Le invenzioni dei dipendenti e la tutela dei segreti industriali
Le invenzioni rielaborate in costanza di rapporto di lavoro dal dipendente sono tendenzialmente attribuite, quanto al diritto patrimoniale, al datore di lavoro, che ha messo a disposizione le risorse, umane e tecniche, necessarie per svolgere l’attività inventiva.
Esse si distinguono in:
a) invenzioni di servizio, ove l’attività inventiva è compiuta in adempimento del contratto, essendo l’oggetto del rapporto: in quanto tale, essa è dedotta “in obligatione” ed è a tal fine retribuita. Rilevano in proposito le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e le eventuali modifiche che si siano in concreto verificate nel rapporto di lavoro e non solo quanto espressamente previsto nel contratto di lavoro inizialmente sottoscritto. I diritti derivanti dal brevetto appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto del lavoratore di essere riconosciuto autore. La domanda di brevetto depositata dal dipendente è fatta “a non domino”;
b) invenzioni di azienda, realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego ove non è prevista né stabilita una retribuzione per l’espletamento dell’attività inventiva. In tal caso i diritti brevettuali appartengono a titolo originario al datore di lavoro, ma al lavoratore spetta l’equo premio per l’attività inventiva svolta, e fatti sempre salvi i diritti morali. L’invenzione rientra nella titolarità del datore perché alla stessa si giunge per l’attività alla quale si è adibiti;
c) invenzioni occasionali, realizzate al di fuori del rapporto di lavoro o d’impiego, ove sussiste solamente una coincidenza temporale tra il momento della realizzazione dell’invenzione e l’attività d’impresa in cui il lavoratore è impiegato. Rientrando nel campo di attività del datore di lavoro, quest’ultimo può avere interesse a conseguirne il risultato. I diritti patrimoniali spettano all’inventore, ma il datore di lavoro può averne interesse all’uso e gode del diritto d’opzione.
Il discrimen più delicato, ossia quello tra invenzione di servizio e d’azienda, viene dunque individuato in sede interpretativa nella previsione o meno di un compenso per l’attività inventiva svolta.
Quanto alle invenzioni di servizio, secondo gli indirizzi di legittimità, è onere del datore di lavoro provare la specifica retribuzione per l’attività inventiva svolta (cfr. Cass. 1285/2006), non essendo sufficiente allo scopo neppure la prova di avere corrisposto una somma superiore ai minimi.
Qualunque persona fisica può rivestire il ruolo di autore della violazione del segreto industriale in quanto la normativa sulla tutela dei segreti, sia recente (cfr. d.lgs. 63/2018) sia anteriore, secondo l’interpretazione più accreditata, individua in qualunque persona, anche non imprenditore, il soggetto attivo dell’illecito.
Sussistono i requisiti oggettivi per accedere alla tutela di cui all’art. 98 c.p.i. laddove le informazioni litigiose abbiano natura riservata (natura che, sola, esclude il libero utilizzo), parte attrice abbia allegato e provato la protezione attraverso password e credenziali ragionevolmente adeguate a mantenere segrete le informazioni, le informazioni abbiano un valore economico (nel caso di specie si trattava di conoscenze e tecniche specifiche, necessarie per attuare un procedimento produttivo suscettibile di applicazione industriale e, dunque, di sfruttamento economico diretto o indiretto da parte della titolare che ne disponeva in via esclusiva, quale forma di monopolio di fatto).
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Alice Garlisi
Laureata presso l'Università degli Studi di Milano nel 2016, con una tesi in diritto della proprietà intellettuale. Abilitata all'esercizio della professione forense presso il foro di Milano. Si occupa di proprietà...(continua)