Art. 1372 c.c.
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Oggetto del contratto di cessione di partecipazioni
La cessione delle partecipazioni sociali è un atto di disposizione patrimoniale che ha per oggetto immediato la partecipazione sociale – che esprime l’insieme dei diritti patrimoniali ed amministrativi che qualificano, secondo la tipica disciplina legale, lo status di socio – e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Da ciò discende che la differente consistenza dei beni patrimoniali della società non incide sull’oggetto del contratto, o sulla qualità della partecipazione, e la sopravvenienza di passività o la minusvalenza di cespiti attivi, per effetto dei quali il valore del patrimonio sociale risulti diminuito, non possono costituire di per sé soli un vizio rilevante ai sensi degli artt. 1490 ss. c.c. Resta salva l’ipotesi in cui il venditore abbia fornito all’acquirente delle specifiche garanzie contrattuali: in questo caso, tuttavia, l’azione di risoluzione e/o di riduzione del prezzo non rinviene il suo fondamento direttamente nella normativa legale in materia di garanzia per vizi prevista dagli artt. 1490 ss. c.c., ma esclusivamente nella clausola negoziale con cui è stata prestata la c.d. garanzia convenzionale.
L’art. 1304, co. 1, c.c. prevede che la transazione conclusa dal creditore con uno dei condebitori solidali non produce effetto nei confronti degli altri, a meno che questi non dichiarino di volerne profittare. Tale norma si riferisce alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del condebitore solidale con cui è stipulata, giacché è la comunanza dell’oggetto della transazione stessa a consentire che gli altri condebitori solidali, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione, possano dichiarare di volerne profittare, in deroga al principio per cui il contratto produce effetti soltanto tra le parti (art. 1372 c.c.). Per converso, laddove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto non già l’intero debito ma solo ed esclusivamente la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto soltanto se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
L’azione di arricchimento non può essere proposta laddove l’attore disponga di una diversa azione fondata sul contratto, sulla legge o su clausole generali e questa sia stata rigettata per prescrizione o per decadenza oppure per mancanza di prova del pregiudizio subito o infine per nullità del contratto derivante da contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.
Boicottaggio e disdetta dal contratto di concessione di vendita
Il fenomeno del boicottaggio consiste in un comportamento contrario ai principi di correttezza professionale di interferenza nelle altrui relazioni commerciali, tramite comportamenti volti all’induzione alla violazione di relazioni commerciali già esistenti o all’impedimento di future relazioni e realizzato attraverso il rifiuto a contrarre (boicottaggio primario), oppure esercitando pressioni su altri imprenditori affinché si astengono da rapporti commerciali con un certo imprenditore, onde estrometterlo dal mercato o ostacolarne l’attività e la permanenza (boicottaggio secondario).
Il contratto di concessione di vendita costituisce un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di contratto normativo, dal quale deriva per il concessionario/distributore il duplice obbligo di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita e di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti che gli vengono forniti alle condizioni fissate nell’accordo iniziale.
Il concessionario, per adempiere ai propri obblighi contrattuali, è tenuto ad effettuare specifici investimenti, mirati all’allestimento di una rete distributiva rispondente alle peculiari esigenze del concedente, nonché idonea a soddisfare pienamente criteri da questo prefissati. È, dunque, connaturale alla stessa struttura e funzione del contratto, che si atteggia come un contratto quadro o di tipo normativo, una certa soggezione del concessionario all’ingerenza, operata dal concedente, sfera decisionale ed organizzativa dei singoli rivenditori, che, in caso di scioglimento del rapporto, comporta la difficoltà per il concessionario stesso di conservare – come parte del suo patrimonio – gli investimenti fatti per promuovere e provvedere alla vendita degli altrui prodotti, ciò ragionevolmente in ragione della durata del contratto e della misura degli impegni pattuiti.
L’istituto della disdetta e l’istituto del recesso sono due strumenti giuridici contrattuali diversi. Il primo consente alle parti di impedire il rinnovo automatico di un contratto, ed è normalmente previsto con apposite clausole nei contratti a termine, unitamente, di regola, alla previsione di un termine congruo di preavviso. Il secondo, invece, in deroga al principio generale secondo cui “il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto se non per reciproco consenso tra le parti o per i motivi stabiliti dalla legge” (art. 1372 c.c.), consente alle parti di sottrarsi unilateralmente al vincolo contrattuale, determinandone lo scioglimento: si tratta di una facoltà che opera o nei casi previsti dalla legge o perché previsto espressamente dalle parti, che lo introducono in apposite clausole contrattuali.
Crisi pandemica e obbligo di rinegoziare il contratto di cessione di quote
Se si ha riguardo alla causa concreta del contratto, cioè alla funzione pratica che le parti hanno effettivamente assegnato al loro accordo, devono rilevare anche i motivi purché questi non siano rimasti nella sfera interna di ciascuna parte ma si siano obiettivizzati nel contratto divenendo interessi che il contratto medesimo è diretto a realizzare. L’assunto della normale irrilevanza dei motivi deve allora essere ridimensionato rispetto al suo originario significato, in quanto l’estraneità dell’interesse alla funzione tipica del negozio non basta a relegarlo tra i semplici motivi: se l’interesse s’inserisce esplicitamente o tacitamente nell’economia dell’affare esso diviene per ciò stesso causa del contratto ed è come tale rilevante.
La pandemia costituisce un evento imprevedibile e ingovernabile che, andando a impattare sull’esecuzione di contratti di durata o a esecuzione differita, anche quando non giunga a rendere in concreto definitivamente impossibile una prestazione ancora da eseguire, può comunque rovesciare il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale. Lo strumento risolutorio di cui all’art. 1467 c.c. risulta inadeguato a dare risposta alle esigenze delle parti e occorre, pertanto, indagare sulla possibilità di intervenire sul contenuto del contratto, che, salvi i casi previsti dalla legge o dalle parti stesse, le vincola irrevocabilmente.
Va individuato nel disposto dell’art. 1374 c.c. lo strumento utile a permettere la conservazione del contratto, a condizioni mutate, rispettando il bilanciamento degli interessi delle parti in linea con i loro originari intenti, ma alla luce delle mutate condizioni. In particolare, poiché ex art. 1374 c.c. il contratto obbliga le parti, oltre che a quanto espressamente previsto nel contratto, anche alle prestazioni che sono dovute secondo buona fede, fra queste deve includersi anche il prestarsi, ove l’equilibrio del sinallagma originariamente trasfuso nel contratto sia aggredito e stravolto dalla pandemia o dalle sue conseguenze, a una rinegoziazione effettiva delle clausole, la quale possa portare a una congrua modificazione del contratto: sì che la parte che si sottragga a una tale rinegoziazione deve dirsi inadempiente. Poiché il bene di cui si tratta è un bene il cui valore si stima non solo nel presente ma anche e soprattutto in prospettiva futura, la pretesa di ottenere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta di un contratto preliminare di cessione di quote, che poggi sulla allegazione delle difficoltà incontrate dalla società bersaglio, richiede una allegazione che sia specifica e conduca alla prova che la società bersaglio versi, per effetto di fatti sopravvenuti e imprevedibili, non già in una situazione di contingente contrazione di fatturati, o altra difficoltà, ma in una situazione che prevedibilmente inibisca le proiezioni verso il futuro che erano formulabili quando l’accordo di acquisto fu concluso.
Patti parasociali: criteri di interpretazione dei contenuti del contratto e limiti all’adempimento dei paciscenti
La domanda di accertamento del significato di un patto parasociale passa attraverso l’individuazione del quadro dei vincoli di fonte negoziale intervenuti e operanti tra le parti e, ancor prima, dell’individuazione dei relativi effetti e dei soggetti vincolati, ottenibile mediante l’interpretazione degli accordi intercorsi, alla luce dei criteri fondamentali, da applicarsi senza necessità di riconoscere alcuna priorità al senso strettamente letterale: (i) dell’esame del dato letterale e della comune intenzione delle parti, nonché della valutazione del comportamento complessivo tenuto dalle medesime anche successivamente alla stipulazione (ex art. 1362 c.c.), fermo restando che oggetto della ricerca ermeneutica è il significato oggettivo del testo, rispetto al quale il senso letterale delle parole è il primo, ma non esclusivo strumento, imponendosi un’indagine comprensiva dell’elemento logico, in un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione che devono fondersi e armonizzarsi; (ii) della valutazione congiunta delle clausole nel loro insieme (art. 1363 c.c.); (iii) della buona fede interpretativa (art. 1366 c.c.); (iv) dell’interpretazione utile (art. 1367 c.c.); nonché avuto, comunque, riguardo alla causa in concreto, intesa come lo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto.
L’onere processuale incombente sulla parte attrice asserita creditrice, nelle azioni contrattuali, ricomprende, oltre all’allegazione dell’inadempimento, anche e ancor prima la prova del titolo negoziale costituente la fonte genetica della pretesa creditoria azionata; prova includente quella della ricorrenza in concreto dei presupposti fattuali che determinano l’insorgenza e l’operatività degli obblighi asseritamente disattesi e la cui assoluzione presuppone, a monte, la puntuale delineazione del contenuto e dei limiti dell’impegno contrattualmente assunto e asseritamente inadempiuto.
In nome del principio di buona fede, in forza del quale ogni contraente è tenuto, nell’esecuzione del contratto, alla salvaguardia dell’interesse perseguito dalla controparte con la pattuizione, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio, l’estensione e il contenuto degli obblighi giuridicamente cogenti del patto parasociale e delle condotte adempitive dell’obbligo assunto con la pattuizione non può condurre il paciscente sino alla violazione di norme di legge imperative o al compimento di atti illeciti, tali da esporlo a responsabilità nei confronti della società: donde, se è pur vero che la natura extrasociale del patto può condurre a incorrere in responsabilità da inadempimento nei confronti delle controparti il contraente che esprima il proprio diritto di voto in maniera divergente dall’impegno assunto, pur nell’ambito di una delibera normativamente conforme e pertanto valida ed efficace erga omnes, non è invece vero l’opposto, non essendo possibile ritenere rimproverabile e fonte di danno sine iure l’omissione, da parte del paciscente, di condotte che, pur necessarie e idonee alla realizzazione dell’interesse perseguito della controparte, implichino la violazione di norme e doveri di legge o statutari.
Sequestro giudiziario e conservativo delle quote sociali
Nel procedimento cautelare proposto ante causam è necessario che il ricorso contenga la precisa indicazione non solo del provvedimento cautelare richiesto, ma anche della causa petendi e del petitum del giudizio di merito, cui è prodromica l’azione cautelare, onde consentire alla controparte di poter adeguatamente difendersi in merito alla cautela invocata ed al giudice di compiere un adeguato accertamento sulla propria competenza a provvedere e sulla strumentalità della misura rispetto al diritto da cautelare.
La concessione di una misura cautelare ante causam va valutata nell’ottica della sua accessorietà rispetto al merito e della sua finalità di garantire la conservazione dell’utilità pratica che la decisione definitiva attribuirà alla parte, previo riconoscimento dei relativi diritti. La futura decisione sul merito costituisce altresì il limite per il contenuto del provvedimento cautelare sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, non potendo esso attribuire alle parti beni che le stesse non potrebbero conseguire per effetto della sentenza.
Il sequestro giudiziario può essere concesso nell’ambito di una controversia sulla proprietà o sul possesso non soltanto quando sia esperita azione di rivendica, ma anche in ipotesi di azioni personali aventi per oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta, in quanto il termine “possesso”, usato dall’art. 670 c.p.c. unitamente a quello di “proprietà”, non va inteso in senso strettamente letterale, rientrando in esso anche la detenzione.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 670 c.p.c., legittimati a chiedere il sequestro giudiziario sono non soltanto i titolari dei diritti reali, ma anche i titolari di diritti personali relativi a beni mobili o immobili, poiché la controversia sulla proprietà o il possesso può sussistere non solo quando siano esperite le tipiche azioni a presidio di tali diritti, ma anche quando si tratti di azioni personali ad effetto la restituzione della cosa da altri detenuta.
Può sussistere il nesso di strumentalità tra il sequestro giudiziario delle quote sociali e l’ azione di merito volta al trasferimento coattivo delle stesse. Infatti, si è in presenza di una controversia sulla proprietà o il possesso ex art. 670 c.p.c., non soltanto quando siano o saranno esperite le caratteristiche azioni di rivendica, di manutenzione o di reintegrazione, ma anche nel caso in cui sia stata proposta o debba proporsi un’azione contrattuale che, se accolta, importi condanna alla restituzione di un bene, come nelle ipotesi di azioni personali aventi ad oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta.
Per la concessione del sequestro giudiziario, non si richiede, come per il sequestro conservativo, che ricorra il pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo sufficiente, ai fini dell’estremo dell’opportunità richiesto dall’art. 670 n. 1 c.p.c., che lo stato di fatto in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso.
Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorchè riportati in apposito documento (cosiddetto “minuta” o “puntuazione”), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori.
La delibera di aumento del capitale, la sottoscrizione e il conferimento
L’art. 2704 c.c. non risulta applicabile al negozio di sottoscrizione della quota di aumento di capitale, assoggettato, invece, alla disciplina speciale dettata per le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione. Invero, ai libri sociali non è applicabile l’art. 2704 c.c. circa la data della scrittura privata, perché le annotazioni eseguite non sono soggette a sottoscrizione e la tenuta dei libri stessi e la loro efficacia probatoria è regolata da norme particolari.
La vicenda modificativa dell’atto costitutivo derivante dall’aumento del capitale sociale a pagamento, si struttura in tre momenti: la deliberazione, la sottoscrizione e il conferimento.
La deliberazione di aumento di capitale non è self executing, non essendo idonea, di per sé, a produrre automaticamente l’effetto modificativo del contratto sociale, ma necessita, ai fini della sua attuazione, del compimento di ulteriori atti anche unilaterali o atipici e, segnatamente, dei negozi di sottoscrizione, quale forma di dichiarazione della volontà di adesione dei soci o, eventualmente, di terzi all’incremento quantitativo del capitale approvato, che non coincide con la manifestazione di voto espressa dal socio durante l’assemblea.
Il negozio di sottoscrizione ha natura consensuale e si perfeziona con lo scambio del consenso fra il socio sottoscrittore, o il terzo, e la società, per il tramite dell’organo amministrativo; quindi, la deliberazione di aumento di capitale ben può configurarsi come una proposta e la sottoscrizione del socio, o del terzo, come una accettazione, secondo lo schema dell’art. 1326 c.c. Del resto, la necessaria contestualità del versamento, prevista dall’art. 2481 bis, co. 4, c.c. non inficia le suesposte considerazioni, dovendosi ritenere che tale contestualità sia stata dettata proprio al fine di assicurare la serietà della manifestazione di volontà del socio, o del terzo (se consentito), e che, comunque, si riferisca alla fase esecutiva del contratto. Mentre in sede di costituzione della società a responsabilità limitata il versamento del venticinque per cento del capitale all’organo amministrativo assurge ad un requisito di perfezionamento del contratto di sottoscrizione delle quote di partecipazione, esso, invece, in sede di aumento di capitale, costituisce una mera esecuzione di tale contratto perfezionatosi con il semplice consenso.
Il conferimento della quota di aumento del capitale sottoscritta rileva quale momento esecutivo del contratto, il cui inadempimento può essere eccepito, al fine di un eventuale giudizio di responsabilità scaturente dalla violazione della regola di comportamento, in ossequio al principio di relatività degli effetti del contratto statuito dall’art. 1372 c.c. soltanto dalle parti contrattuali e non, di certo, dal terzo rispetto alle vicende negoziali.
Responsabilità di amministratori e sindaci ed effetti degli accordi transattivi nei confronti degli altri debitori in solido
Nel caso di esercizio dell’azione di responsabilità nell’esclusivo interesse dei creditori sociali, a norma degli artt. 146 l. fall. e 2476 c.c., in difetto di elementi di valutazione in base ai quali poter fondatamente anticipare il momento di conoscenza da parte dei terzi creditori dell’insolvenza della società, l’exordium prescriptionis o il dies a quo del termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. può essere identificato nella data del deposito della domanda prenotativa di concordato.
L’art. 1304, co. 1, c.c. costituisce una deroga la principio in virtù del quale il contratto produce effetti solo fra le parti e permette che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra il creditore e uno dei debitori solidali, possa avvalersi di quanto concordato all’interno dell’atto di transizione stipulato da altri. Detto atto deve avere ad oggetto l’intero debito. Infatti, il disposto di cui alla norma sopracitata non include la transazione parziale che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne. Di conseguenza, il condebitore solidale estraneo alla transazione risulta titolare di un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo.
In ipotesi in cui vi sia la sopravvenuta transizione della lite, il giudice di merito è chiamato a valutare se la situazione sopravvenuta sia idonea ad eliminare ogni contrasto sull’intero oggetto della lite, anche in riferimento al condebitore solidale rimasto estraneo alla transazione e valutare se quest’ultimo voglia o meno profittare di tale transizione ai sensi dell’art. 1304 c.c.
Nel caso di transazione novativa, che comporti la rideterminazione del quantum e l’estinzione del rapporto debitorio originario, si estendono ai condebitori solidali solo gli effetti vantaggiosi e non anche quelli pregiudizievoli e ciò in quanto transazione e novazione sono fattispecie non assimilabili; di conseguenza, resta applicabile, in tema di transazione novativa, solo l’art. 1304 c.c. e non anche gli artt. 1300 e 1372 c.c., nel senso che detta transazione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare sia in ordine ai rapporti esterni, sia a quelli interni.
Se, invece, la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto esclusivamente la quota del condebitore che l’ha conclusa, occorre distinguere fra l’ipotesi in cui il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito e quella in cui il pagamento sia stato inferiore. Nel primo caso il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; nel secondo il debito residuo degli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Le circostanze che attestano che gli accordi transattivi abbiano avuto ad oggetto l’intera lite ovvero che l’importo transattivamente conseguito dalla creditrice abbia, comunque, soddisfatto integralmente la sua pretesa risarcitoria, con conseguente cessazione della residua materia del contendere e declaratoria di improcedibilità delle domande ancora coltivate nei riguardi dei convenuti rimasti, devono essere provate dalla parte creditrice. Diversamente, si graverebbe il debitore convenuto in giudizio di una prova impossibile da fornire in quanto terzo estraneo agli accordi in questione.
Risoluzione del contratto, inadempimento e buona fede delle parti
La valutazione dell’esecuzione del contratto in termini di correttezza e buona fede deve essere effettuata con riferimento ad entrambe le parti; se l’obbligato alla prestazione non ha reso noti alla controparte i cambiamenti che avrebbero necessariamente inciso sulla possibilità di adempiere l’obbligazione residua a proprio carico, tale comportamento è contrario ai principi di correttezza e buona fede ove direttamente incidente sulla successiva impossibilità di garantire l’adempimento divenuta vera e propria impossibilità di adempiere.
Sull’eccezione di difetto di giurisdizione
Qualora il Tribunale, ab origine adìto, abbia omesso di pronunciarsi espressamente sull’eccezione di difetto di giurisdizione, dichiarando però la propria incompetenza per materia e la suddetta pronuncia non sia stata impugnata con istanza di regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., si ritiene che una siffatta decisione, incontrovertibile ex art. 44 c.p.c. in punto di competenza, contiene in sé, ancor prima, anche la parimenti non più contestabile positiva affermazione della giurisdizione del Giudice Nazionale indicato come competente a conoscere, ratione materiae, della controversia, essendo il thema della giurisdizione assolutamente prioritario e pregiudiziale anche rispetto a quello sulla competenza.