C.d. “criterio dei netti” e transazione stipulata con uno soltanto dei condebitori
Il “criterio dei netti patrimoniali” trova applicazione solo laddove non sia possibile ricostruire con sufficiente certezza le vicende che hanno condotto al dissesto e le singole operazioni dannose (anche negli effetti) e, comunque, va sempre giustificato il suo utilizzo, nel senso che l’applicazione del metodo in questione deve rispondere alla logica e al buon senso, poiché non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsi di una causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione dell’attività potendo, in parte, prodursi comunque anche in pendenza della liquidazione o durante il fallimento per il solo fatto della svalutazione dei cespiti aziendali in ragione del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività dell’impresa.
La differenza dei netti patrimoniali rettificati non può essere considerata interamente una perdita patrimoniale imputabile agli organi sociali, poichè anche durante la liquidazione – che, per sua natura, è attività “conservativa”, ma non certo priva di oneri – si producono costi che non possono essere imputati a titolo di danno. Pertanto la consistenza dell’aggravamento della perdita va considerata al netto dei costi che sarebbero stati compatibili (ineliminabili) con lo stato di liquidazione della società (locazione immobili, servizi, oneri finanziari passivi), tenuto conto delle dimensioni dell’impresa e del tempo che presuntivamente si sarebbe reso necessario a completare la fase di liquidazione.
La prima condizione per la corretta applicazione del criterio della differenza dei netti patrimoniali è costituita dalla corretta individuazione del primo termine di paragone, ossia il bilancio a partire dal quale la società risulta aver perso il capitale con conseguente obbligo per gli amministratori di convocazione dell’assemblea dei soci ai fini della messa in liquidazione della società medesima. Tale bilancio, per essere comparabile a quello finale e al fine, dunque, che all’agente non siano imputati danni legati alla mera variazione dei criteri valutativi (di regola da quelli di continuità a quelli liquidatori) deve essere rettificato alla luce dei criteri di redazione di un bilancio di liquidazione (secondo il principio contabile OIC 5). Esso deve essere, quindi, depurato di tutte quelle componenti che si giustificano solo in una prospettiva di continuità aziendale.
La dichiarazione del condebitore di voler profittare della transazione stipulata con il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304, primo comma, c.c. non costituisce un’eccezione da far valere nei tempi e nei modi processuali ad essa pertinenti, bensì un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo, senza requisiti di forma né limiti di decadenza.
L’art. 1304, co. 1, c.c. si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata, poiché è la comunanza dell’oggetto della transazione che comporta, in deroga al principio per cui il contratto produce effetti soltanto tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione; né la conseguente riduzione dell’ammontare dell’intero debito, pattuita in via transattiva con uno solo dei debitori, ma operativa anche nei confronti del condebitore che dichiari di voler profittare, può essere impedita dalla pattuizione di una clausola di contrario tenore, essendo inibito alle parti contraenti disporre del diritto potestativo attribuito dalla legge ad un terzo estraneo al vincolo negoziale ed esercitabile, come tale, anche nel corso del processo, senza alcun requisito particolare di forma né limiti di decadenza.
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Giulia Giordano
Laurea con lode presso l'Università di Bologna; LL.M. International business and commercial law presso King's College London; Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso Università di Bologna; Junior...(continua)