Art. 99 c.p.i.
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Segreto commerciale, imitazione servile e tutela autoriale: limiti di campo
Non è invocabile la tutela per i segreti commerciali contenuta agli artt. 98 e 99 del c.p.i. per informazioni aziendali riconducibili a soluzioni e componenti standard, utilizzate anche da altri produttori concorrenti, riproducibili mediante reverse engineering.
L’impiego di componenti esteriori acquistati da un fornitore comune ad un concorrente, per la realizzazione di prodotti finali simili, non integra ipotesi di imitazione servile ex art. 2598 n.1 c.c. qualora: i componenti identici impiegati appaiano banali e standardizzati, utilizzati da tutti i produttori del settore; i prodotti finali integrino altresì differenti modelli dei componenti forniti dal medesimo fornitore oppure relativi agli aspetti di maggior dettaglio e di specifica implementazione tecnica.
La presenza nel catalogo prodotti o nel libretto di istruzioni di testi, grafici e fotografie estremamente simili – se non identiche – al catalogo di un concorrente, non è illecita laddove le fotografie non definiscono né incorporano alcun know-how del concorrente, e, in sé, non costituisce violazione dell’opera dell’ingegno altrui, in quanto la tutela autoriale non ha ad oggetto il contenuto del catalogo o del libretto di istruzioni, quanto piuttosto la sua forma espressiva.
Presupposti applicativi della misura cautelare della descrizione, misure di protezione e inibitorie nei procedimenti in materia di concorrenza sleale, industrialistica e diritto d’autore
La misura della descrizione, con finalità di acquisizione probatoria, è prevista solo con riferimento ai diritti industriali e/o previsti dalla legge sul diritto di autore. Attesa la funzione probatoria, il fumus richiesto per la concessione della descrizione è dunque sicuramente affievolito rispetto al fumus richiesto per la concessione delle altre misure cautelari, quali il sequestro e l’inibitoria, esaurendosi nella sussistenza di un ragionevole sospetto di violazione o nella non pretestuosità della domanda, ma la concessione o comunque la conferma della misura non possono prescindere dalla verosimiglianza della titolarità, in capo a chi agisce, di un diritto industriale [nel caso di specie trattavasi di informazioni segrete ai sensi dell’art. 98 CPI e/o di una banca dati ex art. 2, n. 9, e 102 bis LdA].
Le misure di protezione ex art. 98, lett. c) cpi hanno il duplice scopo di impedire che coloro che detengono determinate informazioni (ad esempio dipendenti e collaboratori) le portino a conoscenza di terzi e che i terzi possano accedervi direttamente. A tal fine, l’imprenditore deve intervenire su più livelli, adottando misure che possono ricondursi a tre categorie: le misure di carattere fisico (quali l’utilizzo di archivi cartacei protetti da chiavi e accessibili solo ad alcuni dei dipendenti), le misure di carattere tecnologico (quali l’utilizzo di sistemi che rendano accessibili le informazioni solo a particolari soggetti, mediante l’utilizzo di accorgimenti tecnici) e le misure di carattere organizzativo (quali ad esempio circolari interne, protocolli, ordini di servizio, patti di non concorrenza o accordi di segretezza che consentano di rendere manifesta la volontà del titolare delle informazioni di mantenerle segrete). L’idoneità delle misure adottate deve essere valutata caso per caso, considerando vari fattori, tra i quali rilevano le dimensioni dell’impresa, la natura dell’informazione, il numero di soggetti che vi abbiano accesso e la tipologia di accesso previsto all’informazione stessa.
Il criterio di originalità è soddisfatto quando, mediante la scelta o la disposizione dei dati in essa contenuti, il suo autore esprima la sua capacità creativa con originalità effettuando scelte libere e creative. Al contrario, il criterio de quo non è soddisfatto quando la costituzione della banca di dati sia dettata da considerazioni di carattere tecnico, da regole o vincoli che non lasciano margine per la libertà creativa.
Non va considerata, al fine di valutare l’originalità della banca dati , la rilevanza del dato in quanto tale e nemmeno il fatto che la costituzione della banca di dati abbia richiesto, oltre alla creazione dei dati in essa contenuti, un dispiego di attività e know-how significativi da parte del suo autore (fattori rilevanti, invece, per la tutela della banca dati sui generis ex ar.t 102 LdA). Da ciò consegue che, qualora l’organizzazione dei dati si ispiri ed assolva a informative o gestionali, senza un apprezzabile gradiente di apporto intellettuale creativo, il carattere dell’originalità non sussiste.
Qualora si tratti di una banca dati di tipo dinamico, è nell’in sé della banca dati stessa che i contenuti si evolvano in continuazione, dal che non è possibile sostenere che le continue modifiche del contenuto dei dati attribuiscano all’investimento una portata qualificante e sostanziale, tale da far decorrere continuamente un nuovo termine quindicennale: seguendo tale impostazione, una tale tipologia di banca dati godrebbe di una tutela sui generis illimitata, e ciò si porrebbe in contrasto con la norma che, al contrario, precede che detta tutela sia accordata per un tempo determinato. Al fine di far decorrere un nuovo termine quindicennale, è dunque necessario un investimento di rilevante e sostanziale innovazione della banca dati, distinto dal mero aggiornamento dei dati contenuti nei listini prezzi.
La tutela autorale di una banca dati non è riconosciuta in caso di mancata estrazione e reimpiego della stessa
Ai sensi dell’art. 102 bis l.d.a. colui che effettua investimenti finalizzati alla realizzazione di una banca di dati è definito dalla legge il costitutore (art. 102-bis, comma 1 lett. a) l.d.a.), ed è titolare di un diritto sui generis ovvero può “vietare le operazioni di estrazione ovvero reimpiego della totalità o di una parte sostanziale della stessa”, salvi ovviamente i diritti già esistenti sul contenuto della raccolta o parti di esso” (art. 102-bis, comma 3, l.d.a.).
L’art. 102 bis comma 9 l.d.a. vieta anche l’estrazione e/o il reimpiego di parti non sostanziali qualora dette operazioni siano ripetute in maniera sistematica purché ciò presupponga:
a) operazioni contrarie alla normale gestione della banca dati, oppure
b) tali da arrecare un pregiudizio ingiustificato ai legittimi interessi del costitutore.
Tale diritto sui generis ha lo scopo di assicurare la tutela di un investimento rilevante da un punto di vista qualitativo e quantitativo effettuato per costituire, verificare o presentare il contenuto di una banca di dati per la durata limitata del diritto.
La durata della tutela è fissata in quindici anni a partire dall’effettuazione dell’investimento rilevante, in termini qualitativi e quantitativi, che deve essere riferito alla creazione di sistemi di memorizzazione e gestione di informazioni esistenti.
Ogni investimento “sostanziale” diretto ad integrare o modificare la stessa banca dati determina la decorrenza di un nuovo termine di quindici anni, giacché è la portata qualificante di tale investimento a conferire alla banca dati esistente una nuova veste, che giustifica un nuovo periodo di protezione.
E’ illecito lo storno di clientela anche nella forma del cherry picking
La figura dello storno di dipendenti e collaboratori esprime la sua problematicità nell’individuazione del discrimine tra le fattispecie lecite, frutto di una dinamica fisiologica del mercato, e quelle illecite, che esprimono una patologia quale espressioni più tipiche della concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale. Nell’applicazione di tale rimedio confluiscono invero opposte esigenze, presidiate anche da norme di rilevanza costituzionale, quali la libera circolazione del lavoro e la libertà d’impresa di cui agli artt. 36 e 41 della Carta, da limitare solo in presenza di condotte che alterino la dinamica della lecita concorrenza, anch’essa tutelata da disposizioni di natura primaria, anche sopranazionali.
Lo storno, in particolare, è considerato illecito ove il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui:
– in violazione della disciplina giuslavoristica (ad esempio, quanto ai termini di preavviso) e degli altri diritti assoluti del concorrente (quali la reputazione e i diritti di proprietà immateriale, quali le informazioni riservate);
– con modalità non fisiologiche, in quanto potenzialmente rischiose per la continuità aziendale dell’imprenditore che subisce lo storno nella sua capacità competitiva. E ciò tenuto conto, da un lato, delle normali dinamiche del mercato del lavoro in un preciso contesto economico e, dall’altro, delle condizioni interne dell’impresa leale (ad esempio, si è ritenuto che in casi di crisi aziendale o situazioni di difficoltà, lo smembramento della forza lavoro e i maggiori flussi in uscita dei dipendenti siano da considerare un effetto fisiologico);
– con modalità non prevedibili, in grado cioè di provocare alterazioni non immediatamente riassorbibili, e aventi un effetto shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o di servizi dell’impresa che subisce lo storno (lo sviamento è stato ritenuto illecito ove il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui con modalità che provochino alterazioni oltre la soglia di quanto possa essere ragionevolmente previsto). D’altro canto, l’imprenditore leale deve tenere conto, a sua volta, di un mercato del lavoro che si muove dinamicamente, considerato il concreto quadro economico e giuridico nel quale egli stesso opera.
In tale contesto è da considerarsi illecito anche il c.d. “cherry picking”, il quale si verifica ove lo stornante ha compiuto una precisa scelta, consistente nell’assumere solo e soltanto collaboratori della concorrente dotati di una specifica competenza, in quanto provenienti da uno specifico settore e con un ruolo di fatto apicale nel comparto interessato.
A tali condotte sul piano oggettivo, si aggiunge poi l’animus nocendi, categoria che richiama quella penalistica del dolo specifico, da intendere quale volontà di recare danno, annientare o distruggere la concorrente. Si tratta di un requisito criticato dalla dottrina più attenta, giacché afferente alla sfera soggettiva dell’autore dell’illecito, benché in generale non richiesto tra i profili soggettivi della condotta quando si tratta di accedere alla tutela preventiva e inibitoria, e non anche a quella risarcitoria, nell’ambito della concorrenza sleale, retta dalla disposizione di cui all’art. 2600 c.c..
A ciò si aggiungono le difficoltà sul piano probatorio da parte del soggetto vittima dello storno. Consapevoli di tali criticità, lo sforzo delle Corti è stato quello di “oggettivizzare” tale elemento, ancorandone l’accertamento a requisiti – per così dire – oggettivi. La condivisibile necessità di restringere le ipotesi di tutela (alzando la soglia della rilevanza dell’illecito) giustificata dall’esigenza di garantire condotte e libertà a copertura costituzionale nella normale dinamica della libera concorrenza del mercato (anche del lavoro) passa, dunque, attraverso la valorizzazione dell’elemento oggettivo, da sindacare in base all’intensità dell’offesa all’integrità aziendale, che, in via presuntiva, fa inferire l’elemento soggettivo, depotenziando sotto il profilo probatorio la necessità della prova diretta dell’animus nocendi.
Dunque, il problema di distinguere tra natura fisiologica e lecita dello storno di dipendenti e concorrenza sleale si ricompone sul piano oggettivo dell’intensità lesiva della condotta. L’interprete deve solo verificare se il concorrente (ritenuto sleale) si sia appropriato di risorse altrui, con modalità che abbiano messo a rischio la continuità aziendale dell’imprenditore nella sua capacità competitiva, ovvero provocato alterazioni non ragionevolmente prevedibili, e determinato uno shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o servizi non riassorbibile attraverso un’adeguata organizzazione dell’impresa e di cui lo stornante non possa non essere consapevole giacché ciò corrisponde ad un suo vantaggio anticoncorrenziale. A tal fine, è stato allora coerentemente osservato che non rileva la prova della pressione esercitata sui dipendenti dell’impresa concorrente per indurre il personale alla trasmigrazione.
Ex dipendenti e informazioni riservate: tutela ex artt. 98-99 C.p.i. e art. 2598 c.c.
In tema di misure di segretezza (ai sensi dell’art. 98, co. 1, lett. c, c.p.i.) le modalità di accesso a sistemi informativi con user id e password sono del tutto ordinarie e non denotano quel quid pluris di segretezza proprio dei segreti industriali ex artt. 98-99 c.p.i.
Le informazioni aziendali di carattere commerciale e tecnico, pur non qualificate in termini di segretezza ex artt. 98-99 c.p.i., possono costituire patrimonio aziendale riservato (know how), la cui diffusione/utilizzazione senza il consenso del titolare può integrare, nella ricorrenza degli altri presupposti della fattispecie illecita, concorrenza sleale, ai sensi dell’articolo 2598, n. 3, c.c.
Lo storno di personale non è di per sé illecito, essendo imprescindibile che lo stesso sia caratterizzato da connotazione ulteriore, quale è l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente, disgregandone l’efficienza aziendale e procurandosi un vantaggio competitivo indebito.
La concorrenza parassitaria consiste nell’imitazione sistematica (e protratta nel tempo) dell’attività imprenditoriale del concorrente, laddove ciò che distingue tale fattispecie di modalità scorretta di concorrenza (ex art. 2598, n. 3, c.c.) rispetto ai casi tipici di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c., è il continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali in un contesto temporale prossimo, così da rivelare l’intento di avvantaggiarsi sul mercato, sfruttando il lavoro e gli sforzi altrui.
Requisiti per la tutela ai sensi dell’art. 98 c.p.i. di un’informazione commerciale e liceità della condotta dell’ex dipendente che contatta clienti e fornitori dell’ex datore di lavoro
Affinché un’informazione commerciale possa dirsi tutelata ai sensi dell’art. 98 c.p.i., è necessario che di essa si dia specifica contezza, anche quanto al suo contenuto, non essendo sufficiente affermare in termini astratti che essa sussisterebbe e risponderebbe ai requisiti di cui al più volte citato art. 98 c.p.i.
Non può in alcun modo reputarsi illecito il comportamento dell’ex dipendente che, assunto presso impresa concorrente, prenda contatti con clienti e fornitori della ex datrice, ben potendo rientrare detta attività nel legittimo sfruttamento del normale bagaglio di esperienze acquisite dal dipendente nel corso della sua attività presso la precedente datrice di lavoro.
Sottrazione di informazioni asseritamente segrete per la produzione di una maschera da scherma tutelata come marchio di forma registrato
La parte che intenda tutelare una privativa non titolata in giudizio deve dare contezza e prova di tutti i suoi presupposti, così come previsti dall’art. 98 D.Lgs. n. 30/2005, ovvero che dette informazioni siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme e nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; che abbiano valore economico in quanto segrete; siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete, dovendosi intendere per misure ragionevolmente adeguate quelle che impediscano che coloro che detengono le informazioni le portino a conoscenza di terzi o che impediscano ai terzi di accedervi direttamente.
I Tribunali di uno Stato membro, compresi i Tribunali dei marchi UE, possono essere aditi per chiedere, relativamente a un marchio UE o a una domanda di marchio UE anche in difetto di registrazione, le misure cautelari previste dalla legislazione di detto Stato per un marchio nazionale, cosicché la tutela cautelare può essere riconosciuta anche sulla scorta della mera domanda di registrazione, purché ne ricorrano i presupposti secondo disciplina comunitaria, tenuto conto che il difetto di registrazione, esclude soltanto che l’affermata privativa possa considerarsi sorretta da presunzione di validità, secondo il dettato dell’art. 127 comma 1 del citato Reg. UE n. 1001/2017.
Nella valutazione del carattere distintivo che la forma del prodotto deve avere o acquisire al fine di valere in sé come marchio, è bene chiarire la necessità di non incorrere in un equivoco, posto che il carattere distintivo della forma non deve differenziare il prodotto dagli altri, in una sorta di considerazione del carattere individuale proprio dei modelli, ma deve differenziarsi dal prodotto in modo idoneo a mandare un messaggio ulteriore rispetto alle qualità del prodotto medesimo, cosicché l’eventuale successo riscontrato sul mercato dal prodotto, idoneo di per sé ad attribuire alle sue fattezze valore individuale, può essere eventualmente valutato come causa efficiente dell’assunzione del carattere distintivo della forma medesima, forma cioè atta ad assumere il significato di marchio.
Tutela delle privative non titolate: procedimento cautelare e onere della prova
Quanto alle privative non titolate, quali sono i segreti industriali, in caso di contestazione della sussistenza del diritto, compete a chi agisca in giudizio, pur nei limiti della prova di verosimiglianza propria del giudizio cautelare, dare contezza dell’esistenza della privativa, fornendo la prova della esistenza delle informazioni tecniche e commerciali in capo al legittimo detentore, nonché dell’esistenza dei presupposti di tutela di cui all’art. 98 cpi, quanto a segretezza di dette informazioni, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del ramo, abbiano dette informazioni valore economico in quanto segrete e siano sottoposte a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
Il divieto di concorrenza sleale per imitazione servile è diretto a impedire il rischio di confusione tra i prodotti dell’imitatore e i prodotti del concorrente
L’imitazione servile è sanzionata dall’art. 2598 n.1 c.c. solo in quanto idonea a creare confusione con i prodotti del concorrente, cioè tale da indurre il potenziale acquirente a ritenere che l’oggetto imitato è proprio quello del produttore che subisce l’imitazione. Inoltre, poiché l’imitazione servile viene ricondotta all’ambito della concorrenza confusoria e quindi al tema dei segni distintivi (nel caso di specie costituiti dalla forma esteriore del prodotto), la tutela della forma è subordinata alle condizioni generali di tutelabilità dei segni distintivi. Ne consegue che chi assume la commissione dell’illecito in questione ed invoca la tutela contro l’imitazione deve allegare e provare la capacità distintiva della forma imitata, intesa soprattutto quale percezione del segno da parte del pubblico come segno distintivo.
Fumus boni iuris di un provvedimento di descrizione e misure di protezione dei segreti industriali
Nell’ambito della valutazione del fumus boni iuris utile per l’emanazione di un provvedimento di descrizione, il diritto di cui deve riscontrarsi la verosimile fondatezza non è tanto quello sostanziale oggetto della domanda di merito, quanto quello processuale alla acquisizione della prova richiesta. Tale “diritto alla prova”, tuttavia, non può derivare sic et simpliciter dalla utilità della prova stessa in relazione alla domanda prospettata e non può prescindere dalla verosimiglianza dell’esistenza di un diritto industriale (e non di altro, come il diritto alla lealtà concorrenziale, di per sé considerato).
Ai fini della tutela dei segreti commerciali ex art. 98 c.p.i., vengono in rilievo il presupposto della segretezza delle informazioni tecniche e commerciali – che devono essere conosciute dal solo imprenditore che chiede tutela, non da altri – e quello della loro secretazione, consistente nella adozione di misure atte a impedirne la divulgazione (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto insufficiente la dicitura “Divulgazione e riproduzione vietata senza nostra autorizzazione scritta” inserita nei cartigli apposti sui disegni tecnici della ricorrente).