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Art. 1337 c.c.
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9 Gennaio 2024

Accordi di puntuazione e responsabilità precontrattuale

L’art. 1362 c.c., sebbene al primo comma prescriva all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza e univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.

Il recesso delle trattative può essere causa di responsabilità precontrattuale quando sia privo di giustificato motivo. Affinché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che: tra le parti siano in corso trattative; le trattative siano giunte a uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei a escludere il suo ragionevole affidamento nella conclusione del contratto. Dunque, perché le trattative possano considerarsi affidanti è necessario che nel corso di esse le parti abbiano preso in considerazione almeno gli elementi essenziali del contratto, come la natura delle prestazioni o l’entità dei corrispettivi.

La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall’art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l’onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe viceversa sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua.

14 Novembre 2023

Sul rapporto di concambio nella fusione

Nell’ambito di una complessa operazione di fusione societaria, non esiste un unico rapporto di cambio esatto, il quale va, invece, determinato all’interno di una ragionevole banda di oscillazione dipendendo il rapporto di cambio dalla discrezionalità tecnica degli amministratori, dovendosi escludere che esso sia univocamente desumibile dal rapporto matematico intercorrente tra le unità patrimoniali facenti capo alle società partecipanti alla fusione. Nel rapporto di cambio si deve rispettare il principio di parità e quindi ogni socio avrà una partecipazione di valore tendenzialmente corrispondente a quella in precedenza posseduta, nel rispetto dell’apporto delle diverse società all’aggregato della nuova realtà post fusione, alla luce del rapporto fra i rispettivi valori.

Nessun metodo di valutazione delle partecipazioni sociali può avere il privilegio dell’assoluta attendibilità e la migliore approssimazione verso una valutazione effettivamente adeguata si ottiene mediante il c.d. giudizio integrato di valutazione. La scienza aziendalistica, infatti, discorre di metodi diretti di valutazione delle azioni come titoli (meno attendibili, in quanto meno oggettivi) e metodi indiretti di valutazione del patrimonio sociale e dell’azienda (più attendibili e oggettivi), la cui affidabilità bilanciata consiglia un uso misto dei medesimi. Il legislatore si limita a postulare che il rapporto di cambio debba essere congruo: non ha preteso l’assoluta esattezza matematica del concambio, così come ha omesso di indicare criteri inderogabili cui attenersi nella stima. Ciò significa che non esiste un unico rapporto di cambio esatto, con la conseguenza che la nozione di congruità finisce per ammettere una pluralità di concambi, i quali, entro il menzionato accettabile arco di oscillazione, sono tutti soddisfacenti dal punto di vista del legislatore, ed è proprio il giudizio integrato di valutazione a propiziare la migliore approssimazione verso una stima effettivamente adeguata.

Al fine di verificare la congruità del rapporto di cambio, lo scostamento in ridotta percentuale (10%) della valutazione del valore delle partecipazioni (sulla base di un accordo che le parti hanno stipulato per evitare eventuali effetti pregiudizievoli derivanti dalla valutazione del concambio) rientra nel range della intrinseca opinabilità di ogni processo valutativo che ha ad oggetto la misurazione del valore di un’impresa: pertanto, può dirsi che un tale tipo di scostamento è insito nel rischio dell’operazione straordinaria di fusione cui i soci hanno aderito, come dispone l’art. 2502 c.c.

Presupposti per l’esercizio del diritto di opzione

La natura non ambulatoria del diritto di opzione (avente effetto obbligatorio solo tra le parti) impedisce di ritenere che il diritto potestativo dell’oblato sul bene opzionato (partecipazioni azionarie) si trasferisca, nel caso in cui il bene opzionato sia soggetto ad un’operazione societaria di fusione ovvero di cessione, sulle azioni dell’incorporante o della cessionaria, salvo che le parti non abbiano previsto nel contratto di opzione una clausola di sostituzione automatica dell’oggetto del diritto di opzione all’occorrere di determinate operazioni societarie.

Si può prescindere dalla formale comunicazione all’oblato utile per l’esercizio del diritto di opzione nel caso in cui l’oblato ricopra una carica gestoria nel consiglio di amministrazione della società le cui azioni sono oggetto di opzione, ma non nel caso in cui l’oblato ricopra la posizione di dirigente (anche se apicale) della società.

 

 

23 Dicembre 2022

Inadempimento in sede di liquidazione fallimentare e responsabilità degli amministratori

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente ai sensi dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente, come si evince, fra l’altro, dall’utilizzazione, nel testo della norma, dell’avverbio “direttamente”, il quale esclude che l’inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità.

In tema di vendita coattiva di beni mobili in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare, ove il soggetto che abbia proposto l’offerta più vantaggiosa, con il quale il curatore sia stato autorizzato a concludere la vendita, non rispetti la sua proposta, scattano, non già le conseguenze di cui all’art. 1337 c.c. in tema di responsabilità contrattuale, ma quelle previste in materia di procedura espropriativa dall’art. 587 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 177 disp. att. c.p.c. (perdita della cauzione e, ove il prezzo derivante dal nuovo incanto sia inferiore, obbligo di pagare la differenza). Il ricorso a tale forma di autotutela resta legittimo in ogni caso, presumendosi l’imputabilità dell’inadempimento a carico dell’aggiudicatario, salva la prova contraria su quest’ultimo incombente.

20 Ottobre 2022

Ratio della risoluzione degli enti creditizi ed efficacia delle decisioni della Corte di Giustizia

In tema di risanamento e risoluzione degli enti creditizi, la ratio della disciplina del d.lgs. 180/2015, di derivazione europea, è quella di creare una netta distinzione tra l’ente in risoluzione e l’ente ponte al fine di garantire, nell’interesse pubblico generale, la stabilità del sistema finanziario con la prosecuzione dell’attività bancaria, a tutela anche dei rapporti di clientela in essere con la banca in crisi e al fine di scongiurare riflessi negativi sul tessuto economico delle aree interessate che deriverebbero dalla liquidazione della banca in crisi.

Le decisioni della Corte di Giustizia sull’interpretazione dei trattati sono vincolanti non solo per il giudice del rinvio, ma spiegano efficacia anche al di fuori del giudizio principale, data la loro portata generale ed astratta con efficacia vincolante erga omnes a garanzia dell’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione Europea in tutto l’ambito europeo. Inoltre, alle sentenze interpretative va attribuita efficacia retroattiva come conseguenza dell’effetto di incorporazione dell’interpretazione della Corte UE nel testo della disposizione interpretata.

Le norme della Direttiva 2014/59 devono essere interpretate nel senso che esse ostano a che, successivamente alla svalutazione totale delle azioni del capitale sociale di un ente creditizio o di un’impresa di investimento sottoposti a una procedura di risoluzione, le persone che hanno acquistato delle azioni, nell’ambito di un’offerta pubblica di sottoscrizione emessa da tale ente prima dell’avvio di detta procedura di risoluzione, propongano, nei confronti dell’ente creditizio o dell’impresa in parola, ovvero contro l’entità succeduta a tali soggetti, un’azione di responsabilità a causa delle informazioni fornite nel prospetto oppure un’azione di nullità del contratto di sottoscrizione di tali azioni, la quale, in considerazione del suo effetto retroattivo, porti alla restituzione del controvalore dei titoli azionari suddetti, maggiorato di interessi a decorrere dalla data di conclusione di tale contratto.

Il d.lgs. 180/2015 non preclude in assoluto ogni facoltà di agire per il risarcimento del danno ex art 94 TUF, ma solo la facoltà di agire verso il nuovo soggetto, l’ente ponte, nelle sole ipotesi in cui l’iniziativa non è stata assunta prima della cessione ex d.lgs. 180/2015, restando immutata la facoltà di agire verso gli altri possibili co-responsabili (quali l’offerente, l’eventuale garante, le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto, l’intermediario finanziario).

28 Luglio 2022

Principi in tema di responsabilità precontrattuale: il contatto sociale qualificato

Il contatto sociale qualificato che si instaura tra le parti durante la fase delle trattative volte alla stipulazione di un contratto genera reciproco affidamento e costituisce fatto idoneo a produrre obbligazioni (art. 1173 c.c.) dal quale derivano reciprochi obblighi di buona fede, protezione e informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. Ne discendono una serie di conseguenze, in particolare, sul piano dell’onere della prova e della prescrizione.

La responsabilità precontrattuale regolamenta e limita la libertà negoziale: l’interesse tutelato non è quello all’adempimento (presidiato dalla responsabilità contrattuale), ma l’interesse, comune ad entrambe le parti e, quando realizzato, determinante una relazione specifica, al corretto svolgimento di trattative volte a verificare se vi siano o si possano creare le condizioni per la manifestazione di una comune volontà negoziale. Sicché dalla violazione dei canoni di buona fede e correttezza nella conduzione delle trattative discende il diritto della parte adempiente – non già alla conclusione del contratto, bensì – a ottenere il risarcimento dell’eventuale danno subito sub specie di interesse negativo.

Lo svolgimento delle trattative può altresì essere a sua volta oggetto di un contratto, attraverso strumenti normativamente atipici ma socialmente tipici, quali, tra gli altri, le offerte non vincolanti o le lettere di intenti. Nulla vieta dunque, in astratto, che le parti possano regolamentare, quale aspetto o modalità dello svolgimento delle trattative, attività di esame documentale (c.d. due diligence), con l’avvertenza che, perché si crei un vincolo contrattualmente cogente, devono ricorrere i relativi requisiti, tra i quali, ad esempio, la determinatezza o determinabilità dell’oggetto, cioè appunto dell’attività di esame documentale e quindi dei documenti rispetto ai quali essa si deve svolgere.

Il requisito della necessaria indicazione della causa di merito in un giudizio cautelare non va interpretato in termini strettamente formalistici, con conseguente obbligo in capo al ricorrente di indicare in maniera espressa gli estremi della futura domanda di merito, precisandone finanche le relative conclusioni. Ciò che rileva è, piuttosto, che sia possibile dedurre dal tenore complessivo del ricorso il contenuto del possibile giudizio di cognizione, senza necessità di un’indicazione testuale ed analitica delle richieste da proporsi successivamente in detta sede. Ne consegue che l’onere di specificare l’azione di merito può ritenersi pienamente assolto qualora i termini della controversia siano ricavabili dal contesto complessivo dell’atto, dalla ricostruzione dei fatti e dalle violazioni lamentate.

4 Novembre 2021

Qualificazione di una monografia quale opera derivata, collettiva, in comunione o indipendente

Per opera derivata s’intende quella in relazione alla quale autore è colui che provveda all’elaborazione creativa dell’opera preesistente. Il relativo onere probatorio è, ovviamente, posto a carico di chi intenda far valere i relativi diritti. Il risultato dell’elaborazione di un’opera esistente può essere oggetto di utilizzo (come la pubblicazione) da parte di terzi a condizione, però, che ricorra il preventivo consenso dell’autore dell’opera base. In altre parole, lo sfruttamento economico dell’opera derivata è sempre subordinato al veto dell’autore di quella di base.

Perchè sia integrata un’opera collettiva, occorre provare tra gli altri l’esistenza di un indice, uno schema editoriale, una precisa ripartizione dei lavori, un titolo.

L’opera in comunione ai sensi dell’art. 10 l.d.a. è tale se realizzata “insieme” da più autori (che non abbiano un ruolo di mera revisione di parti di testo da altri elaborate).

La realizzazione di un’opera indipendente richiede l’effettuazione di una serie di interventi così significativi e profondi da dare, conclusivamente, alla luce una vera e propria opera individuale. Tali non sono correzioni assolutamente minime, formali, stilistiche e, di certo, non sostanziali.

5 Ottobre 2021

Trattative per la cessione di partecipazioni sociali e responsabilità precontrattuale

In tema di trattative finalizzate alla possibile cessione di partecipazioni sociali, affinché il recesso dalle trattative stesse sia considerato contrario al dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. e, di conseguenza, idoneo a configurare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, occorre che le predette trattative siano pervenute ad uno stadio avanzato, vale a dire che si sia raggiunto un avvicinamento apprezzabile al buon esito delle medesime.