Trasformazione “progressiva”, fallimento della società post-trasformazione e azioni della curatela
In caso di trasformazione di società di persone in società di capitali, decisa in condizioni di patrimonio netto negativo e seguita da dichiarazione di fallimento, il curatore fallimentare non può pretendere dagli ex amministratori della società, a titolo di risarcimento del danno alla massa dei creditori, l’importo corrispondente al disavanzo del patrimonio netto della società alla data della trasformazione.
In presenza di situazioni di prosecuzione dell’attività d’impresa in violazione dell’art. 2486 c.c. caratterizzata da innumerevoli operazioni anticonservative, è possibile ricorrere alla determinazione equitativa del danno risarcibile adottando il criterio della differenza dei netti patrimoniali, peraltro da applicare avendo cura di detrarre dalla perdita incrementale netta l’importo corrispondente ai costi che si sarebbero prodotti anche in caso di tempestiva messa in liquidazione della società.
Il danno generato dalla prosecuzione illecita dell’attività d’impresa dopo la perdita integrale del capitale sociale, è soggetto a rivalutazione monetaria e all’applicazione degli interessi compensativi ex art. 1226 c.c. nella misura degli interessi legali, da applicare sulla somma rivalutata di anno in anno dalla data dell’illecito alla data della pronuncia.