Invalidità del bilancio, impugnazione dei bilanci successivi a quello già impugnato e nomina di amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c.
Non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere quando gli effetti di una delibera impugnata siano stati sostituiti da una successiva delibera avente il medesimo oggetto e gli stessi vizi di invalidità della prima, atteso che l’art. 2377, co. 8, c.c., preclude la pronuncia sull’annullamento della deliberazione solo nel caso in cui la delibera impugnata sia sostituita “con altra presa in conformità della legge e dello statuto”.
Il decreto di revoca degli amministratori di una società ex art. 2409 c.c., benché oggetto di reclamo innanzi alla Corte d’appello, è da reputarsi immediatamente efficace anche in assenza di un’espressa declaratoria in tal senso ex art. 741 c.p.c.
Pertanto, è invalida la delibera con cui i soci abbiano approvato dei progetti di bilancio predisposti da amministratori privi del potere di amministrare in quanto revocati con decreto del tribunale immediatamente esecutivo che contestualmente abbia nominato un amministratore giudiziario: in tal senso, il vizio di costituzione dell’organo amministrativo è idoneo a inficiare la validità non soltanto dell’atto direttamente imputabile agli amministratori (predisposizione del progetto di bilancio), ma anche dell’atto conclusivo del procedimento (approvazione in assemblea del bilancio), pur se imputabile ad altro organo societario.
E’ infondata la tesi secondo cui il socio che ha impugnato il bilancio di esercizio per violazione dei principi inderogabili di rappresentazione chiara, veritiera e corretta non deve e non può impugnare, per i medesimi vizi, i bilanci relativi agli esercizi successivi (in tal senso Trib. Roma n. 16678 del 29/7/2013).
Secondo detta tesi, il socio non ha alcun interesse – giuridicamente rilevante – a promuovere un apposito giudizio per fare valere, con riferimento ad un bilancio successivo a quello dichiarato nullo, gli stessi vizi già posti a fondamento della impugnazione originariamente accolta, posto che esiste, a seguito della declaratoria di nullità, un obbligo degli amministratori di redigere nuovamente tutti i bilanci “intermedi” (tra quello impugnato e quello relativo all’esercizio in cui è stata dichiarata la nullità del primo); qualora, poi, gli amministratori non ottemperino al dovere ex art. 2377 co. 7, la mancata correzione dei bilanci intermedi costituisce pur sempre una violazione, da parte degli amministratori, ai doveri sui medesimi incombenti sanzionatile con il rimedio della responsabilità.
In realtà, l’interesse del socio a impugnare per nullità la deliberazione approvativa di un bilancio non dipende solo dalla frustrazione dell’aspettativa che il medesimo possa avere alla percezione di un dividendo o, comunque, da un immediato vantaggio patrimoniale, che una diversa e più corretta formulazione del bilancio possa eventualmente far emergere, ma nasce “dal fatto stesso che la poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non permette al socio di avere tutte le informazioni – destinate ovviamente a riflettersi anche sul valore della singola quota di partecipazione – che il bilancio dovrebbe invece offrirgli, ed alle quali, attraverso la declaratoria di nullità e la conseguente necessaria elaborazione di un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente, il socio impugnante legittimamente aspira” (Cass. 3.9.1996 n. 8048).
E’ invalido un bilancio quando dalla disamina dello stesso:
- non emerga un quadro trasparente, corretto e veritiero della situazione patrimoniale, economico e finanziaria della società;
- non emerga la previsione di un fondo svalutazione crediti secondo gli standard di diligenza e prudenza ed i principi contabili in presenza di un credito probabilmente esistente, ma privo del carattere di certezza, quantomeno con riguardo al quantum debeatur;
- emerga la qualificazione come esigibile di un credito inesigibile perché contestato, incidendo sulla rappresentazione falsa e fuorviante degli indici finanziari di liquidità e solvibilità della società;
- la nota integrativa, pur dando atto dell’esistenza di una controversia inter partes e della natura dei crediti oggetto della stessa, non indichi i criteri utilizzati per la valutazione del credito.
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gabriele.scaglia
Notaio con sede in Triuggio (MB) e operante in tutta la Lombardia. Dottore di ricerca presso la Scuola di Dottorato "Impresa, lavoro e Istituzioni" dell'Università Cattolica di Milano (curriculum diritto...(continua)