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Art. 20 c.p.i.
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17 Giugno 2020

Risarcimento del danno derivante dall’avere azionato, con colpa, un marchio decaduto nonché domande di marchi di dubbia registrabilità

L’art. 120 comma 1 c.p.i. prevede la sospensione del giudizio in attesa della decisione dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, ma non impone alcuna sospensione in caso di proposizione di ricorso in Cassazione avverso la decisione della Commissione dei ricorsi (in applicazione del presente principio il Tribunale ha ritenuto di non dover sospendere la causa, pur essendo pendente in Cassazione il giudizio di impugnazione della decisione della Commissione di cui all’art. 135 c.p.i., la quale, confermando l’orientamento già mostrato dall’U.I.B.M. in sede di opposizione ex artt. 176 e ss. c.p.i., aveva negato la registrazione di taluni dei marchi per cui è causa).

E’ tenuto a risarcire il danno provocato il soggetto che ha fatto valere, con condotta qualificabile come colposa, diritti derivanti dalla registrazione di un marchio che in realtà non aveva usato e che è stato pertanto oggetto di pronuncia di decadenza, nonché diritti derivanti da domande di registrazione che sono state respinte dall’UIBM, insistendo nelle proprie pretese anche dopo la decisione dell’UIBM e dopo la decisione della Commissione dei ricorsi.

3 Giugno 2020

Principio di esaurimento e rischio di agganciamento al marchio rinomato nel settore automobilistico

In materia di segni rinomati, le violazioni contro le quali è assicurata la relativa tutela sono tre e ricomprendono: i) il pregiudizio al carattere distintivo del marchio che gode di notorietà, indicato con il termine di “diluizione”, che si manifesta quando risulta indebolita la sua idoneità ad identificare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato; ii) il pregiudizio arrecato alla notorietà, designato con il termine di “corrosione”, che si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso; iii) il pregiudizio rappresentato dal conseguimento di un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, detto anche “parassitismo”, che va ricollegato, non al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile al marchio.
Con specifico riguardo al fenomeno della “corrosione” e del “parassitismo”, è stato più volte affermato, anche in ambito sovranazionale, come la tutela del marchio notorio non presupponga un concreto rischio di confusione, ma unicamente l’aggancio all’altrui tratto distintivo e all’altrui rinomanza. Il vantaggio risultante dall’uso del marchio notorio è tratto indebitamente dal carattere distintivo del marchio quando, con siffatto uso, il terzo tenta di porsi nel solco tracciato dal marchio notorio al fine di approfittare del potere attrattivo, della reputazione e del prestigio di quest’ultimo, e di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico, lo sforzo commerciale effettuato dal suo titolare per creare e mantenere l’immagine del marchio in parola e ciò indipendentemente dal fatto che avvenga per prodotti simili o diversi rispetto a quelli contrassegnati dal blasone rinomato. Tale divieto prescinde totalmente dal rischio di confusione. 

Le disposizioni dell’ordinamento comunitario a tutela del cd. marchio notorio, da intendersi quale marchio conosciuto da una parte significativa del pubblico dei consumatori interessati ai prodotti o servizi per i quali lo stesso è stato registrato (tenuto conto dell’intensità, dell’ampiezza geografica e della durata temporale dell’uso del marchio, o anche degli investimenti realizzati dal titolare al fine di farlo conoscere ai potenziali consumatori) tutelano non solo la capacità distintiva del marchio in sé, ma anche e soprattutto la sua capacità attrattiva e suggestiva. Di talché, la tutela riconosciuta ai marchi notori, al contrario di quanto accade per i marchi che non godono di notorietà, prescinde sia dal rischio di confusione in senso stretto tra prodotti e servizi ai quali i marchi notori sono apposti, sia dalla identità o affinità di questi prodotti o servizi, atteso che ciò che rileva è la possibilità di estensione operata dai consumatori ai prodotti commercializzati dal terzo dell’immagine associata al marchio notorio, conseguendo da tale associazione il rischio dell’indebito vantaggio o pregiudizio. 

Vendita online di kit adesivi raffiguranti il marchio Red Bull: contraffazione del marchio e concorrenza sleale

Con riferimento alla concorrenza sleale ex art. 2598 co. 1 n. 1 c.c., sebbene siano astrattamente compatibili e cumulabili la tutela dei segni distintivi prevista dal codice della proprietà industriale e quella prevista dal codice civile in tema di concorrenza sleale, va condiviso il principio per cui la medesima condotta può integrare sia la contraffazione della privativa industriale sia la concorrenza sleale per l’uso confusorio di segni distintivi solo se la condotta contraffattoria integri anche una delle fattispecie rilevanti ai sensi dell’art. 2598 c.c., cioè a dire che va esclusa la concorrenza sleale se il titolare della privativa industriale si sia limitato a dedurre la sua contraffazione se le due condotte consistano nel medesimo addebito integrante la violazione del segno o del brevetto. In buona sostanza, dall’illecito contraffattorio non discende automaticamente la concorrenza sleale, che – dunque – deve constare di un quid pluris rispetto alla pura violazione del segno o del brevetto, cioè di una modalità ulteriore afferente il fatto illecito, prima che la natura (reale o personale dell’azione) o i presupposti (il rapporto di concorrenza, l’idoneità dannosa, l’elemento psicologico) o le sanzioni previste dalle due tutele. [Nella fattispecie, pertanto, l’illecito concorrenziale è assorbito dalla contraffazione del marchio, per l’identità della condotta e la mancata allegazione di una connotazione confusoria ulteriore rispetto all’uso di segno uguale o simile. In definitiva, va affermato che la vendita on-line da parte della convenuta di kit di adesivi recanti i marchi registrati dell’attrice integra esclusivamente contraffazione ai sensi dell’art. 20 lett. a) (segno identico per prodotto identico) e lett. c) (segno identico per prodotti anche non affine, essendo il marchio rinomato) CPI.]

 

28 Maggio 2020

Tutela del marchio rinomato “Dr. Martens” e rischio di confusione tra segni distintivi

Chi agisce a tutela di un marchio rinomato non è tenuto a dimostrare l’esistenza di una violazione effettiva e attuale del suo marchio, dato che, laddove sia prevedibile che dall’uso che il titolare del marchio posteriore abbia fatto del proprio segno/marchio possa derivare una tale violazione, il titolare del marchio anteriore non deve essere obbligato ad attendere che questa si avveri per poter chiedere il divieto di detto uso. L’apprezzamento del giudice di merito sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, bensì in via globale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza ed avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti , dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro.

19 Maggio 2020

La trasmissione in live streaming è lesiva dell’immagine dell’emittente televisiva e risarcibile ex art. 158 l.d.a. anche in via equitativa

La trasmissione abusiva delle partite in live streaming su internet effettuata in contemporanea alla diffusione da parte del titolare dei diritti sulla piattaforma dell’emittente televisiva costituisce una macroscopica lesione della immagine commerciale della stessa e introduce un elemento di forte dissuasione alla stipula o al rinnovo degli abbonamenti con evidenti ricadute sulla capacità di attrarre investimenti pubblicitari. Il risarcimento del danno subito in conseguenza della lesione nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica trova regolazione nell’art. 158 l.d.a., liquidabile anche facendo applicazione del parametro equitativo, ai sensi dell’art. 2056, secondo comma, c.c., cui fa rinvio il citato articolo 158 [Fattispecie relativa a trasmissioni in modalità live streaming di prodotti audiovisivi di un’emittente televisiva, mediante le quali venivano messe a disposizione del pubblico su internet incontri calcistici esclusivamente in diretta, senza che le stesse venissero né registrate né mantenute disponibili in differita per il pubblico].

24 Aprile 2020

Marchi deboli e rischio di confondibilità

La nozione di «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto» sancita dall’art. 5.3 del Reg. 44/2001/CE, oggi art. 7 n.2 del Reg. 1215/2012, deve essere interpretata come comprensiva sia del luogo in cui si è verificata l’azione (o l’omissione) da cui il danno è derivato, sia di quello in cui il danno in questione si è manifestato, da intendersi come luogo in cui l’evento ha prodotto direttamente i suoi effetti dannosi. Ai fini dell’individuazione di entrambi tali luoghi con riferimento agli illeciti costituiti dalla violazione di diritti di proprietà industriale e, in particolare del luogo del danno, deve essere affermato come la natura territoriale che connota tali diritti comporta la sua necessaria identificazione con il territorio dello Stato membro in cui il diritto di privativa è tutelato ed in cui, dunque, si verifica la sua lesione.

Il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento. Quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest’ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato “debole”.

Marchi “deboli” sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l’uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo; peraltro, la loro “debolezza” non incide sull’attitudine alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, atteso che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte.

Ai fini della concorrenza sleale, il carattere confusorio deve essere accertato con riguardo al mercato di riferimento (ovvero “rilevante”), ossia quello nel quale operano o (secondo la naturale espansività delle attività economiche) possono operare gli imprenditori in concorrenza (nel caso di specie è stata esclusa la sussistenza dei presupposti di un’ipotesi di concorrenza sleale in quanto i vini a cui è stata apposta l’etichetta riportante il segno asseritamente in contraffazione erano destinati alla commercializzazione esclusivamente sui mercati americani e inglesi; mentre i vini del titolare del marchio erano commercializzati esclusivamente in Italia).

Premesso che l’art. 121, comma 1, c.p.i., in linea con i principi generali dell’art. 2697 c.c., dispone che l’onere di provare la decadenza di un marchio per non uso grava su chi impugna la privativa; la stessa norma precisa poi che, quando si voglia far valere la decadenza di un marchio per non uso, questo possa essere provato con qualsiasi mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici e ciò implica che il giudice può considerare provato il mancato uso quinquennale (consecutivo) del marchio in base ad un procedimento deduttivo da lui stesso condotto sulla base di ulteriori fatti dimostrati in causa.

L’inibitoria contemplata dall’art. 7 c.c. non consegue al semplice uso indebito da parte del terzo di un nome che compete ad altri, ma è necessario che da tale uso consegua un pregiudizio sia pure soltanto nel patrimonio morale di colui che chiede tutela.

9 Aprile 2020

Integra cumulativamente contraffazione e concorrenza sleale l’offerta al pubblico di prodotti importati extra-ue privi delle etichette originali

L’infrazione del divieto di importazione parallela extracomunitaria (non consenziente il titolare del marchio) unita alla successiva commercializzazione dei prodotti così importati certamente integra di per sé il presupposto della non conformità ai principi di correttezza professionale, per cui l’importazione parallela di merci originali, ma di provenienza extracomunitaria, è comunque illecita anche come atto contrario ai principi di correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda, secondo la fattispecie concorrenziale di cui all’art. 2598, n. 3, c.c.. In particolare, ove sia in dubbio il carattere propriamente “originale” dei prodotti (difettando il consenso del titolare del marchio), ciò consente il cumulo tra la tutela contro l’appropriazione di un marchio e la tutela presidiata dall’azione di concorrenza sleale: il medesimo fatto storico dà pertanto fondamento sia di un’azione reale, a tutela dei diritti di esclusiva sul marchio, sia anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia integrato i presupposti di cui all’art. 2598 c.c. [Fattispecie relativa all’offerta in vendita nella grande distribuzione di prodotti scolastici con le etichette olografiche del produttore rimosse o sostituite].

4 Febbraio 2020

Ferrari vs Philipp Plein: uso illecito del marchio notorio da parte dell’influencer per finalità commerciali

L’uso dei marchi da parte dell’influencer dovrebbe ritenersi lecito: a) quando è stato autorizzato dal titolare del segno distintivo; b) nelle ipotesi in cui le immagini esposte possano comunicare – in capo al pubblico – un significato diverso da quello pubblicitario e commerciale, e cioè siano descrittive di scene di vita dell’influencer o di terze persone. Detta liceità discenderebbe dall’ovvia considerazione secondo cui la pubblicazione di scene di vita quotidiana implicano l’inevitabile l’esposizione dei segni distintivi dei prodotti normalmente usati dal soggetto rappresentato per compiere l’azione pubblicata. Diversamente, deve ritenersi abusivo l’uso del marchio quando le immagini riprodotte dall’influencer non possano trovare altro significato – in capo ai fruitori dei social media – che quello commerciale e pubblicitario. Ciò si verifica quando l’esposizione del marchio: a) venga accompagnata da inserzioni o didascalie espressamente pubblicitarie; b) venga pubblicato in un contesto (si pensi ad un sito o ad un profilo instagram o altri social media) che risulti prevalentemente indirizzato alla comunicazione pubblicitaria, e cioè contenga primariamente messaggi commerciali; c) compaia in immagini che – di per sè – non possano avere altro significato che l’esposizione di un prodotto a scopi commerciali, e non già scene di vita dell’influencer o di terzi. [Nel caso di specie, l’immagine di alcune calzature esposte sul cofano di un’autovettura non descrive un momento di vita quotidiana, pertanto è palese la volontà dello stilista/influencer di accostare abusivamente il proprio prodotto al brand dell’azienda automobilistica, nel tentativo di giovarsi dell’immagine prestigiosa di quest’ultima.]

27 Dicembre 2019

Cessione di ramo di azienda e violazione di marchio del cessionario da parte del distributore del cedente che continua a fabbricare e vendere beni recanti il marchio

Il distributore del cedente di ramo di azienda che continui l’attività di commercializzazione di prodotti recanti il marchio aziendale in violazione del diritto riconosciuto in via esclusiva al cessionario titolare del marchio d’impresa ex art. 20 c.p.i. compie una contraffazione. La condotta non integra invece concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 n. 1 e/o n. 3 c.c., ove non risulti che, nel periodo in cui si svolgeva l’attività contraffattiva, il cessionario del ramo di azienda non abbia iniziato la commercializzazione dei prodotti contraddistinti dal marchio, dovendosi ritenersi esclusa la possibilità di confusione con i prodotti e con l’attività della concorrente.

11 Dicembre 2019

Accertamento della contraffazione e sussistenza dei requisiti per la tutela di un segno come marchio di fatto

La genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, pur protratto ed esclusivo, del segno, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. Pertanto, l’intensità dell’uso del segno e, conseguentemente, la sua notorietà rappresentano le condizioni primarie e necessarie ai fini del suo riconoscimento e della sua tutela industrialistica come marchio di fatto. L’uso del marchio, per conferirgli la necessaria notorietà, deve essere, quindi, intenzionale e continuo, non precario né sperimentale, occasionale o casuale, e deve assicurare la conoscenza effettiva e diffusa del prodotto contraddistinto.