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Art. 806 c.p.c.
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28 Maggio 2024

Non compromettibilità in arbitrato delle impugnazioni di bilancio

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.

L’art. 819 ter, co. 1, c.p.c. implica, con riferimento all’ipotesi in cui sia stata proposta una pluralità di domande, che la sussistenza della competenza arbitrale sia verificata con specifico riguardo a ciascuna di esse, non potendosi devolvere agli arbitri (o al giudice ordinario) l’intera controversia in virtù del mero vincolo di connessione; pertanto, ove le domande connesse non diano luogo a litisconsorzio necessario, l’accoglimento del regolamento di competenza comporta la separazione delle cause, ben potendo i giudizi proseguire davanti a giudici diversi in ragione della derogabilità e disponibilità delle norme in tema di competenza.

16 Aprile 2024

Non rilevabilità d’ufficio della sussistenza di una clausola compromissoria

Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta della parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, co. 1, Cost., con la conseguente esclusione della possibilità d’individuare la fonte dell’arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all’art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordinamento. Ma se è la volontà delle parti a costituire l’unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi, anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest’ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l’adozione di condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza arbitrale, e segnatamente mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato. Sicché non può giustificarsi l’affermazione della rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza del giudice ordinario, la cui dichiarazione resta pertanto subordinata alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto. Pertanto, a un soggetto vincolato da clausola compromissoria è sempre consentito adire il tribunale ordinario, il quale rimane competente a decidere la vertenza qualora il convenuto non proponga apposita e tempestiva eccezione, essendo impedito al giudice il rilievo d’ufficio della sussistenza di una clausola compromissoria.

19 Giugno 2023

La compromettibilità in arbitri del diritto al compenso dell’amministratore di s.r.l.

Deve ritenersi opponibile l’eccezione di patto compromissorio avverso la domanda di pagamento del compenso spettante per la carica di amministratore unico di società a responsabilità limitata, in quanto rispettosa dei dettami statuiti dagli artt. 806 ss. c.p.c. e tenuto conto che la domanda di compenso può senz’altro essere devoluta alla decisione arbitrale, non trattandosi di diritto indisponibile, né di fattispecie rientrante tra le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. Infatti, il rapporto che lega l’amministratore alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non può essere qualificato né quale rapporto di lavoro subordinato, non essendovi un assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altri, né di collaborazione continuata e coordinata.

16 Giugno 2023

Emissione di decreto ingiuntivo in presenza di una clausola compromissoria statutaria

Atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla[va] l’emissione di provvedimenti cautelari, l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la sua contestuale revoca.

Quello cui lo statuto demanda una decisione da adottare in assenza di qualunque formalità e procedura costituisce arbitrato irrituale. La deferibilità ad arbitri irrituali di una determinata controversia è da considerare non già una questione di competenza, bensì di merito perché direttamente inerente alla validità o all’efficacia o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria.

9 Giugno 2023

Sugli elementi valutabili ai fini della compromettibilità in arbitri delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere di aumento o riduzione del capitale sociale

L’aspetto determinante per decidere circa l’arbitrabilità delle controversie riguardanti le impugnazioni delle delibere societarie consiste nella prospettazione dei fatti concretamente fornita dalle parti e degli interessi specificamente convolti. In linea generale, al fine di negare o consentire un giudizio arbitrale su controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere societarie incidenti sul capitale sociale (in termini di suo aumento e/o riduzione), occorre verificare se le stesse, rispettivamente, influiscano, o meno, su interessi superindividuali della società, dei soci e dei terzi la cui tutela sia assicurata, o non, mediante la predisposizione di norme inderogabili che, se violate, determinerebbero la reazione dell’ordinamento svincolata da una qualsiasi iniziativa di parte. Pertanto, laddove il coinvolgimento di tali interessi non sia direttamente inciso dall’oggetto del processo, deve escludersi che si sia al cospetto di diritti indisponibili, con conseguente possibilità, in presenza di una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto della società, di sottoporre le controversie suddette alla cognizione arbitrale.

27 Gennaio 2023

Clausola compromissoria contenuta nello statuto e disponibilità del diritto

L’art. 806 c.p.c. individua l’ambito dell’applicabilità della convenzione di arbitrato alle controversie su diritti disponibili e la disponibilità deve essere commisurata al diritto oggetto della controversia e non alle questioni che gli arbitri dovrebbero sciogliere in vista della decisione, suscettibili di essere affrontate con effetti incidenter tantum.

L’indisponibilità del diritto costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria e non va confusa con l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con il quale si potrà accertare la violazione della norma imperativa senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge.

È sufficiente che la clausola dello statuto sociale preveda la devoluzione agli arbitri delle controversie tra i soci o tra la società e i soci relative all’attività sociale per determinare la competenza degli arbitri per le liti aventi ad oggetto l’annullamento delle delibere assembleari.

3 Ottobre 2022

Non compromettibilità in arbitri delle delibere di impugnazione del bilancio e la ratio dell’art. 2434 bis c.c.

L’art. 34 d. lgs. n. 5/2003 prevede la devolubilità ad arbitri di alcune, ovvero di tutte, le controversie insorgenti tra soci o tra i soci e la società, che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Non è compromettibile in arbitri la delibera concernente la veridicità e la chiarezza del bilancio; tali norme, infatti, non sono solo imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni anno, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto.

Con riferimento specifico alle delibere di approvazione del bilancio, sono annullabili quelle adottate in presenza di violazioni procedimentali nella formazione del bilancio; sono viceversa nulle le deliberazioni di approvazione del bilancio caratterizzate dalla violazione di precetti inderogabili, sia sotto il profilo formale (ad esempio, per l’omessa convocazione del socio alle assemblee e, dunque, in caso di assoluta assenza di informazione), sia sotto il profilo sostanziale (veridicità e correttezza del contenuto del bilancio).

L’art. 2434 bis c.c., applicabile alle s.r.l. in virtù del rinvio compiuto dall’art. 2479 ter c.c., stabilisce poi un ulteriore limite all’impugnabilità delle delibere che attengono all’approvazione del bilancio, per le quali le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che sia avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo. L’accertata invalidità di un bilancio non potrebbe ripercuotersi su quello successivo, tenendo conto dell’autonomia di ciascuno di questi e dell’esigenza di assicurare solo la continuità formale dei criteri utilizzati nella rispettiva redazione. In altre parole, la prescrizione in esame finisce per far diventare inutile l’impugnativa del bilancio precedente. Ed infatti, ove quello successivo contenga lo stesso vizio, occorrerà impugnarlo autonomamente; ove invece contenga emenda dei vizi originari, ancor di più potrebbe ritenersi cessato qualunque interesse all’impugnativa del primo bilancio. La ratio della previsione dell’art. 2434 bis c.c. è infatti quella di attuare, esprimendolo nella fattispecie concreta, il generale principio di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), poiché – secondo la valutazione della fattispecie stessa data dal legislatore, letta alla luce del principio di continuità dei bilanci –, approvato il bilancio successivo, la rappresentazione data, con il bilancio precedente, della situazione economico patrimoniale della società ai soci ed ai terzi ha esaurito le sue potenzialità informative (ed organizzative), e dunque anche le sue potenzialità decettive, dovendo invece i destinatari dell’informazione, per ogni valutazione e decisione organizzativa conseguente, far riferimento all’ultimo bilancio approvato. Tradotta questa visione ordinamentale in termini di interesse ad agire, ne emerge con evidenza il difetto con riguardo all’impugnativa di un bilancio superato dall’approvazione di quello successivo.

Impugnazione di deliberazione di approvazione del bilancio e compromettibilità in arbitri

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.

13 Luglio 2022

Nullità della delibera assembleare emessa in violazione di lodo arbitrale passato in giudicato

Attiene a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., la natura pubblicistica della cosa giudicata sostanziale, in quanto prevista da norme imperative di ordine pubblico, che la sottraggono a ogni derogabilità pattizia, precludendo qualsiasi possibilità di adottare una determinazione contraria al giudicato formatosi in favore di una delle parti.

Il giudicato formatosi su una pronuncia di annullamento (o nullità) di una delibera sociale ha effetto rispetto a tutti i soggetti coinvolti dall’azione sociale; infatti, poiché la deliberazione dell’assemblea è un atto riconducibile a un contratto associativo, come nel momento fisiologico ha effetto per tutta la struttura societaria (e quindi per tutta la compagine sociale, anche per l’eventuale minoranza che avesse votato contro quella specifica delibera), allo stesso modo, nel momento patologico, l’accertamento della sua eventuale invalidità produce effetti nei confronti di tutta la società e a tali effetti non può derogarsi se non sulla base di un accordo tra tutte le parti direttamente o indirettamente coinvolte. È quindi nulla la delibera che si proponga di rimuovere gli effetti del giudicato adottata in danno di una parte della compagine sociale, essendo il giudicato posto a tutela non soltanto del o dei singoli soci coinvolti nel contenzioso, ma di tutta la società e anche dei terzi.

Il giudice non può entrare nel merito di scelte che competono solo agli organi sociali, in quanto le concrete modalità di esecuzione del giudicato sono rimesse alla discrezionalità dell’organo amministrativo e all’assemblea dei soci; tuttavia, la parte vittoriosa del giudizio ha diritto a che si provveda in modo legittimo e conforme alle regole che presiedono all’azione dell’organizzazione (nel caso di specie, il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta a iscrivere correttamente il dispositivo del lodo passato in giudicato presso il registro delle imprese).

11 Maggio 2022

Arbitrabilità delle controversie societarie. Sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata in sede arbitrale

In tema di controversie societarie, la definizione della competenza del tribunale ordinario ovvero del collegio arbitrale dipende dalla natura disponibile o indisponibile del diritto oggetto di controversia. A seguito dell’ammissione da parte del legislatore dell’arbitrabilità delle controversie societarie, l’art. 806 c.p.c. perimetra le controversie arbitrabili in negativo, ponendo come limite al ricorso dell’arbitrato l’indisponibilità del diritto, salvo espresso divieto di legge per le controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.

L’area dell’indisponibilità è più ristretta di quella degli interessi genericamente superindividuali, in quanto la natura sociale o collettiva dell’interesse denota soltanto che esso è sottratto alla volontà individuale dei singoli soci, ma non implica che egual conseguenza si determini anche rispetto alla volontà collettiva espressa dalla società secondo le regole della rispettiva organizzazione interna, la cui finalità è proprio quella di assicurare la realizzazione più soddisfacente dell’interesse comune dei partecipanti. Sul punto, si richiama l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori che, a differenza di quella prevista dall’art. 2395 c.c., è posta a tutela di un interesse collettivo, ma la cui transigibilità e rinunziabilità sono riconosciute espressamente dall’art. 2393, co. 6, c.c. e, come tali, sono disponibili da parte dei rispettivi titolari. Affinché l’interesse sotteso alla delibera possa essere qualificato come indisponibile è necessario, quindi, che la sua protezione sia assicurata da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da ogni iniziativa di parte, come, ad esempio, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio, la cui inosservanza rende la delibera di approvazione illecita e, quindi, nulla.

Il discrimen tra diritto disponibile e diritto indisponibile guarda alla protezione accordata dall’ordinamento mediante la predisposizione di una norma dispositiva o imperativa. Nel primo caso, prevale l’interesse del singolo ad affermare il suo diritto di autodeterminazione ex art 2 cost., potendo così derogare la norma dispositiva, posta a tutela di un interesse anche superindividuale, ma non indisponibile e, quindi, non prevalente. Nel secondo caso, l’interesse del singolo soccombe dinanzi all’interesse di ordine pubblico, protetto dalla norma imperativa che rende indisponibile il diritto da essa tutelato.

Per determinare l’arbitrabilità delle controversie insorte tra soci e società, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli oppure si riferiscono unicamente alla società, tutelata dalla legge in quanto tale. Nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, in quanto il ricorrente agisce uti singulus. Nella seconda ipotesi, l’arbitrabilità è fermamente negata a causa dell’indisponibilità del diritto coinvolto. L’azione, in questo caso, è proposta dal socio uti socius, nell’interesse sociale che corrisponde non alla sommatoria, ma alla sintesi di tutti individuali connessi dal vincolo sociale identificabile nell’unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine stessa.

La sospensione cautelare del provvedimento impugnato in sede arbitrale può essere richiesta al Tribunale secondo le norme ordinarie con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio del potere cautelare (ad esempio per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).

In tema di sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea di una società consortile a responsabilità limitata trova applicazione il disposto di cui all’art. 2378, co. 3, c.c. (richiamato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c.), che prevede, quale rimedio tipico destinato a ottenere un provvedimento cautelare, che l’istanza di sospensione di una deliberazione assembleare deve essere necessariamente proposta in corso di causa o, quanto meno, contestualmente alla proposizione della domanda di merito con la quale si chiede di dichiarare la nullità o annullare la deliberazione assunta. L’esistenza di un rimedio tipico, previsto dall’art. 2378, co. 3, c.c., esclude in radice l’esperibilità del rimedio dell’art. 700 c.p.c. Quest’ultima disposizione corrisponde ad un principio generale dell’ordinamento secondo cui, non potendo restare una situazione giuridica del tutto priva di tutela cautelare, in mancanza di una disciplina espressa del procedimento cautelare, deve ritenersi applicabile la tutela apprestata dall’art. 700 c.p.c., correttamente definita come norma di chiusura del sistema.