Sulla decorrenza del termine per l’impugnazione della delibera di S.p.A. in caso di azioni sequestrate e sul termine per la tutela risarcitoria
I termini ristretti per impugnare le delibere societarie (rispettivamente 180 giorni nei casi nullità ex art. 2379 c.c. e 90 giorni nei casi di annullabilità ex art. 2377) sono disposti a tutela della stabilità delle decisioni societarie e, pertanto, con riferimento al termine di 90 giorni con cui far valere il vizio di annullabilità della delibera per la violazione del diritto di opzione ex art. 2441, va rilevato che esso decorre, a pena di decadenza, anche in pendenza di sequestro e poi confisca di prevenzione delle azioni della S.p.A., durante i quali, peraltro, l’esercizio dei diritti sociali non è sospeso ma è affidato all’amministratore giudiziario. Le ipotesi di sospensione e interruzione di tale termine sono tassative ai sensi dell’art. 2941 c.c. e, per questo, non suscettibili di interpretazione analogica, ferma restando la tutela risarcitoria esperibile nel termine quinquennale ai sensi dell’art. 2949 c.c., risultando le norme dell’art. 2377 comma 8, dell’art. 2378 comma II, in tema di delibere annullabili, e dell’art. 2379 ter, ultimo comma c.c., in tema di delibere nulle, l’espressione del generale diritto alla tutela risarcitoria, che assicura il ristoro del pregiudizio subito dall’altrui condotta quando non sia prevista (o non sia più esperibile) una tutela in forma specifica; il il breve termine di novanta giorni per la delibera annullabile deve ritenersi previsto a pena di decadenza soltanto per l’impugnazione della delibera, mentre l’eventuale tutela risarcitoria va azionata negli ordinari termini che, in materia societaria, sono soggetti alla prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c.
Invalidità della delibera di aumento di capitale per violazione del diritto di opzione
La delibera con la quale, a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, si decida l’azzeramento e il contemporaneo aumento del capitale sociale, consentendone la sottoscrizione immediata e per intero a uno solo dei soci, presente all’assemblea, in tanto è valida in quanto venga contestualmente assegnato ai soci che ne abbiano diritto (soci assenti all’assemblea o soci presenti ma impossibilitati ad una sottoscrizione immediata) il termine di trenta giorni, pari al periodo minimo previsto dall’art. 2481 bis, co. 2, c.c., per l’esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell’acquisto delle partecipazioni sottoscritte dal socio in misura eccedente a quella di propria spettanza. Altrimenti, la delibera sociale così assunta si porrebbe in netto contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 2481 bis, co. 2, c.c. nella parte in cui prevede che la decisione di aumento di capitale debba assegnare un termine di almeno trenta giorni ai soci per esercitare il diritto di sottoscrizione, posto che l’esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove pro quota e retroattivamente gli effetti dell’originaria sottoscrizione immediata e per intero del socio presente.
Se è vero che la qualità di socio deve sussistere, pena la carenza di interesse, dall’inizio dell’impugnazione fino alla decisione della causa, è anche vero che, qualora dalla decisione dipenda la permanenza dell’attore nella società, l’interesse ad agire sussiste in ogni caso, proprio perché dalla decisione dipende la qualità di socio.
Irrilevanza dei motivi dei soci con riferimento ad approvazione di delibera assembleare
L’impugnazione proposta avverso delibera assembleare avente oggetto asseritamente illecito, potendo essere proposta da chiunque vi abbia interesse per espressa previsione dell’art. 2479 ter c.c., può essere proposta anche da colui che non sia socio. La nullità prevista da tale norma è, tuttavia, correlata alla illiceità e impossibilità dell’oggetto stesso della delibera, non rilevando, invece, i motivi che hanno condotto i soci a deliberare in tal senso. (Nel caso di specie l’attore sosteneva che la delibera di aumento di capitale avesse come fine ultimo quello di consentire, nel contesto di un appalto pubblico, l’ingresso nella società appaltatrice a soggetto riconducibile al committente, ciò in aperta violazione della normativa applicabile a tale specifica materia.)
Illegittimità della delibera di aumento di capitale che obbliga il socio al conferimento in natura
È illegittima la delibera assembleare che, nel quadro di un’operazione di aumento di capitale scindibile, preveda in capo a un socio l’obbligo di sottoscrizione mediante conferimento in natura e, in mancanza di esercizio di tale diritto d’opzione, la possibilità per gli altri soci di esercitare la prelazione sull’inoptato. In tal caso, infatti, il socio verrebbe posto di fronte all’alternativa se perdere la proprietà del bene e mantenere intatta la propria partecipazione o perdere (o vedersi diluita) la propria partecipazione, mantenendo la proprietà del bene.
L’illegittimità della delibera che prevede una tale operazione non verrebbe inficiata da eventuali patti parasociali, dato che essi riguardano i rapporti tra soci e non possono, quindi, determinare il comportamento di questi ultimi verso la società.
Inammissibilità, per mancanza di sussidiarietà, di un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. volto a ottenere la sospensione degli effetti di una delibera di s.r.l. di aumento di capitale
Nelle società di capitali, la sospensione degli effetti di deliberazioni degli organi sociali, quand’anche incidenti sul mantenimento della posizione sociale di uno o più soci, può essere richiesta, a norma dell’art. 2378, co. 4, c.c. (richiamato, per le s.r.l., dall’art. 2479-ter, c.c.), soltanto con ricorso depositato contestualmente alla proposizione di un’azione di annullamento o nullità della relativa deliberazione, con la conseguenza che risulta preclusa al socio la possibilità di ottenere la medesima tutela mediante l’esperimento del rimedio residuale e “atipico” di cui all’art. 700 c.p.c. [ LEGGI TUTTO ]
Rinuncia al diritto di opzione relativo ad aumento di capitale e liquidazione della partecipazione sociale: interpretazione degli accordi tra soci
L’accordo fra soci che abbia ad oggetto la rinuncia al diritto di opzione contro il pagamento di un prezzo ha pacificamente natura negoziale e pertanto il giudice deve attenersi ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. nell’interpretare detto accordo al fine di stabilire se la causa del pagamento del prezzo sia da ravvisarsi nella rinuncia al diritto di opzione e non alla liquidazione della quota in esito all’esercizio del diritto di recesso (come l’intitolazione del contratto suggeriva).
Azione individuale del socio ex art. 2395 c.c. e relativo onere probatorio
L’azione individuale spettante ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni ad essi derivati per effetto di atti dolosi o colposi degli amministratori rientra nello schema della responsabilità aquiliana e presuppone che i danni stessi non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati ai soci o terzi, come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi; tale azione individuale, pertanto, è rimedio utilmente esperibile solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l’azione degli amministratori. La riconducibilità della responsabilità ex art. 2395 c.c. allo schema della responsabilità aquiliana comporta che è sul socio che agisce che grava l’onere di allegare in maniera specifica e di provare a) la addebitabilità, agli amministratori, di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita; b) i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e, non ultimo, c) il nesso eziologico tra gli addebiti formulati ed i danni prospettati.
Aumenti di capitale e contratti di trasferimento di quote sociali ad efficacia obbligatoria, vendita di quote sociali altrui e differenze con la cessione di partecipazione propria
Non esiste nell’ordinamento un divieto di formulare nello stesso giudizio domande fra di loro incompatibili, purché ciascuna di esse sia sufficientemente descritta (Cass. civ., sez. III, n. 8674/2017). [ LEGGI TUTTO ]
Cessazione della materia del contendere e statuizione sulle spese processuali
La cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale e contenuta in una pronuncia dichiarativa, cui il giudice può e deve addivenire, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, allorquando [ LEGGI TUTTO ]
Sottoscrizione dell’aumento di capitale di una società controllata da una società pubblica a seguito di gara e danno conseguente a carenze informative sulle reali condizioni della società emittente
Il giudice ordinario ha giurisdizione in relazione a un’azione promossa a titolo di responsabilità precontrattuale, o comunque aquiliana, dal socio privato che, dopo aver sottoscritto a seguito di regolare procedura ad evidenza pubblica [ LEGGI TUTTO ]