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Art. 295 c.p.c.
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Eccezione di postergazione del finanziamento soci opposta dalla società espromittente

La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al venditore, entro una certa data, il suo finanziamento alla società ceduta, non può essere dichiarata nulla per difetto del requisito di determinatezza. Se, difatti, l’oggetto dell’obbligazione si identifica nelle prestazioni che le parti sono vincolate ad eseguire, e questo si ritiene determinato laddove sia chiaro alle parti ciò a cui si obbligano, allora deve asserirsi che la clausola dia forma ad un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di dare una somma di denaro, determinata in quanto comprensibile alle parti, oltre che eseguibile mediante un procedimento di mera attuazione (senza, cioè, necessità di alcuna integrazione).

La clausola produce effetti da inquadrarsi nel genus delle modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio e, specificatamente, nella fattispecie dell’espromissione, descritta dall’art. 1272 c.c. L’espromissione prende forma in un contratto fra il creditore espromissario ed un terzo espromittente, per il tramite del quale quest’ultimo spontaneamente si impegna, nei confronti del primo, a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario espromesso, dovendo escludersi che siano giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento dell’espromittente. L’espromissione si differenzia dall’accollo, disciplinato dall’art. 1273 c.c.,  per la totale estraneità all’operazione negoziale del debitore originario espromesso. Nello schema dell’espromissione, il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario, potendo opporre al creditore  le eccezioni (c.d. comuni) che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il debitore originario, con esclusione delle eccezioni c.d. personali e di quelle che derivano da fatti successivi all’espromissione (art. 1272, comma 3, c.c.).

L’eccezione di postergazione pare rientrare tra quelle c.d. personali, essendo basata su atti e fatti strettamente dipendenti dalla natura di persona giuridica del soggetto finanziato, dalla sua situazione patrimoniale al tempo dei conferimenti posti in essere in suo favore, dal particolare rapporto giuridico di natura societaria esistente tra autore e destinatario del finanziamento. Non potendosi dunque ricomprendere l’eccezione in questione tra quelle c.d. comuni, ne discende che esclusivamente la società che ha contratto il finanziamento soci potrebbe astrattamente opporre al creditore la natura postergata del credito; tale facoltà non è invece riconoscibile in capo alla società espromittente.

Alla stessa conclusione si perviene avendo riguardo anche alla ratio sottesa all’istituto della postergazione, che è quella di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa, priva di adeguati mezzi propri, sia posto a carico dei creditori esterni alla società. Per il tramite dell’art. 2467 c.c., laddove ricorrano le condizioni dettagliate dal comma 2, si persegue l’intento di preferire, in sede di soddisfacimento del credito, i creditori sociali ai soci finanziatori, derivandone che i secondi possono essere rimborsati esclusivamente dopo il completo soddisfacimento dei primi. Al contrario, in relazione all’adempimento, da parte di un terzo, dell’obbligazione di rimborso del finanziamento eseguito dal socio, non si pone alcuna esigenza di salvaguardia del patrimonio della società beneficiaria – di fatto estranea al suddetto rapporto obbligatorio – a fini di tutela dei creditori sociali di quest’ultima, cosicché l’applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2467 c.c. non presenta alcuna effettiva ragion d’essere.

Il carattere rituale di un lodo statutariamente definito “irrituale”

Qualora davanti al medesimo ufficio giudiziario pendano più cause connesse per pregiudizialità, il giudice della causa pregiudicata non può sospenderla ex art. 295 c.p.c., ma deve rimetterla al presidente del tribunale ai sensi dell’art. 274 c.p.c., perché questi valuti l’opportunità di assegnarla al giudice della causa pregiudicante, a nulla rilevando che i due giudizi siano soggetti a riti diversi, soccorrendo, in tal caso, la regola dettata dall’art. 40 c.p.c.

In caso di domanda di nullità del lodo, la qualificazione dell’arbitrato come rituale o irrituale costituisce un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del diritto tutelato, non potendo quindi qualificarsi come domanda o eccezione “nuova”, in quanto non si tratta di questione attinente alla competenza ma di una questione preliminare di merito.

Ai fini della qualificazione di un lodo come rituale o irrituale, nel caso in cui procedimento seguito sia del tutto assimilabile ad un giudizio contenzioso, (e cioè nell’ipotesi in cui, ad esempio, l’arbitro autorizzi lo scambio di memorie e di repliche, nomini un ctu, fissi l’udienza di precisazione delle conclusioni, disattenda un’eccezione di prescrizione e rigetti una domanda riconvenzionale), il lodo deve essere considerato rituale a prescindere da qualsiasi indicazione contenuta nello statuto sociale.

18 Febbraio 2022

Conferimento di licenza d’uso del marchio: definizione del thema decidendum e litispendenza

In tema di contratto di licenza di marchio di impresa e della sua risoluzione, in presenza di un giudizio pendente volto all’accertamento dell’inadempimento contrattuale, dell’illegittima risoluzione dello stesso contratto, con contestuale condanna al risarcimento dei danni da tali condotte derivanti nonché da violazione dei doveri di buona fede in fase precontrattuale e rottura delle trattative, il successivo giudizio instaurato volto all’accertamento dell’inadempimento contrattuale e dell’illegittimità della risoluzione con conseguente risarcimento dei danni da perdita di valore subita dalla compromissione della propria reputazione commerciale a causa dell’inadempimento contrattuale e dell’illegittima risoluzione, deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato del primo giudizio in quanto integrante un’ipotesi di litispendenza ai sensi dell’art. 39 comma 1, c.p.c..[Secondo il Collegio giudicante, infatti, in entrambi i giudizi l’azione avanzata da parte attrice è da qualificarsi come azione di adempimento contrattuale con la conseguenza che il thema decidendum di entrambi i giudizi, così come l’identità delle parti, sia coincidente, e sia pertanto cristallizzata la sussistenza dei requisiti per la declaratoria di litispendenza della prima domanda instaurata da parte attrice.]

3 Febbraio 2022

Responsabilità da direzione e coordinamento degli enti pubblici diversi dallo Stato

L’art. 2497 c.c. si applica nei casi in cui la costituzione della società in house o comunque la partecipazione in società degli enti pubblici – diversi dallo Stato – sono attuate non solo per scopi lucrativi ma anche per la realizzazione di finalità istituzionali che richiedono lo svolgimento di attività economica o finanziaria da realizzare attraverso la società partecipata. La norma di interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c. di cui all’art. 19 del d.l. 78/2009, convertito nella l. 102/2009 ha espressamente escluso solo lo Stato azionista dalla nozione di “ente” contemplata dalla norma richiamata.

La società in house è istituto di derivazione comunitaria, prima enunciato in sentenze della Corte di Giustizia e poi modellato nelle Direttive UE del 2014, nn. 23, 24 e 25, con il preciso scopo di limitare le ipotesi che consentono di derogare alle regole della concorrenza del mercato mediante il ricorso a forme di affidamenti diretti di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici. L’affidamento diretto non comporta alcuna lesione del principio di concorrenza se ed in quanto, in osservanza al principio di libera amministrazione delle pubbliche autorità, esso non rappresenta una esternalizzazione ma una autoproduzione di servizi tramite un soggetto che, sostanzialmente – atteso che l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello operato sui propri servizi – non è diverso dell’ente pubblico.

Sussiste una società in house qualora vi siano i seguenti presupposti: (i) il capitale sociale è integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieta la cessione delle partecipazioni ai soggetti privati; (ii) la società esplica statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo tale che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; (iii) la gestione è per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile. Tali requisiti devono sussistere contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all’epoca cui risale la condotta illecita.

L’espressione “interesse imprenditoriale proprio o altrui” porta a escludere dall’ambito di responsabilità ex art. 2497 c.c. solo le ipotesi nelle quali sia perseguito un interesse meramente privato (quale l’interesse personale degli amministratori/cariche pubbliche della società/ente controllante) e a ricomprendervi tutte le altre ipotesi in cui è stato perseguito un interesse extrasociale rispetto a quello della società eterodiretta. Con l’art. 19 del d.l. 78/2009, convertito nella l. 102/2009, il legislatore ha chiarito che “l’art. 2497, primo comma del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”; l’ampiezza dell’espressione “finalità di natura economica o finanziaria” è tale da ricomprendere gli obiettivi che l’ente pubblico territoriale persegue attraverso la costituzione di società in house o comunque delle società cui partecipa.

La titolarità del pacchetto di maggioranza è elemento sufficiente per integrare la presunzione di cui all’art. 2497 sexies c.c.

La sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell’imputazione penale.

Il consulente tecnico d’ufficio può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.

11 Giugno 2021

Legittimità delle clausole statutarie di esclusione del socio consorziato e onere della prova

È legittima la clausola statutaria di un consorzio che preveda espressamente l’esclusione del socio consorziato nelle ipotesi in cui quest’ultimo ponga in essere inadempimenti, scorrettezze o gravi negligenze nei confronti del consorzio o degli altri consorziati.

Non sussiste rapporto di pregiudizialità tra causa attinente al rapporto societario e quella avente ad oggetto le spettanze contrattuali tra le medesime parti, né connessione, potendo solo alcune questioni di fatto rilevare nell’una e nell’altra.

Attore sostanziale nelle azioni di impugnazione delle delibere di esclusione del socio è la società convenuta, ma ciò non esime l’opponente dall’onere di adeguata allegazione e dalla contestazione di tutti i profili motivazionali dell’esclusione, e ove i fatti siano veri – o non contestati – spetta al socio dedurre e provare le circostanze che li giustificano o li rendono irrilevanti.

 

18 Gennaio 2021

Impugnazione della delibera per mancata convocazione del socio

L’art. 2378, co. 3, c.c. disciplina il procedimento cautelare diretto a ottenere la sospensione dell’esecuzione delle delibere (o decisioni) ed è un procedimento a cognizione sommaria nel quale il giudice è tenuto a verificare la sussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora, procedendo, con riferimento a tale ultimo profilo, a una comparazione tra il pregiudizio che deriverebbe al ricorrente dall’esecuzione e quello che deriverebbe alla società dalla sospensione della delibera.

Il termine “esecuzione”, utilizzato dall’art. 2378, co. 3, c.c., non intende fare riferimento soltanto ad una fase strettamente materiale di attuazione della decisione, ma ad una più ampia condizione di efficacia della deliberazione, rispetto alla quale l’esecuzione è un momento puramente eventuale. Una diversa interpretazione – considerato che l’art. 35 d.lgs. 5/2003 attribuisce agli arbitri, ai quali secondo l’art. 34 è possibile devolvere solo le controversie aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, il potere di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera – finirebbe infatti per restringere immotivatamente l’ambito della tutela cautelare proprio nelle controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili. Ne consegue che pure le delibere tecnicamente prive di esecuzione, cioè idonee a produrre effetti giuridici anche in assenza di una specifica attività esecutiva (quali sono ad esempio quelle di approvazione del bilancio, aventi mera efficacia dichiarativa), possono essere sospese ex art. 2378, co. 3, c.c.

L’omessa convocazione del socio, nelle s.r.l. che seguono il metodo assembleare, integra l’ipotesi di nullità dell’assoluta assenza di informazione prevista dall’art. 2479 ter, co. 3, c.c.

Ai fini della sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c. non è sufficiente che, tra due controversie, sussista una mera pregiudizialità logica, ma è necessaria l’obiettiva esistenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica, il quale ricorre solo quando la definizione di una delle controversie costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dell’altra, l’accertamento della quale debba avvenire con efficacia di cosa giudicata.

17 Ottobre 2020

Inadempimento di patto parasociale, obbligo di manleva e sospensione del processo

Tra una azione di responsabilità esercitata dalla società nei confronti di un proprio ex amministratore e l’azione esperita dallo stesso amministratore nei confronti del socio, per far valere una responsabilità risarcitoria per inadempimento di un patto parasociale e di un accordo di manleva, esiste un rapporto di connessione – e in particolare, di pregiudizialità – così stretto, da imporre la sospensione del secondo processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa di conoscere gli esiti dell’azione di responsabilità.  

La sospensione necessaria del processo civile in attesa del giudicato penale

La sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell’imputazione penale