Art. 43 l.fall.
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Responsabilità di amministratori, sindaci e revisori di Valtur s.p.a. in amministrazione straordinaria
L’art. 2485 c.c. impone agli amministratori di accertare, senza indugio, il verificarsi di una delle cause di scioglimento e di procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’art. 2484 c.c., salvo quanto disposto dagli artt. 2447 e 2482 ter c.c. Gli amministratori, accertata la perdita del capitale sociale (ovvero verificato il valore negativo del patrimonio netto), sono tenuti ad una rapida e decisa reazione: porre la società in liquidazione, ovvero ricorrente all’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione della società mediante azzeramento delle perdite e ricostituzione del capitale sociale (ex artt. 2447 e 2482 ter c.c.). Come chiaramente previsto dall’art. 2485 c.c., gli amministratori, in caso di ritardo o omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società dai soci, dai creditori sociali e dai terzi. La violazione di tali obblighi di legge determina l’illecito della c.d. indebita prosecuzione dell’attività di impresa.
Quando la società ha un patrimonio netto negativo che aumenta per il compimento di attività non conservative con assunzione di rischio imprenditoriale il pregiudizio non può essere della società, che ha già perso tutto il suo patrimonio, ma solo dei creditori sociali. Il danno derivante dall’inerzia dell’organo gestorio a fronte della perdita del capitale sociale è un danno per i creditori sociali ed è rappresentato dall’incremento dell’indebitamento ovvero dall’aggravamento della situazione patrimoniale della società (già in situazione di deficit) con conseguente detrimento della prospettiva di soddisfazione per i creditori.
L’esercizio dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. presuppone la dimostrazione che il patrimonio sociale, per effetto della condotta negligente ascrivibile ad amministratori e/o sindaci, risulti insufficiente rispetto al soddisfacimento dei crediti sociali. Pertanto ai fini della esperibilità di tale azione è necessario che la condotta illegittima degli amministratori e/o sindaci sia fonte di pregiudizio patrimoniale per il ceto creditorio inteso nella sua generalità, tale da determinare l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le relative ragioni di credito, con dimostrazione della sussistenza di un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta/e illecita/e o di inadempimento/i ascritto/i, dovendosi commisurare l’entità del danno prospettato alla corrispondente riduzione della massa attiva di patrimonio.
Con riguardo alla responsabilità degli amministratori non esecutivi di società azionaria si rileva come non si dà imputazione per responsabilità oggettiva in capo agli amministratori di società, posto che, in particolare, gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole anti-doveroso altrui e il nesso causale tra i medesimi, nonché, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa, i cui caratteri risultano dall’art. 2392 c.c. La norma, invero, stabilisce che la colpa può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere immuni da colpa, cui all’art. 2392, co. 3, c.c. Quando il fatto dannoso sia stato compiuto da un altro amministratore, la colpa concorrente dell’amministratore che non lo abbia direttamente posto in essere – fattispecie omissiva colposa – può dunque consistere: (i) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; (ii) nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta. Peraltro, la regola della responsabilità solidale e, se si vuole, presunta come paritaria in capo a tutti i componenti dell’organo gestorio cede a fronte della prova della concreta insussistenza o ininfluenza della condotta di taluno nella causazione del danno.
L’art 2381 c.c. stabilisce che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società. Permane dunque ai sensi di questa norma il dovere di vigilare sul generale andamento della società rispetto al quale non ha alcun rilievo il difetto di delega, salva la prova che gli altri consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa del comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio. Poiché il compito relativo alla redazione del bilancio di esercizio non può essere oggetto di delega in favore di uno o più componenti del CdA e, secondo quanto disposto dall’art. 2423 c.c., gli amministratori sono collegialmente tenuti a redigere il bilancio secondo i principi ex lege previsti, consegue che tutti gli amministratori, anche quelli privi di deleghe, sono solidalmente responsabili quanto al rispetto degli obblighi di legge inerenti alla redazione del bilancio, fra i quali l’obbligo di attenersi ai principi di veridicità e chiarezza.
Il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera posizione di garanzia; si esige, tuttavia, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in particolare, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cc.dd. azioni correttive necessarie. Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, e altre simili iniziative.
Il revisore, deputato a svolgere una funzione di verifica e controllo generale sui dati di bilancio e sulla corretta gestione contabile della società, deve, qualora ritenga che la gestione devii dalla correttezza, tempestivamente segnalare le incongruenze rilevate. In altri termini, la funzione del revisore non è meramente compilativa, limitata al solo controllo che al bilancio siano stati allegati tutti i documenti formali di verifica previsti dalle norme, poiché in tal modo non si realizzerebbe alcun controllo concreto sulla correttezza della gestione e delle appostazioni delle singole voci che compongono il bilancio. L’art 2409 ter c.c. descrive l’ampiezza del controllo demandato al revisore legale dei conti e il potere dovere di chiedere agli amministratori documenti ed informazioni utili alla revisione con facoltà di procedere direttamente ad ispezioni in società.
L’esercizio unitario ex art 206 l.fall. e art. 36 d.lgs. 270/1995 da parte dei commissari straordinari dell’impresa in amministrazione straordinaria unitamente all’amministratore giudiziario delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. non esclude l’autonomia delle azioni che rimangono, per quanto uno actu esercitate, distinte e diversamente connotate nei loro presupposti, nei loro elementi costitutivi, tra cui il danno, la loro qualificazione, la disciplina probatoria e la prescrizione, seppure entrambe finalizzate all’unitario obiettivo della curatela di recuperare all’attivo della procedura tutto quanto sottratto o perduto per fatti imputabili agli amministratori, ai liquidatori, ai sindaci in concorso.
L’azione ex art 2394 bis c.c. una volta esercitata dal curatore non può essere sottratta dall’ambito di sostituzione dell’amministratore giudiziario. L’art 39, co. 1, e 40, co. 3, d.lgs. 159/2011 non prevede limitazioni alla facoltà di esercizio o subentro in azioni concernenti i rapporti relativi ai beni sequestrati da parte dell’amministratore giudiziario e in particolare l’art. 40, co. 3, prevede la facoltà per l’amministratore giudiziario di compiere atti anche a tutela di terzi, tra cui evidentemente i creditori sociali della società oggetto di sequestro e confisca. Da ciò consegue la legittimazione alle azioni dell’amministratore giudiziario e la sopravvenuta carenza di legittimazione atti dei commissari straordinari una volta subentrato nel processo il primo.
La legittimazione all’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art 2394 c.c. in capo agli organi della procedura, commissari straordinari e amministratore giudiziario, trova fondamento nell’art 2394 bis c.c. o art. 206 l.fall. e art. 307 d.lgs. 14/2019. Si tratta di esercizio da parte dell’organo della procedura concorsuale di azione che non si trova nel patrimonio della società posta in fallimento, in liquidazione giudiziale, in liquidazione coatta amministrativa o in amministrazione straordinaria, bensì di azione cui erano legittimati i creditori sociali. La legittimazione straordinaria degli organi della procedura all’azione dei creditori si fonda sull’art 2394 bis c.c., che trova la sua ratio nell’attuazione del principio della par condicio creditorum e nella necessità che ogni iniziativa recuperatoria sia finalizzata al soddisfacimento di tutti i creditori sociali una volta aperta la procedura concorsuale. La legittimazione ad agire straordinaria ed esclusiva vede la sostituzione del curatore/commissario/liquidatore/commissario straordinario ai creditori concorsuali.
In ipotesi di fusione, i creditori sociali trovano principale tutela nello strumento dell’opposizione ex art 2503 c.c.; una volta divenuta efficace l’operazione straordinaria, esiste solo la società post fusione con i suoi organi. Dopo la fusione non è ipotizzabile un’azione ex art 2394 c.c. verso gli amministratori delle società partecipanti alla fusione ma non più esistenti, le iniziative dei creditori sociali potranno indirizzarsi agli amministratori della società risultante dalla fusione ai quali, eventualmente, si potrà anche contestare di non aver agito con azione di responsabilità sociale verso gli amministratori della società partecipante all’operazione di fusione e non più esistente per far valere loro una responsabilità per atti gestori che abbiano comportato la perdita del patrimonio sociale. Qualora, successivamente alla operazione di fusione, si dovesse aprire una procedura concorsuale i creditori della procedura possono qualificarsi creditori solo verso la società post-fusione coinvolta nella procedura, quindi solo verso gli organi gestori e di controllo della società risultante dalla fusione può ipotizzarsi l’esercizio dell’azione ex artt. 2394 e 2394 bis c.c. Non si ravvisa, invece, alcuna legittimazione attiva della procedura con l’azione ex art 2394 bis c.c. verso gli amministratori delle società incorporate.
Il curatore/commissario/liquidatore/commissario straordinario è, invece, legittimato all’azione ex art 2393 c.c. anche verso gli ex amministratori delle società incorporate in quanto l’azione di responsabilità sociale già esercitabile dalla società partecipante alla fusione costituisce componete attiva della medesima che è transitata ex art 2504 bis c.c. nella società risultante dalla fusione ex art 2504 bis c.c. (nei confronti di quegli amministratori gli amministratori della società post-fusione possono agire per conseguire il ristoro di danni cagionati al patrimonio della società), la legittimazione all’azione si fonda sugli artt. 42 e 43 l.fall. o sugli artt. 142 e 143 d.lgs. 14/2019. A medesime conclusioni si giunge per l’azione di responsabilità verso i sindaci e verso i revisori.
L’efficacia probatoria della relazione dei commissari straordinari ex art. 4, co. 2, d.l. 347/2003 e art. 28 d.lgs. 270/1999 va valutata a seconda della natura delle risultanze emergenti. Infatti, la relazione, formata da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere stati da lui compiuti o avvenuti in sua presenza; invece, il contenuto della relazione che riguarda circostanze desunte attraverso l’esame della documentazione dell’imprenditore o l’espressione di valutazioni da parte dei commissari straordinari rimane validamente valutabile. La relazione presenta, comunque, un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata mediante una specifica prova contraria.
Natura dell’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore e onere della prova
Quando ad agire in giudizio nei confronti dell’ex amministratore sia la liquidazione giudiziale della società già gestita dal convenuto, la curatela esercita in modo cumulativo sia l’azione sociale di responsabilità, ovvero l’azione che la stessa società in bonis avrebbe potuto proporre nei confronti dell’organo gestorio per il danno arrecato al suo patrimonio, sia l’azione dei creditori sociali. Nel caso di condotte di carattere distrattivo, l’onere della liquidazione giudiziale è quello di allegare esattamente l’inadempimento degli obblighi conservativi del patrimonio sociale, dovendo poi allegare e provare il danno ed il nesso causale, sostanziandosi detto onere nella allegazione e prova della sottrazione dal patrimonio sociale delle risorse da parte dell’amministratore. Di converso, l’amministratore convenuto dovrà dare prova che l’atto dispositivo del patrimonio della società sia espressione dell’adempimento dei suoi obblighi conservativi ovvero che esso atto sia coerente con gli interessi sociali e posto in essere in ragione del perseguimento degli stessi.
(nel caso di specie, i pagamenti ottenuti dallo stesso amministratore unico erano secondo la corte da reputarsi del tutto ingiustificati posto che il medesimo, lungi dall’aver ottenuto in tal modo il versamento di compensi gestori, non si vede a che titolo abbia prestato la sua attività di consulenza, quando l’attività in questione, ove effettivamente prestata, doveva necessariamente reputarsi ricompresa nei propri poteri amministrativi e non avendo fornito alcuna prova contraria che siano stati eseguiti in ragione di attività e prestazioni effettivamente ottenute dalla società corrispondenti a un effettivo interesse sociale).
Assoggettamento a fallimento di ente associativo; responsabilità dell’ente associativo nazionale per i danni causati alla struttura regionale
Ai fini dell’assoggettamento alla procedura fallimentare, lo status di imprenditore commerciale deve essere attribuito anche agli enti di tipo associativo che in concreto svolgano, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale, a nulla rilevando in contrario l’art. 111 del t.u. delle imposte dirette, d.P.R. n. 917 del 1986, la cui portata è limitata alla previsione di esenzioni fiscali ed alla quale non può attribuirsi, avuto riguardo alla specificità delle ragioni di politica fiscale che la ispirano, una valenza generale nell’ambito civilistico. Dall’assoggettabilità delle associazioni alla procedura fallimentare non può che discendere in caso di fallimento l’applicazione dell’art. 43 l. fall., che legittima il curatore ad esperire o proseguire le azioni che trova nel patrimonio della fallita e, con esse, l’azione di responsabilità che, allorquando l’ente è in bonis, può essere esercitata ai sensi dell’art. 22 c.c. dai nuovi amministratori o dai liquidatori, previa delibera dell’assemblea.
Natura della responsabilità verso i creditori sociali. Sopravvenuto difetto di legittimazione attiva del creditore a seguito del fallimento della società
L’azione ex art 2394 c.c. e l’azione ex art 2476, co. 6, c.c. pongono in capo agli amministratori, tenuti ad una corretta gestione sociale in forza della carica ricoperta nell’interesse della società e per l’attuazione del suo oggetto, una specifica obbligazione anche verso i creditori sociali, finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale della società ex art. 2740 c.c., tanto da prevederne una responsabilità diretta verso i creditori se il patrimonio della società risulta così compromesso da essere insufficiente al soddisfacimento del loro credito. L’azione di responsabilità verso i creditori sociali è diretta e autonoma e genera in capo all’amministratore una responsabilità assimilabile a quella contrattuale in quanto fondata sullo specifico rapporto stabilito dalla legge tra i doveri degli amministratori e il diritto dei creditori sociali.
L’art. 2394 bis c.c. stabilisce, esprimendo un principio generale che vale anche per la parallela azione ex art. 2476, co. 6, c.c., che in caso di fallimento della società debitrice l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore spetta al curatore; si tratta di legittimazione del curatore all’azione di responsabilità verso i creditori sociali attribuita ex lege, posto che l’azione non è di quelle di cui era titolare la società e nelle quali invece subentra ex art. 43 l.f. il curatore. La legittimazione del curatore è esclusiva, tanto da privarne i creditori sociali, fino a che pende la procedura concorsuale e ciò anche se la curatela resta inattiva.
Va dichiarata improcedibile la domanda proposta dal creditore ex art. 2476, co. 6, c.c. per sopravvenuto difetto di legittimazione attiva del medesimo creditore a seguito della dichiarazione di fallimento della società, subentrando nell’azione, ex art. 2394 bis c.c., la legittimazione attiva esclusiva del curatore del fallimento.
L’art. 2394 bis c.c., attribuendo al curatore la legittimazione all’azione di responsabilità verso i creditori sociali, assegna all’azione una finalità recuperatoria del patrimonio della fallita nell’interesse indistinto di tutti i creditori, che ne consente la qualificazione come azione della massa, a tutela della par condicio creditorum.
Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali e concorso del terzo non amministratore
L’azione ex art. 2394 c.c. e l’azione ex art. 2476, co. 6 c.c. pongono in capo agli amministratori una specifica obbligazione anche verso i creditori sociali finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale della società ex art. 2740 c.c. L’azione è diretta, autonoma e genera in capo all’amministratore una responsabilità assimilabile a quella contrattuale in quanto fondata sullo specifico rapporto stabilito dalla legge tra i doveri degli amministratori e il diritto dei creditori sociali.
L’art. 2394-bis c.c. stabilisce, esprimendo un principio generale che vale anche per la parallela azione ex art. 2476, co. 6 c.c., che in caso di fallimento della società debitrice l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore spetta al curatore. Si tratta di legittimazione del curatore attribuita ex lege, posto che l’azione non è di quelle di cui era titolare la società e nelle quali invece subentra ex art. 43 l.fall. il curatore, ed esclusiva, tanto da privarne i creditori sociali, fino a che pende la procedura concorsuale e ciò anche se la curatela resta inattiva. L’art. 2394-bis c.c. assegna all’azione una finalità recuperatoria del patrimonio della fallita nell’interesse indistinto di tutti i creditori che ne consente la qualificazione come azione della massa, a tutela della par condicio creditorum.
Nell’illecito proprio dell’amministratore descritto dall’art. 2394 c.c. può concorrere anche il terzo che amministratore non sia. Poiché il danno al creditore è derivativo del danno al patrimonio della società, il curatore è legittimato verso il terzo, concorrente nell’illecito con l’amministratore, ex art. 43 l.fall. come successore del fallito nell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. In caso di intervenuto fallimento al terzo e al creditore sociale residua la legittimazione all’azione ex art. 2476, co. 7 c.c. ed ex art. 2043 c.c. verso il terzo per il risarcimento dei danni che devono però porsi come direttamente cagionati al loro patrimonio dalla condotta di mala gestio dell’amministratore ed eventualmente di terzi concorrenti.
Terzietà del curatore rispetto ai rapporti del fallito: valore probatorio della quietanza e prova della simulazione
Nel giudizio promosso dal curatore fallimentare del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione, la quietanza rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., atteso che il curatore, pur ponendosi nell’esercizio del diritto del fallito nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo.
Il curatore fallimentare che agisca per la dichiarazione di simulazione della quietanza relativa all’avvenuto pagamento del prezzo di compravendita al fine di recuperare al fallimento detto prezzo, cumula, con la rappresentanza del fallito ex art. 43 l.fall., anche la legittimazione che la legge attribuisce ai creditori del simulato alienante ai sensi dell’art. 1416, comma 2, c.c., con la conseguenza che, agendo egli come terzo, può fornire la prova della simulazione senza limiti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1417 e 1416, comma 2, c.c..
La prescrizione breve, prevista dall’art. 2949 c.c., riguarda solo quei diritti derivanti da relazioni fra i soggetti dell’organizzazione sociale che dipendono dal contratto sociale o da deliberazioni societarie, esclusi tutti gli altri diritti fondati su ordinari rapporti giuridici che la società può instaurare al pari di qualsiasi altro soggetto (nella specie, il Tribunale ha escluso l’applicazione della prescrizione breve per una domanda avente ad oggetto il pagamento del prezzo, quale obbligazione nascente da un contratto di compravendita, ancorché avente ad oggetto partecipazioni sociali).
Legittimazione processuale del fallito
La legittimazione processuale in capo al fallito sussiste solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico, se l’intervento è previsto dalla legge, nonché nei giudizi di natura tributaria qualora possano derivare, da questi, fatti oggetto di imputazione penale, ovvero in caso di inerzia assoluta del curatore fallimentare (nel caso di specie, è stata esclusa la legittimazione processuale del fallito all’azione revocatoria volta ad assicurare gli esiti di un giudizio relativo a fattispecie di responsabilità civile, i cui diritti ai sensi dell’art. 42 l.f. erano stati già esercitati dal curatore, che con autorizzazione del giudice delegato ha inteso non coltivare il giudizio connesso, ritenendolo non utile per la massa ed assumendosi la responsabilità dell’atto).
Legittimazione attiva all’azione sociale ed individuale di responsabilità degli amministratori
In caso di fallimento, il curatore è l’unico soggetto legittimato a proseguire l’azione di responsabilità ex art. 146 l.f., con conseguente difetto sopravvenuto di legittimazione ad agire del socio a decorrere dalla data del fallimento. Il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto a conoscenza legale della parte interessata alla riassunzione. Ai fini del decorso del termine per la riassunzione è necessario che il curatore fallimentare conosca lo specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare.
L’azione ex art. 2395 c.c. non richiede che tra amministratore e terzo esista un contratto (o un precedente “contatto sociale”) che generi obbligazioni contrattuali che possano riuscire inadempiute. Il criterio del “danno diretto” non serve a delimitare l’ambito applicativo delle conseguenze risarcibili ex art. 1223 c.c. (ossia il quantum), ma le condizioni dell’azione ex art. 2395 c.c. (an debeatur), per distinguerla dalle azioni pertinenti ai pregiudizi che sono assoggettate al diverso regime ex artt. 2393 e 2394 c.c. Poiché il danno si verifica direttamente nel patrimonio del socio o del terzo, e non come conseguenza riflessa del danno al patrimonio sociale, il danneggiato esercita l’azione ex art. 2395 c.c. jure proprio e non in qualità di sostituto processuale della società, che pertanto non è litisconsorte necessario. In assenza di un danno al patrimonio sociale, la dichiarazione di fallimento non attribuisce al curatore facoltà di esercitare quest’azione o di proseguire l’azione già esercitata, diversamente da quelle ex artt. 2393 e 2394 c.c., e correlativamente non toglie al danneggiato la legittimazione ad agire.
Azione di responsabilità civile da parte del curatore del fallimento in s.r.l. nei confronti dell’amministratore di fatto
La corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto, di cui all’art. 2639 c.c., richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, [ LEGGI TUTTO ]
Nullità delle delibere assembleari prese in assenza assoluta di convocazione e di informazione del socio escludendo
La deliberazione assunta dall’assemblea non può in alcun modo essere ridotta ad una sorta di atipica “proposta di esclusione” emessa all’esito di una peculiare “riunione dei soci”, la cui formale approvazione in contradditorio con gli espellendi sarebbe stata poi rimessa ad una successiva assemblea, secondo una ricostruzione della fattispecie espulsiva come “a formazione assembleare progressiva”, che deve ritenersi errata – o comunque, ingiustificata – in diritto.
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