Art. 2 c.p.i.
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La tutela del marchio di fatto
Alla tutela del marchio di fatto offerto dalla legislazione complementare ex artt. 1 e 2, comma 4 del D. Lgs. n. 30 del 2005, si affianca la disciplina generale codicistica dettata dagli artt. 2569, comma 2, 2571, 2598 comma 1, n. 1 e n. 3, 2599, 2600 c.c., secondo cui il preuso non solo consente l’utilizzato esclusivo del marchio di fatto da parte del titolare, nonostante la successiva registrazione dello stesso da parte di altri, ma anche la nullità del marchio posteriormente registrato da altri e la conseguente inibitoria dell’attività di concorrenza sleale.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità afferma che al marchio non registrato deve comunque riconoscersi diritto di cittadinanza nel sistema delle privative industriali, considerato che la mera situazione di fatto può attribuire al suo titolare un diritto esclusivo di proprietà industriale. In questa prospettiva, infatti, i segni distintivi diversi dal marchio registrato ai sensi dell’art. 2, comma 4 del D. Lgs. n. 30 del 2005 consentono al titolare di esercitare un diritto esclusivo di utilizzazione, nonché di invalidare, al ricorrere di date condizioni, il marchio registrato successivamente da terzi, nel caso sia uguale o simile, in relazione al grado di notorietà. Pertanto, il cd preuso (marchio di fatto) richiede la sussistenza del connotato della notorietà diffusa. Infatti, “il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo a mancare (fatta salva la convalidazione di cui all’art. 48 del R. D. n. 929 del 1942) il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione (ex multis Cass. Civ., sez. I 20 maggio 2016, n. 10519; Cass. civ. sez. I 2 novembre 2015, n, 22350)”
Inammissibilità per difetto di giurisdizione della domanda di accertamento del diritto alla registrazione di un marchio in pendenza di un giudizio amministrativo di opposizione. Il caso Elettra Lamborghini
Premessa la reciproca autonomia della procedura amministrativa e di quella giudiziaria, deve precisarsi che l’eventuale rilascio o rifiuto del titolo da parte dell’UIBM all’esito del giudizio di opposizione non preclude il sindacato del giudice ordinario in punto di validità, non contraffazione ovvero decadenza dal diritto (art. 117 c.p.i.). Tuttavia, un simile sindacato può intervenire solo ed in quanto sia già intervenuto il rilascio del titolo da parte dell’Ufficio competente (art. 120 c.p.i.).Ne consegue che la decisione sulla domanda di validità/non contraffazione/decadenza di una privativa non può essere pronunciata finché sussista incertezza in ordine all’esistenza della privativa stessa, alla sua stabilità ed al suo ambito di protezione.
Tutela dei marchi tridimensionali e dei diritti di sfruttamento patrimoniale d’autore relativi alla borsa “Le Pliage”
Il valore artistico necessario per attribuire la tutela autorale di cui all’art. 2, comma 1, n. 10 l.d.a. ad un’opera di industrial design può essere desunto da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista.
Condotte integranti concorrenza sleale
L’utilizzo, da parte di un’impresa concorrente e, segnatamente, nella propria pubblicità, di un segno distintivo di cui altra impresa ha diritto all’uso esclusivo come marchio di fatto, può essere inibito, ove tale utilizzo possa determinare confusione nel pubblico, a sensi dell’art. 2, comma 4, c.p.i. (che tutela i segni o marchi di fatto) e dell’art. 2598 c.c.; tale utilizzo dell’altrui segno distintivo, anche di fatto, costituisce infatti non solo “contraffazione di marchio”, ma anche “concorrenza sleale confusoria”, quando si verifica nell’ambito di un rapporto concorrenziale. [ LEGGI TUTTO ]
Carattere distintivo delle confezioni dei prodotti a marchio “Vidal” e concorrenza sleale per imitazione servile
Per i marchi costituiti dalla confezione di un prodotto, la capacità distintiva non va ricercata in una parola piuttosto che in un colore o in un’immagine, ma è data da tutta la confezione, dalla sua immagine globale. Un marchio costituito dalla forma del prodotto, pur essendo necessariamente intrinseca ad esso, può essere oggetto di valida registrazione, a condizione però che sia concettualmente estrinseca al prodotto e sia quindi idonea a caratterizzarlo come proveniente da una determinata impresa. Costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1) c.c. l’imitazione pedissequa degli elementi essenziali della confezione dell’altrui prodotto, allorché il pubblico dei consumatori possa essere indotto ad attribuire, alla confezione dell’imitatore, le qualità di cui è portatore l’altrui prodotto (c.d. “look alike”), ciò in forza del rischio di associazione tra le due confezioni, e senza che occorra errore o confusione quanto alle fonti di produzione. L’apposizione sulla confezione di un marchio denominativo differente non esclude di per sé il rischio di confusione per il consumatore. Un marchio, anche di fatto, è tutelato dall’ordinamento solo nei confronti di quegli atti di usurpazione ed imitazione che comportino pericolo di confusione nel pubblico dei destinatari sulla provenienza imprenditoriale dei prodotti o servizi acquistati e che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni. Il concetto di rischio di associazione precisa la portata delle potenzialità confusorie, estendendola al possibile errore del pubblico sulla sussistenza di rapporti contrattuali o di gruppo tra il titolare del segno prioritario ed il dedotto contraffattore. In tal modo viene in rilievo la funzione principale dei segni distintivi, quali veicoli di informazioni, per il pubblico, compresa quella tradizionale di indicazione della fonte produttiva in senso stretto.
Violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione di un contratto di coesistenza tra marchi
Nell’ambito di un contratto di coesistenza di marchi, il fatto che il compromesso negoziale sia fondato su particolari particolarmente piccoli impone alle parti di uniformare i propri comportamenti ad un livello molto elevato di correttezza, tale da [ LEGGI TUTTO ]
Legittimità dei marchi collettivi non registrati
Deve riternrsi piena la legittimità dei marchi collettivi ancorché non registrati, non essendo ricavabile alcun limite contrario da da nessuna disposizione di legge o da [ LEGGI TUTTO ]
Preuso di denominazione e principio di unitarietà dei segni distintivi
Il principio di unitarietà dei segni distintivi implica che l’adozione di un segno, in qualunque delle sue funzioni distintive, conferisce all’imprenditore che lo abbia adottato il diritto esclusivo di utilizzarlo anche in relazione alle altre funzioni distintive. [ LEGGI TUTTO ]