Responsabilità degli amministratori per la creazione di c.d. “fondi occulti” asseritamente impiegati nell’interesse sociale, prova del danno e interpretazione della clausola arbitrale contenuta in statuto
Nell’interpretazione della clausola arbitrale statutaria, in ossequio all’art. 1362 c.c., il giudice è tenuto a ricercare la comune intenzione delle parti senza arrestarsi al mero esame del senso letterale delle parole, ma pur sempre rispettando il valore semantico del linguaggio; sicché risulta preclusa un’attività ermeneutica in assoluto e insanabile contrasto con il significato comunemente attribuito alle espressioni usate (nella specie, è stato ritenuto che i giudizi di responsabilità ex art. 2392 c.c. fossero esclusi dall’ambito applicativo di una clausola statutaria a mente della quale venivano devolute alla competenza arbitrale “tutte le controversie tra gli azionisti o tra gli azionisti e la società relativa a qualsiasi diritto disponibile concernenti rapporti societari” nonché “qualsiasi controversia proposta tra gli amministratori, liquidatori e/o sindaci della società”, reputandosi, in particolare, che il deferimento in arbitri di tali ultime controversie e non quelle tra società e amministratori e/o sindaci rispondesse ad una scelta discrezionale precisa e razionale, in quanto“mirata ad evitare l’appesantimento delle azioni di responsabilità verso gli amministratori con il fardello delle azioni di regresso fra i soggetti chiamati in responsabilità solidale”).
Il principio della c.d. “competence-competence” e il potere degli arbitri di sindacare la sussistenza del proprio potere non implica che il giudice ordinario non abbia a sua volta il potere di verificare se la controversia a lui sottoposta rientri, o meno, nell’ambito della sua competenza.
L’adesione degli amministratori alla clausola arbitrale contenuta in statuto, effettuata attraverso l’accettazione della carica, non ha effetto nei soli confronti della società, controparte del rapporto contrattuale, ma anche verso gli altri amministratori, pur in difetto di un rapporto contrattuale intercorrente specificamente con essi; a tal fine, infatti, è pienamente sufficiente l’esistenza di un rapporto giuridico, disciplinato dalla legge, fra gli amministratori facenti parte dello stesso organo collegiale e astretti dalla stessa responsabilità solidale.
La condotta rappresentata dalla creazione e dal successivo utilizzo di fondi c.d. occulti costituisce di per sé un comportamento antigiuridico fonte di responsabilità dell’amministratore verso la società, quand’anche le risorse accumulate fossero effettivamente utilizzate nell’interesse e a vantaggio di quest’ultima. Ciò in quanto, da un lato, la condotta determina la violazione dei principi di redazione del bilancio secondo chiarezza, verità e correttezza, posti a presidio degli interessi di soci e terzi e comporta probabilmente anche la consumazione dei reati di false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 e c.c. e di infedeltà patrimoniale di cui agli artt. 2634 e 2635 c.c.; dall’altro, non potrebbe sostenersi la pertinenza all’oggetto sociale o la corrispondenza all’interesse sociale di atti che tendono a costituire e posizionare altrove elementi del patrimonio della società, privandoli della funzione di strumentalità con l’attività da essa svolta.
In caso di creazione di fondi c.d. occulti, la società attrice in risarcimento del danno è tenuta solo a provare l’uscita di cassa di somme prelevate dall’amministratore, sul quale grava, invece, l’onere di provare e giustificare gli impieghi effettuati.