Art. 1344 c.c.
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Accordi di risanamento, meritevolezza del contratto e divieto di patto commissorio
Il diritto dei contratti non impone un’uguaglianza assoluta tra le parti riguardo a condizioni, termini e vantaggi economici e contrattuali. Pertanto, non è la discrepanza tra prestazione e controprestazione a rendere un contratto immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., purché tale differenza sia stata compresa ed accettata in piena libertà ed autonomia dalle parti stesse.
Il divieto di patto commissorio e la conseguente sanzione di nullità radicale sono estesi a qualsiasi negozio, tipico o atipico, quale che ne sia il contenuto, che sia in concreto impiegato per conseguire il fine, riprovato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore. Pertanto, in ogni ipotesi in cui quest’ultimo sia costretto ad accettare il trasferimento di un bene a scopo di garanzia, nell’ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta per causa indipendente dalla predetta cessione, è ravvisabile un aggiramento del divieto di cui agli artt. 1963 e 2744 c.c.
Nell’ambito dell’accertamento di una eventuale violazione del divieto di patto commissorio, il giudice di merito non deve limitarsi a un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto e, in caso di operazione complessa, valutare gli atti medesimi alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante e il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto. Rientra in detta articolata casistica anche l’ipotesi in cui le parti pongano in essere più negozi, tra loro uniti da un vincolo di collegamento, configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e interdipendenti, al fine di un più completo ed equilibrato regolamento degli interessi, ove dalla loro disamina emerga un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale venga compiuto il trasferimento di un bene dal debitore al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, a uno scopo di garanzia.
A prescindere dalla natura obbligatoria o reale del contratto o dei contratti che le parti pongono in essere, ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi, nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dall’identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti, si configura una violazione del divieto di cui all’art. 2744 c.c. qualora tra le diverse pattuizioni sia dato ravvisare un rapporto di interdipendenza tale che le stesse risultino funzionalmente preordinate a realizzare una situazione del tutto analoga a quella vietata dalla legge.
La conversione di crediti in azioni, lungi dal costituire una violazione del patto commissorio o di altra disposizione imperativa prevista dall’ordinamento, oltre a essere una prassi frequente sia nell’ambito di società in bonis sia nell’ambito delle procedure di ristrutturazione dei debiti, è un’ipotesi ritenuta lecita dal legislatore, tanto da essere espressamente prevista e disciplinata nell’ipotesi di concordato preventivo (art. 160, co. 1, lett. a, l. fall.) e pacificamente avallata dalla giurisprudenza di legittimità.
Nullità del contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni dell’istituto di credito
Rientrano nella competenza del giudice del concorso, e sono dunque improponibili o improseguibili avanti al giudice ordinario, tutte le domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione. La competenza di tale giudice riguarda, quindi, non solo le domande di condanna e di accertamento di crediti, ma anche tutte le domande che sono comunque funzionali ad incidere sul patrimonio del fallimento, compresi gli accertamenti che costituiscono la premessa di una pretesa nei confronti della massa o che sono diretti a porre in essere il presupposto di una domanda di condanna. Rimangono invece escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo tutte le domande di accertamento o costitutive che non siano dirette a far valere crediti risarcitori o restitutori, ma a conseguire la liberazione da un obbligo assunto verso l’impresa sottoposta a procedura concorsuale. Di conseguenza, sono procedibili o proseguibili davanti al giudice ordinario tutte le domande che non sono funzionali all’accertamento di crediti da vantare verso la procedura, quali ad esempio, quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e proprie della procedura, anche laddove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità, annullabilità ovvero risoluzione del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima.
A fronte di contratti autonomi, affinché possa opinarsi dell’esistenza di un collegamento che attribuisca rilevanza ad una causa concreta esterna ad essi, è sempre necessario che detto collegamento sia propriamente negoziale, ossia risulti voluto e condiviso dalle parti secondo le pattuizioni concretamente intervenute tra di esse. Tale prova può essere data, oltre che in via diretta, anche in ragione di accertamento presuntivo, sulla scorta di indizi gravi, precisi e concordanti. [Nel caso in cui si tratti di un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni della banca, costituiscono indizi idonei a raggiungere tale prova la vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e l’acquisto delle azioni, nonché il fatto che precedentemente al finanziamento l’acquirente non disponesse di depositi sufficienti per l’acquisto azionario].
La norma dell’art. 2358 c.c. ha carattere imperativo, dal momento che il divieto di assistenza finanziaria è volto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori e della società. In particolare, l’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento del capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento e non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari a disposizione della società.
La nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. discende non solo dalla violazione di norme imperative che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ma anche di quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. Di conseguenza, nel caso in cui il collocamento di azioni avvenga in violazione delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c., la sanzione comminabile sarà quella della nullità.
L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. n. 105/1948 e il disposto dell’art. 150 bis TUB portano a ritenere che la disciplina del divieto di assistenza finanziaria è applicabile anche alle banche costituite in forma cooperativa.
Trust in violazione del divieto di patto commissorio e della par condicio creditorum
Al fine di verificare se un trust violi o meno il divieto di patto commissorio occorre esaminarne l’atto istitutivo onde desumerne gli scopi e le modalità di funzionamento. Trattandosi di un’operazione ermeneutica volta a verificare la validità di un negozio, essa deve essere condotta su un piano oggettivo/funzionale, mentre viceversa non è congruente con l’indagine effettuata con un criterio soggettivo.
La funzione illecita del trust si verifica quando il trust sia stato di fatto utilizzato per eludere la disciplina concorsuale e sussiste illiceità della causa anche qualora lo strumento segregativo del patrimonio sia stato utilizzato al fine di impedire la realizzazione coattiva individuale del credito da parte del creditore sociale, il quale non potrebbe soddisfarsi sui beni conferiti in trust se non previo esperimento di azione revocatoria o di apposito accertamento giurisdizionale della nullità del negozio istitutivo del trust. Un trust liquidatorio che si ponga come dichiarato scopo quello di tutelare i creditori ricorrendo alla segregazione patrimoniale di tutto il patrimonio aziendale, quando l’impresa si trova già in stato di insolvenza (ed avrebbe pertanto dovuto accedere agli istituti concorsuali), è incompatibile con la clausola di salvaguardia di cui all’art. 15, lettera e) della convenzione dell’Aja 1 luglio 1985.
Nullità delle operazioni sulle proprie azioni della banca popolare
Con riferimento all’acquisto delle proprie azioni, quando il collocamento delle azioni avvenga, contro il divieto, nel mancato rispetto delle modalità e limiti descritti dall’art. 2358 c.c., la sanzione è quella della nullità, in quanto solo il rispetto di tali requisiti e limiti permette di superare il divieto. Infatti, il fattore preminente fatto oggetto di tutela dalla norma è quello della tutela del capitale sociale, nell’interesse della società, oltre che dei soci e dei creditori. Tale interesse è centrale anche nelle società cooperative. La loro natura mutualistica comporta infatti che il loro scopo sia fornire beni e servizi ai soci (ed eventualmente a non soci) a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato. Tale scopo si realizza però mediante una struttura imprenditoriale, più o meno complessa, che deve operare secondo criteri di economicità, razionalità e quindi in primo luogo con salvaguardia del capitale mediante il quale solamente lo scopo mutualistico può realizzarsi.
Pertanto, una disciplina che limita le operazioni che possono mettere a repentaglio il capitale non è certo incompatibile con la società cooperativa. Né si rinviene alcuna incompatibilità dei requisiti o delle modalità e condizioni prescritte dall’art. 2358 c.c. con la struttura cooperativa. Inoltre, poiché tutte le condizioni dettate dalla norma concorrono a elidere i pericoli insiti nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, tutte indistintamente devono sussistere parimenti perché il divieto del comma 1 dell’art. 2358 sia superato. Va poi escluso che la disciplina civilistica, posta a tutela del capitale sociale, sia in qualche modo esclusa dal fatto che le società cooperative sono sottoposte a forme di vigilanza (per le Banche, da parte di Consob, Banca d’Italia e BCE) in mancanza di norme che in tal senso dispongano. Inoltre, quanto alla applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche popolari, l’introduzione dell’art 150 bis TUB e l’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 portano ad escludere che il legislatore abbia inteso permettere alle banche popolari di finanziare l’acquisto di proprie azioni al di fuori di qualsiasi forma, e a concludere che si sia inteso applicabile l’art. 2358 c.c.
Con riguardo, invece, all’acquisto di obbligazioni convertibili in azioni proprie, il finanziamento da parte dell’emittente dell’acquisto obbligazionario non è contemplato dall’art. 2358 c.c., che riguarda le sole azioni. Tuttavia, così come per il caso del collocamento azionario assistito, il collocamento di obbligazioni convertibili su provvista fornita dalla banca mina l’effettività del conferimento. Infatti, la predisposizione di tale strumento, in quanto collocato mediante provvista fornita dalla Banca, è in sé idoneo a eludere la disciplina cogente dettata per assicurare l’effettività degli aumenti di capitale, e i divieti in essa previsti a tutela della effettività del capitale. Si realizza dunque un complesso negoziale in frode alla legge, sanzionato da nullità ex art. 1344 c.c.
Banca Popolare di Vicenza: divieto di assistenza finanziaria e obbligazioni convertibili
In ragione dell’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 e del disposto dell’art. 150-bis t.u.b. – il quale, nell’indicare quali norme del c.c. non si applicano alle banche popolari, non considera l’art. 2358 c.c. – sussiste anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di azioni proprie secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c.
Nel prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, l’art. 2358 c.c. pone un divieto di carattere imperativo, posto che detto divieto, laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità, è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche solo potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. Ne consegue che ove il collocamento di azioni avvenga in assenza delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile è quella della nullità.
Il collocamento di obbligazioni convertibili su provvista fornita dalla banca, una volta che manchi il rispetto delle regole dettate dall’art. 2358 c.c., mina – come per il caso analogo del collocamento azionario assistito – l’effettività del conferimento. E ciò vale sia per il caso in cui la conversione sia rimessa integralmente nella disponibilità dell’obbligazionista, sia per il caso in cui la conversione sia rimessa anche alla discrezionalità dell’emittente nonché per il caso in cui la conversione in azioni – anziché in denaro o altro – sia solo una delle possibili forme previste dal regolamento di emissione.
Nel caso di finanziamento per l’acquisto di obbligazioni convertibili in azioni proprie, l’emissione di dette obbligazioni, in quanto collocate mediante provvista fornita dalla banca, è operazione in sé idonea ad eludere la disciplina cogente dettata per assicurare l’effettività degli aumenti di capitale e i divieti previsti a tutela dell’effettività del capitale. Ne consegue che il complesso negoziale sottostante l’operazione di finanziamento potrà essere riconosciuto in frode alla legge e sanzionato con la nullità ai sensi dell’art. 1344 c.c.
Azione di risarcimento danni per mala gestio dell’amministratore e nullità dell’atto istitutivo di trust in mancanza di affidamento intersoggettivo dei beni
Risponde dell’addebito di negligenza l’amministratore che scelga di demandare il maneggio della cassa sociale interamente a terzi senza la previsione di alcun meccanismo di controllo e a fronte di compensi assai rilevanti.
Deve escludersi la configurabilità di una simulazione assoluta anche rispetto all’atto costitutivo di società di persone iscritta nel Registro delle imprese.
Deve ritenersi nullo l’atto costitutivo di un trust t (ovvero la non riconoscibilità di tale atto nel nostro ordinamento in quanto non riconducibile alla disciplina di cui all’art.2 della Convenzione dell’Aja 1.7.1985 resa esecutiva in Italia dalla l. n.364/1989) laddove manchi “nella sostanza un vero affidamento intersoggettivo dei beni”, ciò senz’altro ricorrendo nell’ipotesi in cui il trust reca una integrale coincidenza tra i tre soggetti che ne costituiscono tipicamente le parti (ossia il disponente, il trustee ed il beneficiario). I tre centri di imputazione di tale istituto non possono infatti coincidere, dal momento che il trust postula in capo al trustee una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente del trust nell’atto istitutivo a vantaggio del o dei beneficiari.
Se tutte queste figure coincidono, la proprietà del trustee in nulla differisce dalla proprietà piena, e il trust è pertanto nullo in quanto fondato sul carattere abusivo dell’utilizzo di un istituto di segregazione patrimoniale a beneficio di terzi riconosciuto dall’ordinamento in quanto dotato di determinati caratteri e altrimenti risolventesi in negozio in elusiva violazione della norma imperativa ex art. 2740 c.c., e come tale sanzionabile ex artt. 1344, 1345 e 1418 c.c.
Cessione quote sociali e annullamento del contratto per dolo e violenza morale
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto la cessione delle quote sociali è inammissibile l’intervento della società (con autonoma comparsa o inserendosi nell’atto di citazione proposto dall’ingiunta), estranea al procedimento monitorio e al rapporto sostanziale, volto a far valere domande (di restituzione e di risarcimento per effetto di operazioni senza causa o con causa invalida compiute dall’amministratore) non connesse a quelle del giudizio in cui sono state introdotte.
Costituire una newco e trasferirvi i contratti con la clientela non è qualificabile come simulazione negoziale
La costituzione di una newco nella quale è conferito un ramo d’azienda, comprensivo dei contratti con alcune controparti commerciali (clienti), non rappresenta ex se un negozio simulato teso a eludere gli obblighi contrattuali della conferente verso i clienti ceduti. In particolare la circostanza che assieme ai contratti con i clienti siano stati ceduti anche avviamento, know how, immobilizzazioni materiali, disponibilità liquide, diritti di proprietà intellettuale e lavoratori esclude la natura simulata del negozio. Un’ulteriore conferma è data dall’effettiva operatività della newco, dalla sua patrimonializzazione e dalla presenza sul mercato dei suoi prodotti.
Ai sensi dell’art. 1415, comma 2, c.c. i terzi che vogliano contestare la natura simulata di un’operazione devono dimostrare di essere stati pregiudicati dalla stessa. Ebbene, le controparti commerciali cedute alla newco non possono lamentare l’inefficacia dell’operazione sostenendone la natura simulata allorché la newco eserciti facoltà contrattuali che erano sin dall’origine presenti negli accordi trasferiti. Infatti in tal caso il pregiudizio denunciato non deriva dall’operazione che si assume simulata, ma da clausole contrattuali applicabili a prescindere dal mutamento soggettivo del rapporto.
Elusione di una norma tributaria e (non) contrarietà alla legge del negozio
In mancanza di specifiche disposizioni che sanzionino espressamente con la nullità il negozio giuridico elusivo di una norma tributaria, è esclusa la configurabilità della nullità virtuale del contratto per frode alla legge (art. 1344 c.c.) o per violazione di una norma imperativa (art. 1418, comma 1 c.c.), operando la normativa fiscale e quella civilistica su distinti piani, con la conseguenza che, in mancanza di specifica disposizione di legge comminante detta sanzione, le pattuizioni contenute in un contratto, quand’anche dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per sé la nullità del contratto stesso poiché ogni sanzione per tale elusione si rinviene direttamente nel sistema tributario. Ove non espressamente stabilito dalla legge, solo la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, mentre ciò non avviene nel caso di violazione di norme che, quand’anche imperative, riguardino la condotta dei contraenti, in ipotesi rilevante in altra sede.
Pubblicità sanante della pubblicazione nel Registro delle Imprese dell’atto costitutivo di società di persone
Deve escludersi la configurabilità di una simulazione assoluta rispetto all’atto costitutivo di società di persone iscritta nel Registro delle imprese, anche rispetto a tal genere di società potendosi applicare l’orientamento di legittimità che, per le società di capitali, esclude la configurabilità di nullità per simulazione assoluta richiamando non solo la specifica norma ex art. 2332 c.c. ma anche la stessa natura del contratto sociale “che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli interessi dei terzi, che con la società instaurano rapporti e fanno affidamento sulla sua esistenza, dovendosi ritenere che tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, siano quelli che emergono dal sistema di pubblicità, sicché l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi”.