Art. 1337 c.c.
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Responsabilità precontrattuale nella cessione d’azienda
Esclusione degli obblighi informativi precontrattuali in caso di cessione di quote al socio-amministratore della target
L’azione di responsabilità precontrattuale proposta da chi, ai sensi dell’art. 1337 c.c., lamenta la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase delle trattative che hanno preceduto la conclusione del contratto di cessione di quote sociali, per mancata informazione di circostanze rilevanti ai fini della valutazione della convenienza dell’affare, è priva di fondamento qualora l’acquirente non sia un soggetto terzo estraneo alla società target, ma il socio di maggioranza, nonché componente dell’organo gestorio, di quest’ultima. In una simile ipotesi, la situazione di compartecipazione di entrambe le parti nella gestione dell’attività sociale della società target esclude la stessa configurabilità a carico di uno dei contraenti di obblighi informativi nei confronti dell’altro.
Valore della minuta, preliminare di società e responsabilità precontrattuale
La puntuazione, o minuta, non ha in linea di massima carattere vincolante, ma solo una funzione storica e probatoria della fase delle trattative contrattuali in quanto in essa le parti di solito intendono solo documentare l’intesa raggiunta su alcuni punti rinviando la conclusione del contratto al momento successivo nel quale avranno raggiunto l’accordo anche sugli altri. Non è escluso, tuttavia, che in concreto la minuta possa avere valore probatorio di un contratto già perfezionato quando contenga l’indicazione dei suoi elementi essenziali e risulti anche in base al comportamento successivo delle parti inteso a dare esecuzione all’accordo risultante da detta minuta, sempreché tale comportamento sia univoco e non consenta una diversa interpretazione, che le parti abbiano inteso vincolarsi definitivamente. A differenza del contratto preliminare, ove le parti si obbligano a prestare il loro consenso alla conclusione del contratto definitivo, i cui elementi essenziali e accidentali siano stati contestualmente precisati e i cui effetti si produrranno al momento della sua stipulazione, con la sottoscrizione della c.d. minuta o puntuazione di contratto le parti conservano la libertà di recesso dalle trattative, con il limite della responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.
La disciplina di cui all’art. 2932 c.c. mal si attaglia all’impegno assunto di costituire una nuova società (c.d. preliminare di società), presupponendo la vincolatività di un siffatto preliminare l’impegno avente contenuto dinamico all’esercizio in comune di attività economica, con implicazioni alquanto ampie e non preventivamente determinabili, non da ultimo in ordine anche alla fattiva collaborazione della parte inadempiente, sicché l’esecuzione dell’obbligo in forma specifica non offre, invero, alcuna garanzia quanto all’effettivo svolgimento dell’attività sociale e, anzi, potrebbe determinare la paralisi della società prima ancora che questa possa cominciare ad operare.
La responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. costituisce una responsabilità contrattuale da contatto sociale. La regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative, ma ha valore di clausola generale. La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.
In tema di liquidazione del danno, la locuzione “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il “vinculum iuris”, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.
Applicabilità dell’art. 2467 c.c. alla s.p.a. Responsabilità precontrattuale
Nelle controversie relative a cessioni di quote di società estere in cui di discute dell’esatta esecuzione del contratto risulta applicabile non già la lex societatis, ma la lex contractus. Pertanto, relativamente alle problematiche relative all’accertamento dell’esistenza e all’esatta esecuzione del contratto di cessione di partecipazioni è applicabile il Regolamento CE n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
L’art. 2467 c.c. è applicabile alle s.p.a. chiuse con una struttura societaria ristretta o familiare, dove i soci finanziatori hanno accesso alle stesse informazioni dei soci di una s.r.l., rendendo il loro credito postergabile in caso di squilibrio finanziario della società.
In tema di responsabilità precontrattuale, il danno risarcibile è limitato al solo interesse negativo, costituito dal pregiudizio subito per aver fatto affidamento sulla conclusione del contratto, senza includere il risarcimento per i danni che sarebbero stati evitati o i vantaggi mancati se il contratto fosse stato validamente concluso ed eseguito.
La responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. può essere riconosciuta quando le trattative vengano interrotte senza giustificato motivo, causando un danno alla controparte, anche se il contratto non viene concluso.
Accordi di puntuazione e responsabilità precontrattuale
L’art. 1362 c.c., sebbene al primo comma prescriva all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza e univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.
Il recesso delle trattative può essere causa di responsabilità precontrattuale quando sia privo di giustificato motivo. Affinché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che: tra le parti siano in corso trattative; le trattative siano giunte a uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei a escludere il suo ragionevole affidamento nella conclusione del contratto. Dunque, perché le trattative possano considerarsi affidanti è necessario che nel corso di esse le parti abbiano preso in considerazione almeno gli elementi essenziali del contratto, come la natura delle prestazioni o l’entità dei corrispettivi.
La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall’art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l’onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe viceversa sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua.
Sul rapporto di concambio nella fusione
Nell’ambito di una complessa operazione di fusione societaria, non esiste un unico rapporto di cambio esatto, il quale va, invece, determinato all’interno di una ragionevole banda di oscillazione dipendendo il rapporto di cambio dalla discrezionalità tecnica degli amministratori, dovendosi escludere che esso sia univocamente desumibile dal rapporto matematico intercorrente tra le unità patrimoniali facenti capo alle società partecipanti alla fusione. Nel rapporto di cambio si deve rispettare il principio di parità e quindi ogni socio avrà una partecipazione di valore tendenzialmente corrispondente a quella in precedenza posseduta, nel rispetto dell’apporto delle diverse società all’aggregato della nuova realtà post fusione, alla luce del rapporto fra i rispettivi valori.
Nessun metodo di valutazione delle partecipazioni sociali può avere il privilegio dell’assoluta attendibilità e la migliore approssimazione verso una valutazione effettivamente adeguata si ottiene mediante il c.d. giudizio integrato di valutazione. La scienza aziendalistica, infatti, discorre di metodi diretti di valutazione delle azioni come titoli (meno attendibili, in quanto meno oggettivi) e metodi indiretti di valutazione del patrimonio sociale e dell’azienda (più attendibili e oggettivi), la cui affidabilità bilanciata consiglia un uso misto dei medesimi. Il legislatore si limita a postulare che il rapporto di cambio debba essere congruo: non ha preteso l’assoluta esattezza matematica del concambio, così come ha omesso di indicare criteri inderogabili cui attenersi nella stima. Ciò significa che non esiste un unico rapporto di cambio esatto, con la conseguenza che la nozione di congruità finisce per ammettere una pluralità di concambi, i quali, entro il menzionato accettabile arco di oscillazione, sono tutti soddisfacenti dal punto di vista del legislatore, ed è proprio il giudizio integrato di valutazione a propiziare la migliore approssimazione verso una stima effettivamente adeguata.
Al fine di verificare la congruità del rapporto di cambio, lo scostamento in ridotta percentuale (10%) della valutazione del valore delle partecipazioni (sulla base di un accordo che le parti hanno stipulato per evitare eventuali effetti pregiudizievoli derivanti dalla valutazione del concambio) rientra nel range della intrinseca opinabilità di ogni processo valutativo che ha ad oggetto la misurazione del valore di un’impresa: pertanto, può dirsi che un tale tipo di scostamento è insito nel rischio dell’operazione straordinaria di fusione cui i soci hanno aderito, come dispone l’art. 2502 c.c.
Contratto preliminare di cessione di quote di s.r.l. Responsabilità precontrattuale, buona fede e inadempimento
Legittimo affidamento sulla positiva conclusione di trattative finalizzate alla costituzione di una nuova società
Presupposti per l’esercizio del diritto di opzione
La natura non ambulatoria del diritto di opzione (avente effetto obbligatorio solo tra le parti) impedisce di ritenere che il diritto potestativo dell’oblato sul bene opzionato (partecipazioni azionarie) si trasferisca, nel caso in cui il bene opzionato sia soggetto ad un’operazione societaria di fusione ovvero di cessione, sulle azioni dell’incorporante o della cessionaria, salvo che le parti non abbiano previsto nel contratto di opzione una clausola di sostituzione automatica dell’oggetto del diritto di opzione all’occorrere di determinate operazioni societarie.
Si può prescindere dalla formale comunicazione all’oblato utile per l’esercizio del diritto di opzione nel caso in cui l’oblato ricopra una carica gestoria nel consiglio di amministrazione della società le cui azioni sono oggetto di opzione, ma non nel caso in cui l’oblato ricopra la posizione di dirigente (anche se apicale) della società.
Inadempimento in sede di liquidazione fallimentare e responsabilità degli amministratori
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente ai sensi dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente, come si evince, fra l’altro, dall’utilizzazione, nel testo della norma, dell’avverbio “direttamente”, il quale esclude che l’inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità.
In tema di vendita coattiva di beni mobili in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare, ove il soggetto che abbia proposto l’offerta più vantaggiosa, con il quale il curatore sia stato autorizzato a concludere la vendita, non rispetti la sua proposta, scattano, non già le conseguenze di cui all’art. 1337 c.c. in tema di responsabilità contrattuale, ma quelle previste in materia di procedura espropriativa dall’art. 587 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 177 disp. att. c.p.c. (perdita della cauzione e, ove il prezzo derivante dal nuovo incanto sia inferiore, obbligo di pagare la differenza). Il ricorso a tale forma di autotutela resta legittimo in ogni caso, presumendosi l’imputabilità dell’inadempimento a carico dell’aggiudicatario, salva la prova contraria su quest’ultimo incombente.