Cessione d’azienda e discrimen tra ammessa emendatio e inammissibile mutatio libelli
La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 cod. civ. con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo.
In altri termini, l’unico limite della modifica della domanda, che costituisce il vero discrimen tra ammessa emendatio ed inammissibile mutatio, è che l’originario elemento identificativo soggettivo delle persone rimanga immutato e che la vicenda sostanziale sia uguale, o quantomeno collegata (rectius “connessa a vario titolo”) a quella dedotta in giudizio con l’atto introduttivo. Ciò, per evitare che la controparte possa essere “sorpresa” dalla modifica e vedere mortificate le proprie potenzialità difensive [nella fattispecie in esame è processualmente emerso (e, segnatamente, nelle seconde memorie di cui all’art. 183 c.p.c.) che le parti, pur avendo articolato le loro domande sulla circostanza di avere stipulato un contratto di cessione di azienda a fronte della corresponsione di € 35.000,00, hanno in realtà concluso un contratto (dissimulato) in base al quale la detta cessione si sarebbe perfezionata con il pagamento della somma di € 75.000,00 e il giudice ha ritenuto che ciò fosse al di fuori del thema decidendum instauratosi].
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Giulia Giordano
Laurea con lode presso l'Università di Bologna; LL.M. International business and commercial law presso King's College London; Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso Università di Bologna; Junior...(continua)