Art. 1226 c.c.
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Non costituisce contraffazione l’imitazione della trama di altra opera, se accompagnata da una diversa espressione con cui questa viene rappresentata
È ben possibile che opere pittoriche ritraggano lo stesso soggetto, ma le diverse modalità con cui questo viene ritratto rendono ciascuna opera frutto della creatività individuale di ciascun artista per cui ognuna è suscettibile di autonoma protezione. Analogamente, è possibile che un’opera si ispiri alla trama od al contenuto di altra opera, ma la diversa espressione con cui questa viene rappresentata fa escludere la contraffazione della prima. Parimenti è possibile che un’opera riprenda un particolare non significativo, secondario e minore di altra opera per trasformarlo ed inserirlo in un contesto del tutto diverso senza che in tal caso possa ritenersi sussistente alcuna contraffazione proprio perché la diversità con cui l’idea viene espressa attribuisce la titolarità della creazione ad un diverso soggetto [Fattispecie relativa ad un asserito plagio di opere fumettistiche].
Azione di responsabilità civile da parte del curatore del fallimento in s.r.l. nei confronti dell’amministratore di fatto
La corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto, di cui all’art. 2639 c.c., richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, [ LEGGI TUTTO ]
Irregolarità nella tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori e criteri per la quantificazione del danno
Il termine di prescrizione quinquennale (art. 2949, co. 2, c.c.) – stante il disposto dell’art. 2935 c.c. che è norma di carattere generale, secondo la quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere – inizia a decorrere non già al momento in cui l’insufficienza patrimoniale si verifica, ma a quello in cui si manifesta, diventando oggettivamente conoscibile da parte dei creditori alla stregua di fatti sintomatici di assoluta evidenza come la chiusura della sede, la pubblicazione di bilanci fortemente passivi, l’assenza di cespiti suscettibili di espropriazione forzata.
L’irregolare o disordinata tenuta delle scritture contabili integra una violazione dei doveri dell’amministratore, idonea a fondare una responsabilità risarcitoria in capo agli amministratori, ma non necessariamente foriera di danno per la società, in quanto quest’ultimo è soltanto potenziale. Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.
Con riferimento alla determinazione del danno, questo non deve intendersi come quello risultante dalla differenza tra attivo e passivo fallimentare, a meno che non si dimostri che il dissesto economico della società e il conseguente fallimento si siano verificati per fatto imputabile agli amministratori. Non è sufficiente, pertanto, ai fini della configurabilità della responsabilità degli amministratori, addurre che l’evento dannoso è pari al disavanzo fallimentare, bensì occorre dimostrare la specifica violazione dei doveri imposti dalla legge, nonché la correlazione tra tali violazioni e il pregiudizio arrecato alla società.
Il danno arrecato dagli amministratori responsabili di violazioni della legge e dello statuto deve essere debitamente provato e quantificato in relazione al concreto pregiudizio arrecato da ciascun atto di mala gestio. La sussistenza del danno può essere individuata in via presuntiva (ex art. 1226 c.c.) nella differenza fra attivo e passivo solo in caso di radicale impossibilità di ricostruire le vicende societarie per mancanza o assoluta inattendibilità delle scritture contabili, a condizione che sia allegato e dimostrato uno specifico inadempimento, imputabile all’amministratore, tale da determinare specifici effetti pregiudizievoli – c.d. “inadempimento qualificato” –, che non può consistere nell’omessa tenuta delle scritture contabili, se è vero che la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina.
L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. – con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (artt. 2393, co. 4; 2941, n. 7; 2949; 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.
Illecita sincronizzazione di un brano musicale: violazione dei diritti di utilizzazione economica
L’opera musicale non può essere legittimamente riprodotta, utilizzata e sincronizzata senza il consenso del titolare dei relativi diritti, attesa la sua natura esclusiva, assoluta ed opponibile erga omnes. La mancata autorizzazione comporta la violazione dei diritti esclusivi.
In particolare, il diritto di sincronizzazione consiste nel diritto di abbinare o di associare opere musicali o fonogrammi con opere audiovisive o con altro tipo di opere, e si attua con la loro fissazione in sincrono con una sequenza di immagini. La sincronizzazione è dunque un atto complesso che permette il riadattamento dell’opera musicale (Cass. sez.1, 12.12.2017, n.29811) .
Creando un prodotto nuovo e diverso, le attività di cui la sincronizzazione necessita sono riconducibili a diritti esclusivamente riservati all’autore/editore, quali:
- la fissazione dell’opera su un supporto e/o mezzo audiovisivo, idoneo a riprodurre suoni o immagini;
- la riproduzione dell’opera;
- l’inserimento dell’opera in un prodotto nuovo, che necessariamente presuppone la sua manipolazione ed il suo adattamento.
Quanto alla specifica sincronizzazione dei singoli fonogrammi, si rende necessario altresì il consenso del produttore fonografico.
Ai fini della cristallizzazione del danno secondo il criterio equitativo ex art. 1226 c.c., si utilizza quale parametro di valutazione, il prezzo del consenso, ossia l’importo che la titolare avrebbe verosimilmente richiesto per consentire alla convenuta di utilizzare l’opera musicale nelle proprie pubblicità commerciali. Il prezzo del consenso deve tener conto, quali elementi di ponderazione, della durata della lesione e della notorietà dell’opera
Esercizio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.f.: il parametro di riferimento è l’effettiva consistenza patrimoniale della società
Il curatore del fallimento di una società di capitali che esercita azione di responsabilità ex art. 146 l.f. nei confronti dell’amministratore unico e liquidatore della stessa deve dare prova degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e a quella del liquidatore differenziando tra gli obblighi specifici che gravano sull’amministratore di una società in bonis e i compiti del liquidatore dovendo consistere il parametro di riferimento per l’esercizio dell’azione nell’effettiva consistenza patrimoniale della società a prescindere dalla rappresentazione che della stessa viene data in bilancio non essendo, peraltro, il curatore fallimentare legittimato a proporre azione in vece di quei creditori che potrebbero aver subito un danno diretto per aver fatto affidamento su una consistenza patrimoniale insussistente che, se del caso, potranno tutelarsi con l’azione ex artt. 2395 e 2476, c. 7, c.c.
Nessun danno subiscono creditori (e società) da bilanci non veritieri.
Quantificazione del danno da risoluzione di contratto di cessione di azienda con patto di riservato dominio
Considerato che il mancato pagamento allegato dall’attrice è pari a circa il 50% del prezzo di cessione, non vi è dubbio che lo stesso integri gli estremi dell’inadempimento di non scarsa importanza di cui al generale rimedio risolutorio previsto dall’art. 1455 c.c. Trattandosi, infatti, di mancata esecuzione dell’obbligo principale gravante sull’acquirente, non può negarsi che tale omesso versamento comprometta l’equilibrio contrattuale.
Quale che sia la tesi che si voglia accogliere circa la natura sospensiva o risolutiva della condizione che prevede il patto di riservato dominio in capo all’alienante, rileva che, comunque, il cessionario è tenuto a tenere una condotta idonea a conservare integre le ragioni della controparte, non certo compatibile con comportamenti che conducono alla chiusura dell’azienda.
Considerato il diritto di riservato dominio e lo scioglimento del contratto, l’alienante ha diritto al risarcimento del danno da quantificarsi nella misura pari al prezzo di cessione, considerato il valore attribuito dalle parti al bene ceduto e poi andato distrutto.
Il danno subito dal venditore in caso di inadempimento del compratore sotto il profilo del lucro cessante consiste nel pregiudizio connesso alla mancata disponibilità del bene, cioè nel reddito che l’alienante avrebbe potuto ricavare ove il bene fosse rimasto nella sua disponibilità.
Concorrenza sleale e onere della prova dei fatti illeciti
Criteri per la verifica della responsabilità degli amministratori in ordine al dissesto della società e insufficienza del criterio dell’equivalenza del disavanzo fallimentare all’evento dannoso
Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484 n. 4 c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del “falso”, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.
Il danno non viene più automaticamente identificato nella differenza tra attivo e passivo fallimentare, a meno che non si dimostri che il dissesto economico della società e il conseguente fallimento si siano verificati per fatto imputabile agli amministratori. Non è sufficiente, quindi, ai fini della configurabilità della responsabilità degli amministratori, addurre che l’evento dannoso è pari al disavanzo fallimentare, bensì occorre dimostrare non solo la specifica violazione dei doveri imposti dalla legge ma anche la correlazione tra tali violazioni e il pregiudizio arrecato alla società. In altri termini, il danno arrecato dagli amministratori responsabili di violazioni della legge e dello statuto va debitamente provato e quantificato in relazione al concreto pregiudizio arrecato da ciascun atto di mala gestio. Può essere individuato in via presuntiva (art. 1226 c.c.) nella differenza fra attivo e passivo solo in caso di radicale impossibilità di ricostruire le vicende societarie per mancanza o assoluta inattendibilità delle scritture contabili, a condizione che sia allegato e dimostrato uno specifico inadempimento, imputabile all’amministratore, tale da determinare specifici effetti pregiudizievoli – c.d. “inadempimento qualificato” – che non può consistere nell’omessa tenuta delle scritture contabili, se è vero che la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina.
Impugnazione di delibera di revoca dell’amministratore di s.r.l.
Il computo del termine per la spedizione della convocazione dell’assemblea soggiace alle regole ordinarie del codice civile – artt. 1187 e 2963 c.c. – e quindi il giorno fissato per l’assemblea (dies a quo) è escluso dal computo.
La mera irregolarità della convocazione ha come conseguenza la sola annullabilità della delibera; la tardiva ricezione della convocazione integra l’ipotesi di delibera assunta “in assenza assoluta di informazione” (ex art. 2479-ter, terzo comma c.c.), con nullità della delibera stessa, solo qualora ciò abbia impedito l’esercizio dei diritti di informazione, di intervento e di voto. Non si ritiene che tale lesione sussista quando il termine sia violato di un solo giorno e la delibera abbia ad oggetto la revoca dell’amministratore senza giusta causa.
Tra le facoltà dell’assemblea di una s.r.l. pacificamente rientra la possibilità di revocare l’amministratore nominato a tempo indeterminato anche senza giusta causa, salvo il diritto al risarcimento del danno qualora non sia dato un congruo preavviso. Nel caso in cui, però, la revoca sia fatta per giusta causa – costituita, com’è noto, dal venir meno del rapporto fiduciario fondato “sulla base di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore” -, le ragioni che integrano la giusta causa devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva loro deduzione in sede giudiziaria.
Nell’ambito delle s.r.l., il socio di maggioranza, titolare di almeno un terzo del capitale, ha il potere di convocare l’assemblea nel caso di inerzia dell’organo di gestione; il fatto che nessuna previa sollecitazione sia stata fatta pervenire all’amministratore (affinché questi convocasse l’assemblea) integra un vizio del procedimento di convocazione suscettibile di determinare l’annullabilità della delibera e non la sua nullità.
In caso di revoca senza giusta causa e senza congruo preavviso, l’amministratore di una s.r.l. nominato a tempo indeterminato ha diritto al risarcimento del danno ex art. 1725, secondo comma, c.c.. In assenza di parametri legali o negoziali e attesa la natura risarcitoria di detta indennità, si applica il criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c.
Ambush marketing e personaggi di Star Wars
La figura dell’ambush marketing costituisce un’ipotesi di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che già può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598, comma 3, c.c. ma che talora, per eventi di particolare rilevanza, il legislatore – nazionale ed internazionale- ha ritenuto di disciplinare con una disposizione ad hoc e, in particolare, con l’art. 21 del Codice del Consumo.
E’ configurabile un rapporto di concorrenza anche nel caso d’imprenditori operanti a diverso livello, purché l’attività degli stessi insista sulla medesima cerchia di clientela finale. In tal caso, l’operatore di mercato si trova in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi dello stesso prodotto o servizio, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività: ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui all’art. 2598 cod. civ.
Integra l’illecito di concorrenza sleale la condotta di un operatore commerciale che utilizzi all’interno di una pubblicità un personaggio di un’opera altrui in funzione servente rispetto ai propri prodotti ove tale operatore: crei un indebito collegamento nella mente del consumatore tra il proprio brand, servizi e prodotti e l’opera altrui [nella specie: l’ultimo film della saga di STAR WARS, all’epoca in imminente programmazione nelle sale cinematografiche]; impieghi nella campagna il personaggio chiave già utilizzato da un concorrente in un’altra campagna pubblicitaria; agisca senza il previo consenso della titolare dei relativi diritti sull’opera; agisca in perfetta concomitanza con l’uscita della campagna pubblicitaria del concorrente legittimato e dell’opera.
L’art. 5 c.p.i. consente al titolare di opporsi all’ulteriore commercializzazione nell’ipotesi di motivi legittimi, tra i quali l’ipotesi in cui l’impiego del marchio non sia limitato all’identificazione dei prodotti rivenduti, ma sia relativo alla promozione di servizi diversi forniti dal terzo acquirente.
L’inibitoria deve essere interpretata come obbligo a carico del soggetto passivo di attivarsi anche presso la propria rete vendita e presso la propria clientela diretta per impedire l’ulteriore reiterazione dell’illecito; come obbligo non estendibile ai successivi acquirenti rispetto ai primi aventi causa dell’obbligato ovvero agli aventi causa della rete vendita dell’obbligato; nonchè come obbligazione di risultato se la rete vendita è direttamente controllata dall’obbligato e come obbligazione di mezzo se il rapporto commerciale tra il contraffattore con gli aventi causa ha determinato il trasferimento della proprietà della res in capo a soggetti autonomi sotto il profilo negoziale o societario.
Ai fini del risarcimento del lucro cessante da concorrenza sleale è necessaria la prova puntuale che il mancato raggiungimento dei livelli di fatturato attesi dal soggetto leso sia dipeso eziologicamente dalla commercializzazione dei prodotti dell’autore dell’illecito.