Art. 808 ter c.p.c.
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Impugnazione di lodo irrituale e omessa nomina del curatore speciale
Il giudice competente a decidere della domanda di impugnativa del lodo irrituale, per i motivi di cui all’art. 808 ter c.p.c., è il tribunale del luogo di pronuncia del lodo. Oltre ai casi di impugnabilità del lodo irrituale previsti dall’art. 808 ter c.p.c., il lodo irrituale è soggetto al regime delle impugnative negoziali, in ragione della sua natura di negozio di accertamento.
Quanto al perimetro del sindacato del giudice ordinario con riferimento all’errore, si osserva che nell’arbitrato irrituale, il lodo può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente quando la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un’alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame (c.d. errore di fatto), e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti (c.d. errore di giudizio). Ne consegue che il lodo irrituale non è impugnabile per errores in iudicando, neppure ove questi consistano in una erronea interpretazione dello stesso contratto stipulato dalle parti, che ha dato origine al mandato agli arbitri; né, più in generale, il lodo irrituale è annullabile per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale o, a maggior ragione, per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e non conforme alle aspettative della parte impugnante. Di conseguenza, il lodo arbitrale irrituale non è impugnabile per errori di diritto, ma solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l’errore, la violenza, il dolo o l’incapacità delle parti che hanno conferito l’incarico e dell’arbitro stesso.
L’art. 2476 c.c. prevede che l’azione di responsabilità contro gli amministratori possa essere promossa dal singolo socio. Il socio, però, è investito di una legittimazione straordinaria, in quanto il titolare del diritto dedotto in giudizio è la società, che pertanto assume la qualità di litisconsorte necessario non dei convenuti bensì del socio, che agisce non uti singulus, ma in qualità di sostituto processuale della società. Tale conclusione trova conforto nella circostanza che l’interesse protetto è quello sociale, in quanto la società è soggetto creditore dell’obbligo inadempiuto e titolare del diritto al risarcimento dei danni, cui è riconosciuto il potere di rinunciare e transigere ex art. 2476, co. 5, c.c. La società, inoltre, in caso di accoglimento della domanda, è tenuta ex lege a rimborsare al socio che ha agito le spese legali. La necessaria partecipazione della società discende, quindi, dal principio generale in forza del quale ogni volta che il giudizio sia promosso da un soggetto investito di legittimazione straordinaria, è considerato litisconsorte necessario anche il soggetto titolare del diritto dedotto in giudizio dal sostituto, per garantire il rispetto del diritto al contraddittorio e alla difesa in giudizio, considerato che la sentenza produce effetti anche nei suoi confronti.
L’omessa nomina del curatore speciale nel caso di conflitto d’interesse costituisce un vizio di costituzione del rapporto processuale a cui consegue la nullità dell’intero giudizio, rilevabile in ogni stato e grado del processo, per violazione del principio del contraddittorio e, più in particolare, della garanzia del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
Incompetenza della sezione specializzata in materia di impresa
Non rientra nella competenza della Sezione Specializzata in materia di impresa l’impugnazione del provvedimento di esclusione da una società di persone, così come quello da un consorzio che non sia costituito in forma di società di capitali.
La presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, nello statuto di una società, comporta l’improponibilità della domanda del socio per l’annullamento della delibera con cui è stato escluso dalla società.
Sull’inammissibilità dell’impugnazione di lodo arbitrale irrituale
Nell’arbitrato irrituale la violazione da parte del collegio arbitrale delle obbligazioni derivanti dal contratto di mandato, intercorrente con le parti, costituita dall’omesso esame di una doglianza avanzata da una delle parti non determina alcuna invalidità del lodo, ma semmai il sorgere di un obbligo risarcitorio a carico del collegio arbitrale in favore della parte danneggiata.
Nell’impugnativa di lodo reso all’esito di arbitrato irrituale è rilevante solo l’errore di fatto essenziale, che abbia inficiato la volontà degli arbitri per effetto di una falsa rappresentazione e di un’alterata percezione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame, che si verifica allorquando gli arbitri non abbiano preso visione degli elementi della controversia o ne abbiano supposti altri inesistenti, ovvero abbiano dato come contestati fatti pacifici o viceversa. Di contro, deve escludersi ogni impugnativa per errori di diritto, ovvero per errori di giudizio anche con riferimento alla valutazione degli elementi probatori acquisiti, ovvero in ordine all’idoneità della decisione adottata a comporre la controversia, trattandosi di censure inidonee a giustificare l’annullamento del contratto, e dunque del lodo.
Responsabilità concorsuale nella violazione di diritti d’autore su forme del design industriale: il caso Moon Boot
Non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occorre rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva può darsi rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto. In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale (l’applicazione di tali criteri ha determinato il Tribunale a riconoscere nel modelli dei Moon Boots la qualità di opera del design industriale ai sensi del n. 10 del comma 1 dell’art. 2 l.d.a., evidenziando a tale fine tutti gli elementi e le circostanze che testimoniavano già all’epoca la considerazione che tale prodotto e le sue peculiari forme avevano assunto da parte di ambienti culturali ed artistici nonché del mondo del design).
La sostanziale identità delle forme non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che i prodotti contestati presentino una colorazione particolare o marchi differenti.
In tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria
La fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata, ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.a. (nel caso di specie, ha ritenuto il Collegio che l’uso del glitter sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma).
La ripresa pedissequa dei medesimi modelli per i quali era operativo l’impegno di astensione assunto in occasione di previo accordo transattivo consente di individuare la specifica violazione degli impegni medesimi, non aggirabili mediante la mera attribuzione ai modelli da ultimo contestati di un codice identificativo diverso da quelli indicati nell’accordo stesso anche in considerazione degli obblighi di buona fede connaturati all’ambito contrattuale di riferimento.
L’obbligo di non contestazione della tutela autorale spettante all’opera dell’ingegno assunto dalle parti contrattualmente è del tutto legittimo, risultando detta rinuncia pertinente a diritti disponibili delle parti.
Per dichiarare anche la sussistenza dell’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. a titolo di concorrenza sleale dipendente dalla violazione di diritti di proprietà intellettuale occorre che sussistano spazi di effettiva autonomia rispetto alle condotte di plagio/contraffazione che ne consentono un’autonoma individuazione. Diversamente essa deve ritenersi assorbita.
Ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto deve risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fini della consumazione dell’illecito (nel caso di specie – e fatte salve le domande di manleva interne svolte dalle convenute tra loro – sono state ritenute responsabili in concorso tra loro la società gerente il sito e-commerce e le attività di promozione, commercializzazione e logistica afferenti alla vendita dei prodotti in contraffazione; la società produttrice dei prodotti contestati e licenziataria del marchio su di essi apposti; la società licenziante dei marchi stessi e corresponsabile dell’ideazione, scelta ed approvazione dei prodotti contestati; la società venditrice dei prodotti)
L’esaurimento del diritto di distribuzione non si verifica ove il primo atto di trasferimento dell’opera originale o di sue copie sia avvenuto senza il consenso del titolare del diritto.
Quanto alla sussistenza di un pregiudizio in danno del titolare dell’opera oggetto di plagio/contraffazione, l’esistenza in sé di tale pregiudizio è connessa alla natura assoluta dei diritti spettanti all’autore ed ai suoi aventi causa sul piano delle facoltà di utilizzazione economica di essa.
Se è vero che il criterio della reversione degli utili non è stato esteso dal legislatore alla disciplina del diritto d’autore nei termini in cui esso è stato trasfuso nel terzo comma dell’art. 125 c.p.i., tuttavia il secondo comma dell’art. 158 l.d.a. prevede espressamente che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione dei diritti. Tale parametro, fondato sul beneficio tratto dall’attività vietata, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto assurge infatti ad utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando il danno sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo.
Per la natura contrattuale dell’arbitrato irrituale, l’eccezione di compromesso non dà luogo a una questione di competenza bensì di proponibilità della domanda, risultando la relativa eccezione di natura sostanziale, attinente al merito. Anche in esito alla novella del 2006, che ha inserito e disciplinato l’istituto dell’arbitrato irrituale all’interno del codice di rito all’art. 808 ter c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che la clausola di arbitrato irrituale non comporti l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere della domanda, ma soltanto, qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione, l’improponibilità della medesima.
Interpretazione della clausola compromissoria: i criteri per la determinazione della natura rituale o irrituale dell’arbitrato
Al fine di accertare se una clausola compromissoria configuri un arbitrato rituale o irrituale deve aversi riguardo alla volontà delle parti desumibile dalle regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo l’arbitrato rituale quando debba ritenersi che le parti abbiano inteso demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice e, ricorrendo invece un arbitrato irrituale quando debba ritenersi che abbiano inteso demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi, dovendosi optare, nel caso in cui residuino dubbi sull’effettiva volontà dei contraenti, per l’irritualità dell’arbitrato, tenuto conto che l’arbitrato rituale, introducendo una deroga alla competenza del giudice ordinario, deve ritenersi abbia natura eccezionale.
Nell’opera di individuazione della tipologia di arbitrato, è opportuno avere riguardo ad alcuni criteri generali, tra cui la presenza di elementi ed espressioni terminologiche utilizzate dai contraenti all’interno della clausola compromissoria. Sono decisivi per la configurazione di un arbitrato irrituale, ad esempio, le espressioni che individuano la materia devoluta all’arbitro ovvero l’indicazione della funzione assegnata allo stesso come la naturale evoluzione del mancato raggiungimento di un accordo tra i contraenti. Inoltre, è necessario individuare le espressioni che rinviano all’obbligatorietà delle determinazioni dell’arbitro anche con riferimento all’attribuzione delle spese tra le parti.
Sull’impugnazione del lodo irrituale
L’annullamento del lodo emanato all’esito di un arbitrato irrituale deve essere domandato in via espressa e principale, non potendo le doglianze formulate nella prospettiva di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo su di esso fondato provocare una decisione demolitoria del lodo medesimo.
Con l’introduzione dell’art. 808 ter c.p.c., il legislatore ha inteso formalizzare i possibili motivi di impugnazione del lodo irrituale, cristallizzandoli in un elenco tassativo e sottraendoli, quindi, all’individuazione ermeneutica della dottrina e della giurisprudenza. I motivi di impugnazione del lodo debbono, quindi, intendersi tassativamente indicati nella citata disposizione. Di conseguenza, non possono essere oggetto d’impugnazione né l’eventuale violazione del termine per il deposito del lodo, né le eventuali errate valutazioni nel merito da parte dell’arbitro.
Nel giudizio arbitrale inerente all’accertamento della responsabilità dell’amministratore per il danno subito dal socio non sussiste litisconsorzio necessario della società.
Impugnazione di lodo arbitrale irrituale previsto da clausola compromissoria anteriore al 3 marzo 2006
All’impugnazione del lodo arbitrale irrituale previsto da clausola compromissoria inserita nello statuto sociale in epoca anteriore al 3 marzo 2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, non si applica il predetto decreto legislativo e dunque tanto meno l’art. 808 ter c.p.c., ma sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza prima della riforma, il lodo arbitrale irrituale è impugnabile solo per i vizi che possano vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l’errore, la violenza, il dolo, l’incapacità delle parti che hanno conferito l’incarico o dell’arbitro stesso. (Cfr. Cass. n. 13899/2014) [ LEGGI TUTTO ]
Compromettibilità all’arbitro della controversia sorta dopo l’assegnazione ai soci di beni della cooperativa
Ricade nell’ambito della previsione statutaria che riservi agli arbitri “qualunque controversia che dovesse insorgere tra i soci e la società” – ed è dunque compromettibile all’arbitro – anche la questione sorta per omesso pagamento dei contributi dovuti dopo l’assegnazione ai soci di beni della cooperativa e conseguenti alle condanne in favore di terzi subite dalla cooperativa in relazione a giudizi pendenti, [ LEGGI TUTTO ]
Chiarimenti in materia di arbitrato irrituale e compromettibilità in arbitri di controversie relative al compenso dell’amministratore
Il diritto al compenso dell’amministratore per l’attività professionale prestata rientra fra i diritti patrimoniali disponibili relativi al rapporto sociale, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il rivendicato compenso sia strettamente correlato [ LEGGI TUTTO ]
Eccezione di arbitrato irrituale nell’azione per il pagamento del prezzo di trasferimento di una quota di s.r.l.
L’eccezione di compromesso rituale è assoggettata al medesimo regime previsto per quella di incompetenza, che deve essere eccepita dalla parte interessata a pena di decadenza nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall’art. 166 c.p.c. [ LEGGI TUTTO ]