Art. 645 c.p.c.
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Nullità della notifica eseguita a soggetti diversi da quelli dovuti
La notificazione del decreto ingiuntivo può anche essere eseguita, a norma degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale. In tema di notifica, la qualità di rappresentante della persona giuridica e la sua residenza, domicilio e dimora, devono essere inseriti nell’atto da notificare e non nel plico. La notifica può, pertanto, essere seguita nelle mani della persona fisica che rappresenta la società, ma solo qualora sia indicata nell’atto da notificare e non altrove.
La notifica eseguita in luogo a soggetti diversi da quelli dovuti comporta l’inesistenza della notifica stessa solo in difetto di alcuna attinenza, o riferimento, o collegamento di quel luogo o soggetto con il destinatario, altrimenti essendo la notifica affetta da semplice nullità.
Simulazione del prezzo in un contratto di cessione di partecipazioni
In ossequio alla regola di cui all’art. 1417 c.c., le regole probatorie richiedono alle parti, qualora vogliano sostenere il contenuto simulatorio di un atto, in mancanza di allegazione dell’illeceità del negozio dissimulato, una controdichiarazione scritta che ne accerti la reale natura, non essendo allo scopo sufficienti né prove orali né argomenti di prova presuntivi.
I diversi finanziamenti soci effettuati a favore della società fallita non possono giustificare a valle, mediante compensazione, il mancato pagamento di un debito personale tra soci, pur relativo all’acquisizione delle quote sociali.
Non vi sono ostacoli giuridici alla scelta delle parti di creare volontariamente un vincolo solidale, purché sussista un nesso di cointeressenza tra le diverse posizioni dei condebitori, tutte funzionali a realizzare il medesimo interesse creditorio: la solidarietà in tali casi sopravviene, in virtù di scelta volontaria, ad un’obbligazione già esistente che non sia solidale.
inapplicabilità dell’art. 820 c.p.c. all’arbitrato irrituale
L’art. 820, co. 4, lett. b) c.p.c., il quale prevede una proroga del termine per la definizione dell’arbitrato di centottanta giorni nel caso in cui sia disposta la consulenza tecnica d’ufficio, è norma applicabile esclusivamente all’arbitrato rituale e non anche a quello irrituale. Infatti, l’art. 820 c.p.c. è insuscettibile di estensione all’arbitrato irrituale (se le parti nella clausola compromissoria hanno previsto un termine per la conclusione del giudizio arbitrale) poiché l’art. 808-ter c.p.c., che disciplina l’arbitrato irrituale, prevede l’applicabilità delle disposizione del titolo VIII del libro IV del codice di rito solo se le parti non dispongono mediante determinazione contrattuale.
La natura di tale termine è necessariamente determinata: infatti, nell’arbitrato libero, l’obbligo assunto dagli arbitri, secondo le regole del mandato, è quello di emettere la decisione loro affidata entro un determinato termine, non essendo ammissibile che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia, ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale, per un tempo non definito. Ne consegue che, applicandosi all’arbitrato irrituale la disciplina dell’art. 1722 n. 1, c.c., il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che esse non abbiano inteso in modo univoco conferire a detto termine un valore meramente orientativo.
La matrice negoziale dell’arbitrato comporta, altresì, che la dichiarazione di scioglimento dell’obbligo assunto con il conferimento dell’incarico di arbitrato, quale espressione di volontà negoziale, deve essere manifestata direttamente dalla parte, ovvero da suo rappresentante munito di procura in cui è conferito esplicitamente il potere di compiere l’attività negoziale, e deve essere portata a conoscenza delle altre parti e degli arbitri, prima del deposito del lodo.
Riduzione della clausola penale contenuta in un contratto di cessione di partecipazioni
La clausola arbitrale presente in statuto determina l’incompetenza del giudice
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a seguito di eccezione di incompetenza del giudice adito per essere competenti gli arbitri e di adesione di parte convenuta opposta, deve essere revocato il decreto ingiuntivo.
Le mutue assicuratrici: rapporto tra qualità di socio e di assicurato, ammissibilità di soci sovventori
Le mutue assicuratrici o società di mutua assicurazione sono società cooperative caratterizzate dal vincolo di interdipendenza che, per legge, ai sensi dell’art. 2546, co. 3, c.c., sussiste fra la qualità di socio e quella di assicurato, così stretto da indurre a considerare unitario il rapporto (societario ed assicurativo) che sorge in forza della adesione alla società. Anche ove si ritenga che l’adesione alla mutua assicuratrice dia vita a due distinti rapporti (quello societario e quello assicurativo) tra loro collegati, è certo che in tanto si può divenire soci di una mutua assicuratrice, in quanto si abbiano i requisiti e si versi nelle condizioni per la stipula del contratto di assicurazione e che le due posizioni nascano e restino fra loro strettamente collegate, per modo che le vicende del rapporto societario si riflettono necessariamente su quello assicurativo e viceversa. Così, la cessazione del rischio assicurato comporta il contestuale scioglimento tanto del rapporto assicurativo che di quello societario. Accanto ai soci assicurati possono, poi, esservi, anche i soci sovventori, i quali si limitano a conferire il capitale necessario per l’attività della società senza essere legati a quest’ultima da rapporti assicurativi; tuttavia, la presenza della categoria dei soci sovventori è possibile solo ove espressamente prevista in seno all’atto costitutivo. La partecipazione dei soci sovventori è disciplinata dal legislatore con norme tese ad evitare che gli stessi, non animati da scopo mutualistico, possano prendere il sopravvento nella gestione della società.
Il giudizio di cognizione che si apre in conseguenza dell’opposizione ex artt. 645 ss. c.p.c. è governato dalle ordinarie regole in tema di riparto dell’onere della prova, come enucleabili dal disposto dell’art. 2697 c.c. Pertanto, anche in seno a tale procedimento, il creditore è tenuto a provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l’esistenza e il contenuto della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza – e non anche l’inadempimento, che deve essere semplicemente allegato -, mentre il debitore ha l’onere di eccepire e dimostrare il fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero ogni altra circostanza dedotta al fine di contestare il titolo posto a base dell’avversa pretesa o, infine, gli eventi modificativi del credito azionato in sede monitoria. Invero, dall’art. 2697 c.c. si desume il principio della presunzione di persistenza del diritto: in forza di tale principio, applicabile all’ipotesi della domanda di adempimento, ove il creditore dia la prova della fonte negoziale o legale della propria pretesa, la persistenza del credito si presume ed è, dunque, sul debitore che grava l’onere di provare di aver provveduto alla relativa estinzione ovvero di dimostrare gli altri atti o fatti allegati come eventi modificativi o estintivi del credito di parte avversa.
Fallimento del debitore opponente nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
Nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento o liquidazione coatta amministrativa intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito o posto in liquidazione coatta amministrativa, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità al fallimento di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di sentenza impugnabile, esplicitamente richiesta dall’art. 95, co. 3, l.fall., norma di carattere eccezionale, insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica.
In tal caso, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione e la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile e tale improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, derivando da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum.
Nel caso di domanda riconvenzionale proposta in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da un soggetto successivamente fallito nel corso del giudizio (interrotto e successivamente riassunto dal fallimento), deve essere dichiarata improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo, mentre il giudice adito rimane competente a conoscere della domanda riconvenzionale proposta dal fallito e riassunta dal fallimento.
Eccezione di arbitrato ed operatività della clausola compromissoria nel giudizio monitorio
L’operatività di una clausola compromissoria, rilevabile su eccezione della parte interessata, non impedisce l’emissione di un decreto ingiuntivo. Infatti, sebbene vi sia una convenzione di arbitrato, il creditore è pienamente legittimato a promuovere il procedimento monitorio e il giudice non può rigettare il ricorso sul rilievo della convenzione di arbitrato, in quanto l’eccezione di compromesso, al pari dell’eccezione di incompetenza territoriale, è un’eccezione in senso stretto, dunque non rilevabile d’ufficio, e nella fase sommaria del procedimento monitorio non vi è ancora una controversia caratterizzata dal contraddittorio tra le parti e quindi deferibile alla cognizione degli arbitri.
Per contro, nel successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’exceptio compromissi deve essere sollevata, a pena di decadenza, con il primo atto del debitore convenuto sostanziale: si instaura un ordinario procedimento di cognizione, che implica necessariamente il deferimento della controversia alla cognizione del collegio arbitrale, con conseguente declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo emesso dal giudice ordinario incompetente. La presenza di una clausola compromissoria, difatti, non esclude la competenza del giudice ordinario a emettere il decreto ingiuntivo, ma impone a costui, in caso di opposizione fondata sull’esistenza di detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio arbitrale
Per tali ragioni, il procedimento monitorio è del tutto legittimo, ma il decreto ingiuntivo, anche laddove fondato nel merito, ha vita effimera. La sopravvivenza nel successivo giudizio arbitrale degli effetti della domanda promossa dinanzi al tribunale incompetente viene poi assicurata dalla traslatio iudicii disciplinata dall’art. 819 ter c.p.c
L’interpretazione secondo cui, pur in presenza di una convenzione di arbitrato, il creditore è legittimato a promuovere la domanda monitoria e il giudice è tenuto a emettere il relativo decreto appare difficilmente compatibile con la soccombenza quale presupposto della condanna alle spese, a fronte di un’attività processuale legittimamente svolta dal creditore opposto nella fase monitoria. Si ritiene, pertanto, che sussistano “le altri gravi ed eccezionali ragioni” di cui all’art. 92, co. 2, c.p.c., come risultante dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale, che giustificano la compensazione integrale delle spese del giudizio.
Competenza delle sezioni specializzate ad emettere decreti ingiuntivi in tema di appalti di rilevanza comunitaria
Onere della prova in tema di consegna della documentazione sociale al nuovo amministratore
In un giudizio in cui è oggetto di contestazione l’avvenuta consegna (mediante invio di plico raccomandato) della documentazione relativa alla gestione di una società da parte del precedente amministratore al nuovo organo gestorio, una volta che il primo abbia fornito la prova della consegna del plico, il nuovo amministratore è tenuto a effettuare una specifica contestazione circa il relativo contenuto, non potendo limitarsi alla mera negazione che il plico contenesse i documenti indicati dal mittente. Il destinatario, dunque, al fine di negare la ricezione della documentazione sociale, è onerato di dimostrare il diverso contenuto ricevuto con quel plico ricevuto. Infatti, la lettera raccomandata o il telegramma (anche in mancanza dell’avviso di ricevimento) costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso; pertanto, spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente.