Responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento
La disciplina di cui all’art. 2497 c.c. è applicabile anche alle società di gestione del risparmio. Invero, il disposto dell’art. 2497 co. 1 c.c. individua quali soggetti tipicamente responsabili, sussistendo gli altri presupposti ivi previsti, “le società o gli enti” che esercitano attività di direzione e coordinamento. In tal modo, tra l’altro, il legislatore ha affermato il principio per il quale la responsabilità di cui si discute trova il suo presupposto nell’esercizio concreto ed effettivo dell’attività in questione. Ne deriva, per un verso, che una società di gestione del risparmio, in quanto società commerciale, è immediatamente inclusa nel novero degli enti ai quali è fisiologica l’imputazione di attività di direzione e coordinamento e, per altro verso, che la sua legittimazione passiva è collegata all’avere o meno effettivamente esercitato tale attività. A quest’ultimo proposito, risulta del tutto irrilevante il fatto che la titolarità sostanziale delle partecipazioni di controllo detenute dalla società di gestione del risparmio fosse in capo ai fondi di investimento da essa gestiti, atteso che è pacifico ex art. 36 TUF che la capacità agire con riferimento ai beni inclusi nel fondo e il potere di gestione dei fondi stessi stanno in capo alla società di gestione del risparmio, talché è proprio nell’esercizio di questo potere che ben può manifestarsi ed essere esercitato quello, in esso incluso (eventualmente in quanto espressione dell’effettiva posizione di controllo), di esercitare direzione e coordinamento della società controllata (nel caso di specie, il Tribunale ha precisato come fosse irrilevante, ai fini dell’astratta configurabilità di una responsabilità da direzione e coordinamento in capo alla SGR, che le partecipazioni gestite dalla SGR fossero suddivise, quanto a titolarità sostanziale, in capo a due diversi fondi, a fronte del fatto che i diritti amministrativi inerenti tali partecipazioni venivano gestiti unitariamente dalla SGR, così essendo imputabile in astratto ad essa sia l’esistenza di un rapporto di controllo – intanto in quanto sussistenti le situazioni di cui all’art. 2359 c.c. – sia la capacità di esercitare attività di direzione e coordinamento nella società partecipata. Più in particolare si è osservato che la normativa rende irrilevante la titolarità delle partecipazioni di controllo, in quanto da un lato richiede per l’imputazione di responsabilità l’esercizio effettivo dell’attività di direzione e coordinamento e dall’altro sancisce l’incapacità dei fondi, anche se titolari sostanziali, di agire con riferimento alle partecipazioni di cui sono titolari.)
Secondo la giurisprudenza consolidata del Tribunale la responsabilità ai sensi del 2497 co. 1 c.c. sussiste quando ricorrono i seguenti presupposti: i) la condotta, vale a dire l’esercizio di attività di direzione e coordinamento da parte di una società nei confronti di altra; ii) l’antigiuridicità della condotta, cioè l’esercizio dell’attività nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; iii) l’evento-danno, ovvero il pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione del socio della società eterodiretta; iv) il nesso di causalità tra condotta ed evento-danno (nel caso di specie il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla società controllata contro la società controllante e la sub holding rilevando alcuni difetti di allegazione e, comunque, l’infondatezza nel merito della prospettazione. È stato accertato, almeno parzialmente, l’esercizio di attività di direzione e coordinamento in relazione ad un’operazione societaria complessa e collegata, comprendente due aumenti di capitale, uno nella sub holding, finalizzato all’ingresso nella compagine sociale di un nuovo partner commerciale straniero ma condizionato all’acquisizione da parte della controllante di una società straniera concorrente, ed uno nella controllata, finanziato dai vecchi soci, tra cui la sub holding, e finalizzato all’acquisto delle partecipazioni della società straniera concorrente. Tuttavia con riferimento a tale operazione sono stati ritenuti mancanti gli elementi dell’antigiuridicità della condotta, dell’evento dannoso e del nesso di causalità. In particolare si è ritenuto che non fosse in contrasto con le regole di buona gestione del gruppo e neppure volta esclusivamente a perseguire l’interesse delle controllanti la decisione di ricapitalizzare la sub holding anziché direttamente la controllata. Si è ritenuto altresì che la reale fattibilità di questo diverso scenario, in tesi più vantaggioso per la controllata, non fosse stata oggetto di adeguata prova. Il Tribunale ha dunque riaffermato che, in linea generale, la società controllata non ha diritto a reclamare finanziamenti dalla società controllante, la quale, in linea di principio, è libera di determinare le proprie scelte di investimento come meglio ritiene, salve situazioni peculiari ed i limiti eventualmente posti da principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale che possano rilevare nel caso specifico e che non sono stati ravvisati nel caso di specie. Sotto il diverso profilo della mancata prova del danno, il Tribunale ha poi evidenziato come una parte dell’aumento di capitale della sub holding sia stato rivolto a vantaggio della controllata di modo che tutto il costo di acquisizione della società concorrente venisse sostenuto, nei fatti, dalla sub holding e che residuasse comunque una parte di nuova finanza da destinare alla ricapitalizzazione della società controllata).