Sulla configurabilità della concorrenza sleale per storno di collaboratori a progetto
Affinché l’attività di acquisizione dipendenti (cui vanno parificati i collaboratori stabilmente inseriti nell’organizzazione imprenditoriale della “stornata”) integri l’ipotesi della concorrenza sleale è necessario che sia stata attuata con la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura che ecceda il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro che scelgano di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della condotta ex art. 2598 n. 3 c.c. dovrebbe quindi essere desunta dall’obbiettivo essenziale che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso questo passaggio di dipendenti, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista. Non basta infatti che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente, anche attraverso l’acquisizione dei migliori collaboratori, ma è necessario che sia diretto a privarlo del frutto del “suo” investimento. Per individuare siffatta scorrettezza concorrenziale occorre innanzitutto considerare i mezzi utilizzati, valutando non solo le modalità di reclutamento dei dipendenti stornati, ma anche e soprattutto gli effetti potenzialmente “destrutturanti” sull’altrui organizzazione aziendale e la conseguente parassitaria sottrazione di avviamento (il che consente di ancorare ad elementi indiziari oggettivi il requisito del c.d. “animus nocendi”).
Emergenze di disagio imprenditoriale rappresentano una “voce di danno” non facilmente dimostrabile (e tantomeno quantificabile matematicamente, neppure con l’aiuto di un CTU) per la quale appare giustificato il ricorso alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.
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Carmine Di Benedetto
Dottorando di ricerca in Diritto privato, diritto romano e cultura giuridica europea presso l'Università di Pavia. Laurea in Giurisprudenza (110/110 con lode) presso Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano, 2013....(continua)