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Art. 96 c.p.c.
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Litispendenza e abuso del processo

L’azionare più volte la stessa pretesa attraverso diversi strumenti processuali configura un abuso del processo. Tale condotta abusiva giustifica la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., senza necessità di accertare il dolo o la colpa grave della parte.

A norma dell’art. 39, co. 1, c.p.c., qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza sia stata già decisa in primo grado e penda ormai davanti al giudice dell’impugnazione, senza che sia possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o dell’art. 337, co. 2, c.p.c., a ciò ostando l’identità delle domande formulate nei due diversi giudizi.

Il ricorso ex art. 700 c.p.c. La condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c.

Per i provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il requisito della strumentalità rispetto al merito si realizza mediante la portata interinale e tendenzialmente provvisoria degli effetti del provvedimento cautelare, caratterizzata dall’anticipazione degli effetti propri del provvedimento di cui vuole assicurare la fruttuosità e che, al momento della sua pronuncia, dà luogo alla caducazione del provvedimento anticipatorio. Nel ricorso devono essere specificati il petitum mediato e la causa petendi, ma non anche le analitiche conclusioni che integrano il petitum immediato del giudizio di merito: la mancata indicazione nel ricorso cautelare di tali elementi ne comporta l’inammissibilità, sempre che dal tenore dello stesso non sia possibile dedurre chiaramente il contenuto del futuro giudizio di merito. In altre parole, il ricorso contenente una domanda cautelare proposta prima dell’inizio della causa di merito deve contenere l’esatta indicazione di quest’ultima o, almeno, deve consentirne l’individuazione in modo certo. L’esigenza di individuare nel ricorso cautelare gli elementi costitutivi dell’instauranda azione di merito consente di verificare la competenza del giudice adito in sede cautelare e serve per capire se il provvedimento cautelare richiesto sia effettivamente anticipatorio. Inoltre, è necessaria anche per tutelare il soggetto destinatario passivo del provvedimento cautelare anticipatorio, consentendogli di instaurare il corrispondente e strumentale giudizio di merito volto a far rimuovere gli effetti del provvedimento cautelare emesso e/o a far rigettare anche nel merito la domanda di controparte già virtualmente formulata nello stesso ricorso.

La ricorrenza del requisito del periculum in mora, che, secondo il dettato dell’art. 700 c.p.c., deve ricorrere in aggiunta a quello del fumus boni iuris, va esclusa allorquando la parte abbia fatto trascorrere un apprezzabile lasso di tempo tra il fatto lesivo del suo diritto e la proposizione del ricorso.

La necessità di una comunicazione periodica da parte dell’amministratore risulta determinata dall’esigenza di consentire all’accomandante l’esercizio del potere di controllo e di critica sull’operato del socio accomandatario e consente, in mancanza di impugnazione del bilancio da parte dell’accomandante, di ritenere consolidato l’esercizio.

La condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa e a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi, con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

20 Febbraio 2024

Accordi di risanamento, meritevolezza del contratto e divieto di patto commissorio

Il diritto dei contratti non impone un’uguaglianza assoluta tra le parti riguardo a condizioni, termini e vantaggi economici e contrattuali. Pertanto, non è la discrepanza tra prestazione e controprestazione a rendere un contratto immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., purché tale differenza sia stata compresa ed accettata in piena libertà ed autonomia dalle parti stesse.

Il divieto di patto commissorio e la conseguente sanzione di nullità radicale sono estesi a qualsiasi negozio, tipico o atipico, quale che ne sia il contenuto, che sia in concreto impiegato per conseguire il fine, riprovato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore. Pertanto, in ogni ipotesi in cui quest’ultimo sia costretto ad accettare il trasferimento di un bene a scopo di garanzia, nell’ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta per causa indipendente dalla predetta cessione, è ravvisabile un aggiramento del divieto di cui agli artt. 1963 e 2744 c.c.

Nell’ambito dell’accertamento di una eventuale violazione del divieto di patto commissorio, il giudice di merito non deve limitarsi a un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto e, in caso di operazione complessa, valutare gli atti medesimi alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante e il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto. Rientra in detta articolata casistica anche l’ipotesi in cui le parti pongano in essere più negozi, tra loro uniti da un vincolo di collegamento, configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e interdipendenti, al fine di un più completo ed equilibrato regolamento degli interessi, ove dalla loro disamina emerga un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale venga compiuto il trasferimento di un bene dal debitore al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, a uno scopo di garanzia.

A prescindere dalla natura obbligatoria o reale del contratto o dei contratti che le parti pongono in essere, ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi, nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dall’identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti, si configura una violazione del divieto di cui all’art. 2744 c.c. qualora tra le diverse pattuizioni sia dato ravvisare un rapporto di interdipendenza tale che le stesse risultino funzionalmente preordinate a realizzare una situazione del tutto analoga a quella vietata dalla legge.

La conversione di crediti in azioni, lungi dal costituire una violazione del patto commissorio o di altra disposizione imperativa prevista dall’ordinamento, oltre a essere una prassi frequente sia nell’ambito di società in bonis sia nell’ambito delle procedure di ristrutturazione dei debiti, è un’ipotesi ritenuta lecita dal legislatore, tanto da essere espressamente prevista e disciplinata nell’ipotesi di concordato preventivo (art. 160, co. 1, lett. a, l. fall.) e pacificamente avallata dalla giurisprudenza di legittimità.

8 Novembre 2023

Sull’invalidità dei contratti conclusi dall’ex amministratore in posizione di conflitto di interessi

Quando il preteso illecito consiste nell’aver tradito l’interesse del rappresentato da parte del rappresentante, avendo quest’ultimo agito infedelmente con la connivenza dell’altro contraente, il motivo dell’illiceità non può dirsi comune a entrambi i paciscendi. In questo caso, il motivo che ha supportato il rappresentante nella stipulazione non può farsi risalire alla parte rappresentata per l’evidente conflitto di interessi; ne consegue che la tutela rispetto a tale vizio è presidiata dall’ipotesi di cui all’art. 1394 c.c. e dal rimedio della annullabilità e non della nullità ex art. 1345 c.c. Anche in materia societaria il conflitto di interesse tra il rappresentante e il rappresentato trova tutela attraverso la categoria dell’annullamento (art. 2475 ter c.c.).

Deve distinguersi il negozio in frode alla legge da quello in frode ai terzi. Il primo è quello che persegue una finalità vietata dall’ordinamento in quanto contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico e del buon costume o perché diretta a eludere una norma imperativa ed è nullo. Al contrario, non si rinviene nell’ordinamento una norma che stabilisca in via generale l’invalidità del contratto stipulato in frode ai terzi, ai quali ultimi, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale. In tale categoria di contratti, rientra la fattispecie di frode posta in essere dal mandatario, il quale aliena beni del mandante contro l’interesse di quest’ultimo, o comunque per ragioni diverse da tale interesse (infedeltà patrimoniale).

La nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto o per incertezza nei fatti costitutivi della domanda, ai sensi dell’art. 164, co. 4, c.p.c. sussiste solo ove tali elementi siano del tutto omessi, oppure risultino assolutamente incerti e comunque inadeguati a tratteggiare l’azione, in quanto l’incertezza non sia marginale o superabile, ma investa l’intero contenuto dell’atto, posto che la lettura dell’art. 163 c.p.c. non può essere meramente formalistica. L’esigenza di adeguata determinazione dell’oggetto del giudizio, indispensabile garanzia dell’effettività del contraddittorio e del diritto di difesa, è soddisfatta con l’identificazione dei fatti che concorrono a costituire gli elementi costitutivi della responsabilità al fine di consentire alla controparte di approntare tempestivi e completi mezzi difensivi.

Patti parasociali: criteri di interpretazione dei contenuti del contratto e limiti all’adempimento dei paciscenti

La domanda di accertamento del significato di un patto parasociale passa attraverso l’individuazione del quadro dei vincoli di fonte negoziale intervenuti e operanti tra le parti e, ancor prima, dell’individuazione dei relativi effetti e dei soggetti vincolati, ottenibile mediante l’interpretazione degli accordi intercorsi, alla luce dei criteri fondamentali, da applicarsi senza necessità di riconoscere alcuna priorità al senso strettamente letterale: (i) dell’esame del dato letterale e della comune intenzione delle parti, nonché della valutazione del comportamento complessivo tenuto dalle medesime anche successivamente alla stipulazione (ex art. 1362 c.c.), fermo restando che oggetto della ricerca ermeneutica è il significato oggettivo del testo, rispetto al quale il senso letterale delle parole è il primo, ma non esclusivo strumento, imponendosi un’indagine comprensiva dell’elemento logico, in un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione che devono fondersi e armonizzarsi; (ii) della valutazione congiunta delle clausole nel loro insieme (art. 1363 c.c.); (iii) della buona fede interpretativa (art. 1366 c.c.); (iv) dell’interpretazione utile (art. 1367 c.c.); nonché avuto, comunque, riguardo alla causa in concreto, intesa come lo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto.

L’onere processuale incombente sulla parte attrice asserita creditrice, nelle azioni contrattuali, ricomprende, oltre all’allegazione dell’inadempimento, anche e ancor prima la prova del titolo negoziale costituente la fonte genetica della pretesa creditoria azionata; prova includente quella della ricorrenza in concreto dei presupposti fattuali che determinano l’insorgenza e l’operatività degli obblighi asseritamente disattesi e la cui assoluzione presuppone, a monte, la puntuale delineazione del contenuto e dei limiti dell’impegno contrattualmente assunto e asseritamente inadempiuto.

In nome del principio di buona fede, in forza del quale ogni contraente è tenuto, nell’esecuzione del contratto, alla salvaguardia dell’interesse perseguito dalla controparte con la pattuizione, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio, l’estensione e il contenuto degli obblighi giuridicamente cogenti del patto parasociale e delle condotte adempitive dell’obbligo assunto con la pattuizione non può condurre il paciscente sino alla violazione di norme di legge imperative o al compimento di atti illeciti, tali da esporlo a responsabilità nei confronti della società: donde, se è pur vero che la natura extrasociale del patto può condurre a incorrere in responsabilità da inadempimento nei confronti delle controparti il contraente che esprima il proprio diritto di voto in maniera divergente dall’impegno assunto, pur nell’ambito di una delibera normativamente conforme e pertanto valida ed efficace erga omnes, non è invece vero l’opposto, non essendo possibile ritenere rimproverabile e fonte di danno sine iure l’omissione, da parte del paciscente, di condotte che, pur necessarie e idonee alla realizzazione dell’interesse perseguito della controparte, implichino la violazione di norme e doveri di legge o statutari.

22 Giugno 2023

Legittimazione e interesse ad impugnare una delibera invalida da parte di soci persone giuridiche

La legittimazione processuale attiva e passiva consiste nella titolarità in via astratta del potere di promuovere un giudizio in relazione a una posizione giuridica sostanziale dedotta in causa. La legitimatio ad causam deve essere distinta dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio: la prima, infatti, qualificabile come un presupposto dell’azione, si basa su fatti, dedotti dalla parte attrice, in astratto idonei a fondare il diritto azionato, indipendentemente dall’accertamento della titolarità della posizione giuridica sostanziale sottostante. Pertanto, il difetto di legitimatio ad causam, riguardando la regolarità del contraddittorio, costituisce un error in procedendo ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

La legittimazione ad impugnare la delibera invalida di una s.r.l. ex art. 2479-ter c.c. compete esclusivamente ai soci che non vi hanno consentito, a ciascun amministratore e al collegio sindacale, non anche a terze persone estranee a tali tre categorie, quali il socio unico della società che, a sua volta, è socio unico della s.r.l. che ha adottato la delibera impugnata.

L’interesse ad agire comporta la verifica, da compiersi d’ufficio da parte del giudice, in ordine all’idoneità della pronuncia richiesta a spiegare un effetto utile alla parte che ha proposto la domanda e quindi la sussistenza di un interesse concreto ed attuale. Tale principio vale anche con riguardo all’azione di accertamento della nullità di delibere assembleari, la quale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, ma l’interesse in questione, oltre a dovere essere concreto ed attuale, deve riferirsi specificamente all’azione di nullità, e non può identificarsi con l’interesse ad una diversa azione, il cui esercizio soltanto potrebbe soddisfare la pretesa dell’attore.

30 Marzo 2023

Relata di notifica e querela di falso

Quando la notificazione sia effettuata dall’ufficiale giudiziario nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c. o dall’ufficiale postale nelle forme stabilite dall’art. 8, co. 2 e 3, l. 890/1982, costituisce una mera presunzione superabile con qualsiasi mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso avverso la relata, il fatto che nell’indirizzo indicato si trovi la residenza effettiva del destinatario dell’atto e compete, quindi, al giudice del merito, in caso di contestazione, l’accertamento di tale circostanza sulla base delle prove fornite dalle parti ai fini della pronuncia sulla validità della notifica.

13 Febbraio 2023

Annullabilità per conflitto di interessi del contratto di cessione di quote

Il conflitto d’interessi idoneo, ex art. 1394 c.c., a produrre l’annullabilità del contratto, richiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante, il quale, dovendo essere dimostrato non in modo astratto o ipotetico, ma con riferimento al singolo atto, è ravvisabile esclusivamente rispetto al contratto le cui caratteristiche consentano l’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro. È da escludere, pertanto, una condotta abusiva del rappresentante e un pregiudizio del rappresentato quando il contenuto del negozio sia stato da quest’ultimo predeterminato.