Alcune questioni in materia di azione di responsabilità degli amministratori: delibera di autorizzazione, profili processuali e sostanziali
La clausola compromissoria contenuta nello statuto vincola anche il curatore là dove eserciti l’espressa delega conferita all’organo amministrativo, in sede di delibera autorizzativa dell’azione di responsabilità, ad “ampliare il raggio d’azione” delle contestazioni, ossia a valutare l’esistenza di ulteriori profili di illiceità nella condotta degli amministratori uscenti rispetto all’iniziativa risarcitoria espressamente menzionata nel verbale, costituisce una manifestazione di volontà che, avendo ad oggetto interessi disponibili propri del delegante, appare idonea ad offrire piena copertura a tutte le contestazioni costituenti oggetto delle domande poi formulate in giudizio (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto che la delibera di autorizzazione all’azione di responsabilità, la quale faccia riferimento esplicito soltanto a vizi rilevati nella formazione del bilancio ed a conseguenti -ipotizzati- profili di danno, sia comunque idonea a sostenere la valida proposizione di un’azione di responsabilità fondata anche su diverse contestazioni, vicende e richieste risarcitorie non contemplate nel verbale depositato dall’attore a giustificazione dei propri poteri).
Il liquidatore giudiziale, in ipotesi di concordato con cessione dei beni, è legittimato ad intervenire nel procedimento giudiziario introdotto dal debitore in concordato per la tutela di un proprio diritto di credito, al fine di sostenere le sue ragioni quale mero “gestore dei beni”, ai sensi dell’art. 105 co. 2 c.p.c. Il liquidatore è titolare di un interesse qualificato rispetto all’esito del giudizio, in quanto questo potrebbe comportare una variazione in positivo della percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari della procedura concorsuale (nel caso di specie, il Tribunale, dopo aver qualificato l’intervento spiegato dal liquidatore come adesivo, ha rilevato la manifesta arbitrarietà della sua pretesa di proporre in sede di udienza di precisazione delle conclusioni la domanda di condanna nella sua originaria estensione, nonostante fosse stata oggetto di parziale rinuncia in sede di memoria ex art. 183, co. 6, num. 1, 1 c.p.c. ad opera dell’attore).
Alla luce della pronuncia delle SS.UU. n. 12310/15, costituisce una “nuova domanda” inammissibile ai sensi dell’art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. la contestazione relativa a condotte ed eventi di danno “diversi” e “aggiuntivi” rispetto a quelli originariamente versati in atto di citazione (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto che le contestazioni formulate in prima memoria aventi ad oggetto ulteriori pagamenti indebiti ed altre condotte, in particolare la stipula di contratti di leasing svantaggiosi, completamente eterogenee rispetto a quelle originariamente dedotte in atto di citazione avverso l’amministratore delegato, siano del tutto inammissibili).
All’esito della riforma del diritto societario del 2003 non si può più fare riferimento a una responsabilità solidale da “omesso controllo” in capo a tutti gli amministratori, compresi i consiglieri non delegati e il presidente del consiglio di amministrazione, nel caso di operazioni lesive degli interessi della società realizzate dall’amministratore delegato senza passare attraverso una delibera del consiglio o qualsivoglia formale comunicazione. Infatti l’art. 2392 co. 2 c.c., nel sancire la sopravvivenza in capo a tutti gli amministratori del ben distinto obbligo di intervenire al fine di impedire il fatto dannoso o di attenuarne le conseguenze dannose ove “a conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società”, si riferisce a una condizione positiva di “effettiva” conoscenza (come tale suscettibile di piena prova in fatto) e non invece di mera “possibilità” astratta di conoscenza (nel caso di specie, l’amministratore delegato aveva assunto in nome della società gravosi impegni finanziari a beneficio di società terze, successivamente dichiarate fallite, al di fuori di ogni collegamento con esigenze e/o attività proprie della società finanziante ed esclusivamente allo scopo di fronteggiare alcune loro pesanti esposizioni debitorie, senza alcun corrispettivo e soprattutto senza alcuna garanzia. Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità dell’amministratore delegato, per tutte le operazioni di finanziamento, e del presidente del consiglio di amministrazione, limitatamente a un’operazione rivolta a beneficio della società a lui riferibile, sul presupposto che, data la commistione fra i ruoli di presidente della finanziante e sostanziale dominus della finanziata, risultava ragionevole che egli fosse quantomeno a conoscenza dell’operazione e che, pertanto, non l’avesse impedita).