Art. 91 c.p.c.
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La funzione ausiliaria della consulenza tecnica di ufficio e la conseguente disciplina delle spese processuali
La consulenza tecnica d’ufficio è un atto compiuto nell’interesse generale di giustizia e, dunque, nell’interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio. Le relative spese rientrano pertanto tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c., sicché possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, senza violare in tal modo il divieto di condanna di quest’ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica una condanna, ma solo l’esclusione del rimborso.
Sospensione della delibera assembleare nell’arbitrato societario e nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.
In forza del disposto degli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, d.lgs. n. 5/2003, la pattuizione di una clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari ex art. 2378 c.c. ed agli arbitri compete anche il potere di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera (in virtù della precedente formulazione dell’art. 818 c.p.c. che impediva agli arbitri di concedere misure cautelari).
Nel lasso di tempo intercorrente fra la proposizione della domanda di arbitrato e la formazione dell’organo arbitrale, è riconosciuta pacificamente la competenza del giudice ordinario in relazione alla sola istanza di sospensione della delibera e ciò fino al momento in cui l’organo arbitrale non solo sia stato nominato, ma anche sia concretamente in grado di provvedere, allo scopo di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost.
Il provvedimento di nomina del curatore speciale costituisce un sub-procedimento di volontaria giurisdizione che si traduce in un atto sempre modificabile e revocabile dal giudice che lo ha emesso, che non passa in giudicato e non assume una stabilità idonea ad integrare la nozione di definitività.
Il provvedimento di nomina del curatore speciale di cui all’art. 78 c.p.c. è diretto non già ad attribuire o negare un bene della vita, ma ad assicurare la rappresentanza processuale tanto al soggetto che ne sia privo, quanto al rappresentato che si trovi in conflitto di interessi col rappresentante; ha pertanto una funzione meramente strumentale ai fini del singolo processo ed è sempre revocabile e modificabile ad opera del giudice che lo ha pronunciato.
Non sussiste conflitto d’interessi, tale da rendere necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, in cui il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società, in persona di chi ne abbia la rappresentanza legale; nè è fondata una valutazione di conflitto di interessi in capo all’amministratore, solo in quanto la deliberazione assembleare abbia ad oggetto profili di pertinenza dello stesso organo gestorio, posto che ravvisarvi un’immanente situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale alla società in tutte o quasi tutte le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto distorsivo per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale alla società ex art. 78 c.p.c., l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.
Non sussiste conflitto di interesse rilevante ex art. 78 c.p.c. allorché il socio che sia anche amministratore abbia espresso il proprio voto determinante a favore della deliberazione relativa al suo compenso, atteso che egli legittimamente può avvalersi del proprio diritto di voto per realizzare anche un proprio fine personale, salvo non si accerti che attraverso il voto egli abbia sacrificato a proprio favore l’interesse sociale.
Mentre l’art. 78 c.p.c. si applica qualora si ravvisi una conflittualità tra la società ed il suo rappresentante (ossia l’amministratore), il conflitto di interessi di cui all’art. 2373 c.c. riguarda il rapporto fra socio e società, ossia quando il socio si trova nella condizione di essere portatore, di fronte ad una data deliberazione, di un duplice interesse: del suo interesse di socio e di un interesse esterno alla società.
Impugnazione di delibere assembleari: sostituzione della deliberazione, compromittibilità in arbitri e aspetti processuali
In tema di impugnazione di deliberazioni dell’assemblea, affinché possa prodursi l’effetto sanante previsto dall’art. 2377, co. 8, c.c., è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che, adottata in conformità alla legge e allo statuto, abbia identico contenuto e, quindi, provveda sui medesimi argomenti della prima deliberazione, ferma l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità.
Le controversie aventi ad oggetto la validità di deliberazioni assembleari sono compromettibili in arbitri qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili. A tale riguardo, attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri, soltanto le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell’art. 2479-ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione, sicché la lite che abbia ad oggetto l’invalidità della delibera assembleare per omessa convocazione del socio, essendo soggetta al regime di sanatoria previsto dall’art. 2379-bis c.c., può essere deferita ad arbitri.
Qualora l’arbitrato previsto nello statuto sociale abbia natura rituale, l’eccezione di compromesso ha carattere processuale e integra una questione di competenza – e non di giurisdizione – cui è applicabile l’art. 819-ter c.p.c. Tale ultima previsione, in particolare, nel delineare i rapporti tra giudice ordinario e arbitro, prevede espressamente che il giudice debba affermare o negare la propria competenza in relazione a una convenzione d’arbitrato tramite sentenza, e infatti, in ipotesi di devoluzione della controversia ad un arbitro, soggetto posto al di fuori della giurisdizione ordinaria, il giudice, nel negare la propria competenza, si pronuncia con sentenza decidendo sulle relative spese, ai sensi del combinato disposto degli artt. 819-ter e 91 c.p.c.
Revoca della delibera del CdA invalida e soccombenza virtuale
Il principio di cui all’art. 2377, co. 8, c.c. è espressione specifica del più generale principio di soccombenza che governa il regime delle spese processuali. In tal senso, la sostituzione da parte di un’ente di una delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dell’atto costitutivo implica il riconoscimento da parte dell’ente dell’invalidità della delibera sostituita, con la conseguenza che le spese processuali dovranno essere sostenute dall’ente medesimo.
Pagamento delle spese di giudizio in caso di cessazione della materia del contendere
Viene meno la ragion d’essere sostanziale della lite una volta intervenuto il pagamento spontaneo da parte dei convenuti di quanto richiesto da parte attrice. Tale circostanza priva le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, venendo meno ogni ragione di contrasto tra di esse.
Rispetto al regolamento delle spese del giudizio, l’art. 91 c.p.c. prevede il principio della soccombenza che, nel caso in cui vi sia cessazione della materia del contendere, si declina nel principio della soccombenza virtuale, secondo il quale le spese processuali gravano sulla parte che sarebbe risultata soccombente secondo un apprezzamento prognostico sulla fondatezza della domanda proposta. Non trova invece applicazione il secondo periodo del comma 1 dell’art. 91 c.p.c. – secondo cui il giudice “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92” – qualora le parti abbiano richiesto la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, mentre la norma in oggetto presuppone una pronuncia di accoglimento della domanda di una delle parti e dunque una pronuncia nel merito, la cui necessità nel presente procedimento è venuta meno.
Sulla condanna alle spese processuali del contumace
Revoca delle delibera del c.d.a. e cessazione della materia del contendere
Con la revoca della delibera del c.d.a. impugnata viene a cessare la materia del contendere. In tal caso, il Collegio provvede sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale.
Opposizione a decreto ingiuntivo e mancato rimborso del finanziamento soci
Eccezione di compromesso proposta in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: profili processuali e statuizioni sulle spese
La controversia avente ad oggetto il pagamento del prezzo relativo ad un contratto di cessione di quote sociali può formare oggetto di clausola compromissoria e, pertanto, può essere sottoposta ad arbitrato. Infatti, tale controversia non ha ad oggetto diritti indisponibili (come gli interessi della società) e non concerne la violazione di norme inderogabili poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi (quali, ad esempio, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio).
In caso di eccezione preliminare di compromesso proposta in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice, quando ritiene fondata tale eccezione, deve dichiarare la propria incompetenza e revocare il decreto ingiuntivo.
In materia di spese del giudizio, il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. può essere derogato, ex art. 92 c.p.c. (come integrato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77/2018) quando vi è soccombenza reciproca, assoluta novità della questione trattata, mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o altre gravi ed eccezionali ragioni.
Il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto ingiuntivo non costituisce un processo autonomo rispetto al successivo giudizio di opposizione, ma dà luogo ad una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale il ricorso per ingiunzione funge da atto introduttivo. Perciò, il giudice che, con sentenza, chiude il giudizio di opposizione deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite.