L’azione ex art. 2394 c.c. nell’esecuzione di un concordato preventivo e la responsabilità per asserita illegittima prosecuzione dell’attività
Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dell’amministratore nei confronti dei creditori sociali rimane sospeso tra la data dell’omologazione del concordato preventivo e la data di risoluzione dello stesso in ragione dell’obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori ai sensi dell’art. 184 l. fall., cosicché risulta agli stessi preclusa l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, tenuto conto dell’estinzione dei crediti per la parte che supera la percentuale prospettata nella proposta concordataria.
L’individuazione del momento in cui si è verificata la perdita del capitale sociale e/o della continuità aziendale è rilevante per accertare la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati alla società e ai creditori, per effetto dell’illegittima prosecuzione dell’attività sociale ex art. 2486 c.c., in relazione ad atti non conservativi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento. Gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili delle perdite maturate dall’impresa, senza la prova che il deficit patrimoniale sia stato conseguenza delle condotte gestorie compiute dopo la riduzione del capitale sociale, e possono essere chiamati a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla loro condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale.
Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’ex amministratore per illegittima prosecuzione dell’attività dopo il realizzarsi di una causa di scioglimento deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.
Presupposti dell’istanza cautelare di revoca ante causam dell’amministratore
Il fumus boni iuris e il periculum in mora per la revoca dell’amministratore di s.r.l. andrebbero indirizzati sui presupposti di merito dell’azione di responsabilità, vale a dire la fondatezza della contestazione circa l’inadempimento e il pericolo che le ulteriori condotte scorrette dell’amministratore aggravino il danno della società, per il risarcimento del quale si agisce in via principale. Ciò in quanto l’azione ex art. 2476, co. 3, c.c. consente l’adozione di una misura cautelare tipizzata meramente strumentale e preventiva all’azione sociale di responsabilità prevista dal medesimo articolo, avente contenuto solo risarcitorio, dovendosi escludere l’esistenza di un diritto sostanziale del socio alla revoca degli amministratori dalla loro carica.
Il concetto di “grave irregolarità”, ai fini della proposizione dell’istanza, anche in via cautelare ed urgente, dell’amministratore di s.r.l., deve essere mutuato dalla legge. Sebbene la norma parli di irregolarità “di gestione” non è dubbio che tale termine debba ritenersi comprensivo dell’inadempimento di tutti gli obblighi amministrativi che fanno capo all’amministratore per legge o per statuto, dunque non solo quelli strettamente gestionali, ma anche quelli relativi al funzionamento dell’organizzazione societaria, cioè gli adempimenti o atti di impulso concernenti i rapporti con i soci o con gli altri organi sociali, che gli amministratori sono tenuti a compiere per legge o per obbligo statutario.
Quanto al periculum in mora, è sufficiente osservare che la situazione di prolungata assoluta inerzia posta in essere dall’amministratore compromette gravemente l’operatività della società ed è potenzialmente foriera di gravi danni economici per la stessa. Con particolare riferimento alla mancata approvazione dei bilanci per diversi anni consecutivi, detta grave violazione dei doveri inerenti alla carica risulti foriera di pregiudizi per il patrimonio sociale, dato che, in mancanza di un’aggiornata rendicontazione della situazione economico-patrimoniale, l’organo amministrativo prosegue nell’attività gestoria senza ordine, creando per di più una situazione idonea a scoraggiare i terzi dall’intraprendere rapporti negoziali con la società, perché essi rimangono privi di informazioni ufficiali, anche in ordine all’assolvimento degli obblighi in materia fiscale.
Il socio nella governance della s.r.l.
Nelle azioni di responsabilità promosse individualmente dal socio contro gli amministratori di s.r.l. sussiste litisconsorzio necessario con la società medesima, in quanto l’autonoma iniziativa del socio, riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. senza vincolo di connessione con la quota di capitale dallo stesso posseduta, non toglie che si tratta pur sempre di un’azione sociale di responsabilità, rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.
L’art. 2476 c.c. è norma cardine della disciplina della s.r.l., in quanto delinea il complessivo sistema di tutele riconosciute al socio di minoranza in tale compagine, attribuendo, in primo luogo, ai soci che non partecipano all’amministrazione ampi e inderogabili poteri di controllo, assegnando loro un ruolo chiave nei meccanismi di governance. Tale penetrante diritto di controllo sta alla base di tutti gli altri strumenti di tutela a disposizione del socio di s.r.l., in quanto propedeutico alla tutela giurisdizionale volta sia ad accertare la responsabilità degli amministratori, che a ottenere il risarcimento di un danno, sia quello subito dal patrimonio sociale, sia quello direttamente subito dal socio. Il diritto di controllo si esplicita in primo luogo nel diritto di ricevere informazioni e nel diritto di ispezione, che non subiscono alcuna restrizione di natura temporale, sicché ciascun socio che non partecipi all’amministrazione ha diritto di ispezionare tutta la documentazione contabile e amministrativa della società, anche risalente negli anni e anche quella relativa ad esercizi interessati da pregresse gestioni (con l’unico limite del divieto di abuso nel caso di richiesta di informazioni già note, ovvero nel caso di azioni di mero disturbo). In questa prospettiva si spiega altresì la scelta del legislatore di mantenere la legittimazione del singolo socio ad impugnare le delibere assembleari invalide ex art. 2479 ter c.c. All’iniziativa del singolo socio sono lasciati ampi poteri di reazione ai comportamenti illegittimi della maggioranza o degli amministratori e in tale assetto complessivo – che costituisce il nucleo tipizzante la s.r.l. – non trova alcuna giustificazione una interpretazione restrittiva della legittimazione del socio, volta a limitare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei soli confronti degli amministratori in carica.
La condizione di inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c. presuppone che, da una parte, il finanziamento sia stato disposto e, dall’altra, il rimborso sia stato richiesto in presenza di una situazione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, ossia di una situazione di crisi qualificata, sostanzialmente equiparabile all’insolvenza, la quale unicamente giustifica la considerazione di un concorso virtuale tra i creditori.
Responsabilità degli amministratori e business judgment rule
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Il thema probandum si articola dunque nell’accertamento di tre elementi: (i) l’inadempimento di uno o più degli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo statuto e/o dell’obbligo generale di diligenza previsto dall’art. 2392 c.c. (incombente anche sugli amministratori di s.r.l.), (ii) il danno subito dalla società e (iii) il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere.
Nell’ambito di detto accertamento resta invece preclusa l’indagine relativa al c.d. merito gestorio non potendosi valutare la discrezionalità dei singoli atti di gestione sotto il profilo della mera opportunità o convenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attività d’impresa, comporta fisiologicamente un alto margine di rischio e richiede il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’organo amministrativo in relazione alla scelta delle operazioni da intraprendere. Ne consegue che, se fosse possibile compiere una valutazione sull’opportunità e convenienza delle scelte di gestione, si legittimerebbe un’indebita ingerenza dell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia gestionale dell’organo amministrativo e con probabile paralisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa. Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori. Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, d’altro canto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti inadempienti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti inadempimenti.
I limiti della c.d. business judgement rule
L’insindacabilità del merito delle decisioni degli amministratori (c.d business judgement rule) è soggetta all’eccezione concernente la valutazione di omissioni di cautele, verifiche ed informazioni normalmente richieste per le scelte gestionali nell’ambito del processo decisionale, ovvero di scelte irragionevoli o arbitrarie, come nel caso di operazioni particolarmente avventate, irrazionali, improntate a leggerezza o imprudenza.
Responsabilità del componente del CdA per esborsi extra sociali e distrazione delle risorse societarie
Responsabilità dell’amministratore per atti distrattivi
L’azione di responsabilità del curatore per gli illeciti gestori degli amministratori estesa anche agli amministratori di fatto
Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (o 2476 c.c. per le s.r.l.), sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice (2476, sesto comma, c.c. per le s.r.l.). L’azione sociale di responsabilità ha pacificamente natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento.
Il mancato deposito delle scritture contabili, il mancato deposito del bilancio annuale di esercizio e la dispersione dell’attivo indicato nell’ultimo bilancio depositato, nonché la quasi integrale assenza di attivo rinvenuto dal curatore sono circostanze di fatto che legittimano la quantificazione del danno ricorrendo al criterio equitativo dello sbilancio non permettendo l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del amministratore.
L’individuazione della figura del c.d. “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per debiti tributari
Gli amministratori sono tenuti al pagamento, alle scadenze previste, dei debiti della società verso l’Erario – debiti dei quali essi non sono personalmenteresponsabili sul piano patrimoniale – utilizzando a tale scopo le risorse economico-patrimoniali della Società stessa. L’inadempimento dei suddetti obblighi di pagamento espone gli amministratori a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori sociali per i danni ad esso conseguenti. Occorre tuttavia distinguere: a) il caso in cui la società – quando l’amministratore ha omesso il pagamento del dovuto all’Erario – era in bonis, dunque aveva liquidità ed era in grado di pagare i debiti erariali, ed allora l’amministratore inadempiente dovrà rispondere dei danni procurati alla società in misura pari alle sanzioni, interessi ed aggi addebitati dall’Erario alla società stessa, come liquidati nel relativo accertamento tributario ovvero cartella esattoriale; b) il caso in cui l’amministratore eccepisca e provi ex art. 1218 c.c. di non aver potuto pagare le imposte in ragione dell’incapacità finanziaria/incapienza patrimoniale della società; c) il caso in cui, pur non essendo la società in grado di pagare i debiti erariali ed in stato di scioglimento per perdita del capitale sociale, tuttavia l’amministratore abbia illegittimamente proseguito nello svolgimento di attività economica con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale, caso in cui egli risponderà dei danni in misura pari al debito per sanzioni, interessi ed aggi addebitati alla società con riferimento a quei debiti erariali non pagati che la società non avrebbe contratto se fosse stata tempestivamente posta in liquidazione ed avesse conseguentemente cessato l’attività.
Opponibilità della clausola compromissoria all’amministratore e rinuncia all’azione di responsabilità da parte della società
Con l’accettazione della carica, gli amministratori aderiscono alle regole previste nello statuto e instaurano con la società un rapporto di natura prettamente contrattuale, che, in quanto tale, non può subire modifiche unilaterali in quanto successive allo scioglimento del rapporto stesso. Deve quindi ritenersi che l’avvenuta espunzione della clausola compromissoria dallo statuto della società in epoca successiva alle dimissioni dell’ex amministratore convenuto non sia allo stesso opponibile.
Ai sensi dell’art. 816-septies c.p.c., se le parti non provvedono all’anticipazione delle spese nel termine fissato dagli arbitri, non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale. A tal fine non occorre una specifica pronuncia in sede arbitrale. Tra le spese, il cui mancato pagamento comporta lo scioglimento dalla convenzione di arbitrato, possono senz’altro includersi anche gli onorari degli arbitri.
Deve ritenersi valida ed efficace la rinuncia all’azione di responsabilità contro l’amministratore da parte della società che pure abbia un contenuto ampio e omnicomprensivo, riferendosi a ogni tipologia di azione di responsabilità eventualmente esperibile dalla società nei confronti degli ex amministratori e sindaci per “le condotte poste in essere in costanza della carica ricoperta”, si che sussiste chiara determinazione del perimetro delle condotte generatrici di possibile danno, il cui risarcimento è stato fatto oggetto di rinuncia. Inoltre, qualora tale rinuncia faccia salvi i danni prodotti da condotte caratterizzate da colpa grave, l’azione di responsabilità innestata su specifiche condotte di inadempimento poste in essere in violazione dei doveri imposti dagli amministratori dalla legge e dallo statuto, il cui accertamento prescinde dall’indagine su dolo o colpa dei soggetti destinatari dei menzionati doveri, secondo lo schema tipico della responsabilità contrattuale, dovrebbe farsi rientrare in pieno fra quelle oggetto di esplicita rinuncia.