Art. 99 c.p.i.
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Concorrenza sleale tramite il deposito di domande divisionali di brevetto
La concorrenza sleale per assunzione di un dipendente chiave dell’impresa concorrente e il rischio di illecita sottrazione e detenzione di informazioni riservate
Per integrare una condotta di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3 c.c., non è sufficiente l’utilizzo, da parte dell’ex dipendente presso il nuovo datore di lavoro, del bagaglio di cognizioni ed esperienze acquisite in costanza del precedente rapporto di lavoro, trattandosi di conoscenze divenute ormai parte della personalità del dipendente, che da lui possono essere legittimamente portate a supporto di migliori nuove possibilità lavorative.
Pertanto, laddove non si travalichi il limite della segretezza delle informazioni o di eventuali patti di non concorrenza validi, per il periodo successivo al rapporto di lavoro, non costituisce concorrenza sleale – bensì sviluppo fisiologico delle relazioni professionali – lo sfruttamento da parte dell’ex dipendente delle competenze e conoscenze lecitamente acquisite grazie alle precedenti esperienze lavorative.
In materia di segreti commerciali, affinché possa trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 98-99 c.p.i., volta ad apprestare una tutela contro la illecita acquisizione, rivelazione, detenzione ed utilizzazione di informazioni segrete e/o riservate, sono richieste tre condizioni cumulative: a) la segretezza dell’informazione; b) il valore economico dell’informazione in quanto segreta; c) l’adozione da parte del detentore di misure ragionevolmente adeguate a mantenere segreta la stessa.
Ne deriva che la tutela predisposta dalle suddette norme non può essere invocata laddove vi sia una divulgazione della notizia, anche in occasione di conferenze o presentazioni tecnico commerciali ovvero laddove le informazioni non possano qualificarsi, ab origine, come “segreto commerciale”, in quanto “non definibili come formulazioni frutto di soluzioni formali nuove o originali o che necessitino di informazioni tecniche non diffuse e non note nel settore”.
Competenza delle sezioni specializzate per illeciti concorrenziali
Rientrano nella competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 168 del 2003, le domande di repressione di atti di concorrenza sleale o di risarcimento dei danni che si fondano su comportamenti che interferiscono con un diritto di esclusiva (concorrenza sleale c.d. interferente), avendo riguardo alla prospettazione dei fatti da parte dell’attore ed indipendentemente dalla loro fondatezza. Di converso, esulano dalla competenza delle sezioni specializzate le domande fondate su atti di concorrenza sleale c.d. pura, in cui la lesione dei diritti di esclusiva non sia elemento costitutivo dell’illecito concorrenziale [nel caso di specie, la condotta posta in essere dal convenuto ritenuta potenzialmente integrante concorrenza sleale interferente concerne la sottrazione dei dati relativi alla clientela].
Concorrenza sleale: indebita acquisizione nonché utilizzazione di informazioni riservate e onere della prova
In ottemperanza al principio dell’onere della prova, ex art. 2697 c.c., la parte che intende invocare la tutela delle informazioni riservate ai sensi degli artt. 98 e 99 CPI deve provarne (a) l’effettiva consistenza, fattura e configurazione depositando disegni, progetti, o comunque documentazione tecnica idonea di per sé a circoscrivere, identificare e descrivere l’oggetto dell’asserita indebita divulgazione e utilizzazione, (b) l’effettiva identità tra le macchine realizzate sulla base di tali informazioni e (c) l’effettiva commercializzazione delle macchine con caratteristiche rispondenti alle informazioni.
Concorrenza sleale per interposta persona e prova delle condotte illegittime
La concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto rapporto di concorrenzialità”, la stessa “è però configurabile allorquando l’atto lesivo del diritto del concorrente sia posto in essere dal soggetto terzo (cosiddetto interposto) che tuttavia si trovi in una relazione di interessi comuni con l’imprenditore avvantaggiato e, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo cioè concorrente del danneggiato), agisca per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, nel qual caso il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Concorrenza sleale per indebito utilizzo del know-how e di notizie riservate afferenti all’attività dell’impresa concorrente fornitrice di servizi di sicurezza e vigilanza privata
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. La diversità di dimensioni imprenditoriali non è tuttavia idonea ad escludere il presupposto del rapporto di concorrenza tra le parti.
Può configurarsi un atto di concorrenza sleale in presenza del trasferimento di un complesso di informazioni aziendali da parte di un ex dipendente di imprenditore concorrente, pur non costituenti oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà industriale quali informazioni riservate o segreti commerciali, ma è necessario che ci si trovi in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito
Concorrenza sleale: storno di dipendenti tra società operanti nel settore dei trasporti di prodotti ittici
La figura dello storno di dipendenti e collaboratori impone una delicata individuazione del discrimen tra le fattispecie lecite, frutto di una dinamica fisiologica del mercato, e quelle illecite, che esprimono una patologia quale espressione della concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale. La tutela di una concorrenza leale si misura con la necessità di considerare opposte esigenze, presidiate anche da norme di rilevanza costituzionale, quali la libera circolazione del lavoro e la libertà d’impresa di cui agli artt. 36 e 41 della Costituzione, da limitare solo in presenza di condotte che alterino la dinamica della lecita concorrenza, anch’essa tutelata da disposizioni di natura primaria, anche sopranazionali. Il perimetro rilevante è quindi da individuarsi partendo dall’intensità lesiva del comportamento censurando.
Lo storno è considerato illecito ove il concorrente sleale si appropri di risorse umane altrui: i) in violazione della disciplina giuslavoristica (ad esempio, quanto ai termini di preavviso) e degli altri diritti assoluti del concorrente (quali la reputazione ed i diritti di proprietà immateriale, quali le informazioni riservate); ii) con modalità non fisiologiche, in quanto potenzialmente rischiose per la continuità aziendale dell’imprenditore che subisce lo storno nella sua capacità competitiva. E ciò tenuto conto, da un lato, delle normali dinamiche del mercato del lavoro in un preciso contesto economico e, dall’altro, delle condizioni interne dell’impresa leale; iii) con caratteristiche non prevedibili, in grado cioè di provocare alterazioni non immediatamente riassorbibili, ed aventi un effetto shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o di servizi dell’impresa che subisce lo storno. D’altro canto, l’imprenditore leale deve tenere conto, a sua volta, di un mercato del lavoro che si muove dinamicamente, considerato il concreto quadro economico e giuridico nel quale egli stesso opera.
L’animus nocendi, che costituisce ulteriore requisito di fattispecie deve essere inteso quale volontà di recare danno, annientare o distruggere la concorrente, afferente alla sfera soggettiva dell’autore dell’illecito. La condivisibile necessità di restringere le ipotesi di tutela (alzando la soglia della rilevanza dell’illecito) giustificata dall’esigenza di garantire condotte e libertà a copertura costituzionale nella normale dinamica della libera concorrenza del mercato (anche del lavoro) passa dunque attraverso la valorizzazione dell’elemento oggettivo, da sindacare in base all’intensità dell’offesa all’integrità aziendale, che in via presuntiva fa inferire l’elemento soggettivo, depotenziando sotto il profilo probatorio la necessità della prova diretta dell’animus nocendi. Dovrà quindi essere verificato in giudizio se il concorrente ritenuto sleale si sia appropriato di risorse altrui, con modalità che abbiano messo a rischio la continuità aziendale dell’imprenditore nella sua capacità competitiva, ovvero provocato alterazioni non ragionevolmente prevedibili, e determinato uno shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o servizi non riassorbibile attraverso un’adeguata organizzazione dell’impresa e di cui lo stornante non possa non essere consapevole giacché ciò corrisponde ad un suo vantaggio anticoncorrenziale.
La protezione dei segreti commerciali accordata dall’art. 98 cpi può essere ottenuta ove venga comprovato: 1) che le informazioni non siano generalmente note o non siano facilmente accessibili agli esperti o altri operatori del settore; 2) che abbiano valore economico; 3) che siano adeguatamente protette.
Contratto di subfornitura e risoluzione dello stesso in assenza di ipotesi tipiche: clausola risolutiva espressa, diffida ad adempiere, termine essenziale
Quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione dello stesso, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono tuttavia, in considerazione delle premesse contrastanti, dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale. [Nella fattispecie entrambe le parti danno per scontata l’avvenuta risoluzione del contratto, ragion per cui l’organo giudicante da atto dell’intervenuta risoluzione del contratto di subfornitura.]
Illecito sviamento della clientela, violazione di informazioni riservate e competenza del Tribunale delle Imprese
Sottrazione di informazioni riservate e concorrenza sleale
Ai fini della configurazione di un comportamento illecito di concorrenza sleale, è necessario che si sia in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non secretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che, arricchendo la conoscenza del concorrente, siano capaci di fornirgli un vantaggio competitivo, che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.