Il marchio di fatto nel fallimento
La circostanza che il marchio di fatto non fosse stato menzionato nell’elenco dei beni del fallimento non consente di escludere che detto marchio, ancorché non identificato dal curatore al momento dell’inventario, facesse parte dell’attivo fallimentare, trattandosi di un bene immateriale e quindi di difficile individuazione, vieppiù tenendo conto del fatto che il segno era stato concesso in godimento ad un soggetto terzo e quindi non era immediatamente percepibile dagli organi della procedura, estranei all’organizzazione della società, in assenza di documenti contabili regolarmente tenuti.
Il titolo costitutivo dei diritti di marchio è l’uso del segno e non la creazione dello stesso.
Ai sensi dell’art 669-terdecies cpc, in sede di reclamo possono essere introdotte nuove circostanze solo se sopravvenute, e quindi verificatesi successivamente rispetto al provvedimento reclamato. La norma non legittima invece l’ampliamento, in sede di reclamo, del thema decidendum mediante allegazioni nuove e non proposte in prime cure.
L’art. 131 c.p.i. dispone che il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere che sia disposta l’inibitoria, non solo di qualsiasi violazione imminente del suo diritto, ma anche del proseguimento o ripetizione delle violazioni in atto. Il periculum è quindi dato dall’attualità della condotta e dalla conseguente sussistenza di un pericolo imminente, dato dal protrarsi dell’utilizzo indebito del segno e dal conseguente incrementarsi dei danni, anche in termini di perdita di quote di mercato che sarebbe assolutamente difficile ristorare pienamente per equivalenti a mezzo di risarcimento all’esito del giudizio di merito.