteriormente la condotta dell’amministratore (an) in termini di ampiezza, avvalorando la sussistenza di una condotta generalizzata idonea a porsi come causa del danno lamentato, suscettibile di essere liquidato per via equitativa ove la detta mancata o irregolare tenuta delle scritture sociali impedisca l’accertamento degli specifici effetti dannosi. In coerenza a ciò, il giudice, quando si avvalga del criterio equitativo per la quantificazione del danno, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l’insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell’amministratore e, dall’altro, l’accertamento del nesso di causalità materiale tra queste ultime ed il danno allegato sarebbe stato precluso dall’insufficienza delle scritture contabili sociali.

Il criterio del c.d. differenziale dei netti patrimoniali trova utilizzo nei casi in cui sia possibile ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e concludere che, nel caso in cui la gestione caratteristica non fosse proseguita sino al momento dell’apertura del concorso dei creditori, ma fosse cessata prima, la perdita di patrimonio sociale sarebbe stata inferiore. In tali ipotesi l’antigiuridicità della condotta degli amministratori discende dai principi dettati dall’art. 2447 c.c., che impone, unitamente a quelli di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., la convocazione dell’assemblea dei soci per l’adozione di una delibera “salvifica” (trasformazione o ricapitalizzazione), o, in difetto, la messa in liquidazione della società, in tutti i casi in cui la perdita di esercizio abbia l’effetto di ridurre il capitale sociale al di sotto dei limiti fissati dalla legge.

Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore ai sensi dell’art 2393 c.c. – sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia, infine, che si configuri più genericamente come effetto di responsabilità ex lege, e tanto se si tratti di danno emergente come di lucro cessante – riveste natura di debito di valore e non di debito di valuta, il quale è, pertanto, sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare dello stesso, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo.

Nel giudizio in cui eserciti l’azione di simulazione spettante al contraente fallito, il curatore stesso cumula la legittimazione già spettante al fallito con quella già spettante ai creditori, agendo pertanto, come terzo quoad probationis. Pertanto, la prova della simulazione da parte del curatore è pienamente ammessa senza limiti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1416, co. 2, e 1417 c.c. e, dunque, sia a mezzo testimoni che per presunzioni.

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