Art. 1375 c.c.
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Contratti preliminari di compravendita di quote funzionalmente collegati e responsabilità del promittente venditore
Nell’ipotesi di pluralità di contratti preliminari di cessione di quote stipulati in vista della realizzazione di un’operazione unitaria, l’inadempimento ingiustificato di uno dei promittenti venditori, qualora determini la caducazione degli altri contratti collegati per scioglimento del vincolo negoziale da parte del promissario acquirente, è fonte di responsabilità contrattuale non solo verso quest’ultimo, ma anche verso gli altri promittenti venditori, in virtù di un accordo tacito sussistente tra i medesimi volto alla vendita congiunta delle rispettive quote.
Carenza dei presupposti per la risoluzione e annullamento del contratto di cessione di quote in caso di violazione delle clausole cd. di “Representations & Warranties”
E’ improponibile la domanda di risoluzione del preliminare (e di conseguenza del contratto definitivo) fondata sul grave inadempimento identificato nella violazione delle clausole di “dichiarazione e garanzia” per falsa dichiarazione-sopravvenienza di debito e falsa dichiarazione in ordine alla situazione di insolvenza della società, nel caso in cui il contratto preliminare preveda il rimedio indennitario in luogo della risoluzione del medesimo. [ LEGGI TUTTO ]
L’attore deve adeguatamente provare la violazione delle norme antitrust per far valere la nullità del contratto
Appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le domande di risarcimento del danno cagionato dalla violazione della normativa
Antitrust dell’Unione Europea e di quella nazionale di cui all’art. 33, comma 2, l. n. 287/90, nonché le domande di risarcimento di natura contrattuale attinenti alla pretesa violazione degli obblighi di buona fede e di protezione dell’altro contraente sul presupposto dell’applicazione di prezzi eccessivi derivanti dall’abuso di posizione dominante e di dipendenza economica (nel caso di specie si trattava di una causa c.d. quasi follow on).
Qualora il materiale probatorio raccolto dall’attore sia insufficiente a provare che lo stesso rivestiva, in un contratto di sublocazione, una qualifica soggettiva tale da esigere nei confronti del monopolista legale l’applicazione della tariffa prevista ex lege, si deve ritenere non provato l’abuso di posizione dominante; pertanto, il monopolista non poteva essere tenuto, nella fase genetica del contratto, ad adottare una condotta imposta dalla legge al fine di stabilire in misura congrua l’entità dei corrispettivi contrattuali.
Natura extracontrattuale dell’abuso di posizione dominante ex art. 102 TFUE ai fini della prescrizione e degli effetti restitutori
La data di decorrenza del termine prescrizionale quinquennale ai sensi dell’art. 2935 c.c. dell’azione per illecito antitrust coincide con il momento in cui il danneggiato abbia avuto sufficiente ed adeguata informazione quanto alla sussistenza dell’illecito lamentato.
I comportamenti tenuti dalla società di gestione di un aeroporto, consistenti nell’applicare canoni di sub-concessione non equi ed eccessivamente onerosi, quanto alla messa a disposizione di spazi operativi (uffici) all’interno dell’aeroporto per lo svolgimento delle attività di handling cargo, sono idonei ad integrare esclusivamente un illecito concorrenziale per violazione dell’art. 102 TFUE (con correlata prescrizione quinquennale) e non anche una responsabilità contrattuale, né una responsabilità precontrattuale da contatto sociale qualificato (con correlata prescrizione decennale). Infatti, l’obbligo di comportamento antidiscriminatorio si pone a monte del contratto e impone un obbligo di tenere una determinata condotta che può collocarsi sia all’interno di un contratto in essere, che all’esterno dello stesso (ad esempio con un obbligo a contrarre). Dunque non si tratta di obblighi derivanti dal contratto, ma nascenti da norme esterne al contratto stesso. Il fatto che l’applicazione di determinate tariffe non discriminatorie incida, poi, sul contratto, non può cambiare la natura dell’illecito. Inoltre, è indubbio che l’illecito è tale in quanto è violata la normativa comunitaria che regola i comportamenti di abuso di posizione dominante, e dunque, come sopra detto, è violata una regola di comportamento che si pone al di fuori del contratto. In altri termini non è violata la norma che si sono date le parti (cioè la regola contrattuale), ma sono violate norme che si pongono a monte del contratto, e, in ipotesi, anche al di fuori di esso. Né può ritenersi che una tale valutazione possa porre dei problemi di compatibilità e di tenuta della normativa rispetto al contesto comunitario, essendoci già stata occasione di rilevare come in materia di disciplina della concorrenza nell’ordinamento italiano, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore della direttiva 2014/104/Ue , il diritto al risarcimento del danno da illecito antitrust risulta garantito, senza che possa ravvisarsi un’impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio, al punto di vanificare il principio di effettività della tutela posto dall’ art. 102 TFUE , dalla previsione di un termine quinquennale di prescrizione, dettato dalla normativa nazionale, che cominci a decorrere dal momento in cui sia stato dato, con pubblicità legale, avvio al procedimento amministrativo dinanzi all’Autorità Garante per l’accertamento dell’abuso di posizione dominante, rispetto ad un’impresa concorrente.
Correttezza e buona fede nel contratto di franchising e affitto di ramo d’azienda
Preteso inadempimento di contratto di distribuzione cinematografica
La tolleranza delle parti rispetto a un inadempimento porta a qualificarlo come non grave e, quindi, non idoneo a determinare la risoluzione del contratto.
Responsabilità precontrattuale, obblighi di correttezza e buona fede in pendenza di trattative finalizzate alla stipulazione di un contratto di cessione di un ramo d’azienda
La pacifica applicazione dell’art. 1223 c.c. anche all’ipotesi di responsabilità da contatto qualificato determina il diritto del danneggiato al ristoro del pregiudizio subito sia nella forma del danno emergente che del lucro cessante. Tuttavia, la peculiarità dell’illecito e le caratteristiche della responsabilità precontrattuale, la quale, nel caso di ingiustificato recesso dalla trattativa, postula il coordinamento tra il principio secondo cui il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e il principio secondo cui le negoziazioni devono svolgersi correttamente, comportano alcune particolarità in tema di determinazione del danno. Infatti, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata lesione dei diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale, mentre essendosi verificata la lesione dell’interesse al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall’affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (c.d. ‘interesse negativo’). L’ammontare del danno va parametrato non già alla conclusione del contratto bensì al c.d. interesse contrattuale negativo che copre sia il danno emergente, ovvero le spese sostenute, che il lucro cessante, da intendersi, però, non come mancato guadagno rispetto al contratto non eseguito ma in riferimento ad altre occasioni di contratto che la parte allega di avere perso.
Responsabilità degli amministratori verso i singoli soci o terzi
L’art. 2476, co. 6, c.c. prevede il diritto al risarcimento dei danni del singolo socio e del terzo direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. La chiave della distinzione di questa azione da quella sociale e dei creditori sociali è da rinvenirsi nell’espressione normativa “direttamente danneggiati”. Infatti, il danno arrecato al patrimonio sociale colpisce i soci e i terzi sempre indirettamente. Con particolare riguardo ai secondi, essi sono danneggiati indirettamente soltanto in quanto il patrimonio sociale non sia sufficiente a soddisfare i loro crediti. L’esempio classico di applicazione dell’art. 2476, co. 6, c.c. ricorre nell’ipotesi in cui gli amministratori redigano o rappresentino una situazione finanziaria alterata o comunque non veritiera sulla base della quale attirano delle banche a finanziare la società o dei risparmiatori a sottoscrivere azioni. In questo caso, non vi è danno per il patrimonio sociale che anzi risulta arricchito dai finanziamenti ottenuti. Pertanto il danno che il terzo subisce non è un riflesso del danno subito dal patrimonio sociale, ma investe immediatamente il loro patrimonio. Il criterio distintivo è proprio quello del danno diretto o indiretto. La giurisprudenza riconosce alla responsabilità individuale (o diretta) natura extracontrattuale, essenzialmente sul rilievo che tra gli amministratori ed il terzo non vi è rapporto contrattuale, sì che la norma sanziona la violazione del generale divieto, posto dall’art. 2043 c.c., di pregiudicare colpevolmente o dolosamente l’altrui sfera patrimoniale.
[Nel caso di specie l’amministratore unico di una società s.r.l., ha presentato e ceduto all’istituto di credito due fatture per crediti vantati nei confronti di una società terza e successivamente ha comunicato, in violazione delle regole di buona fede e correttezza, al debitore ceduto (e non all’istituto di credito) l’avvenuto storno, e quindi, il venir meno del credito. Un atteggiamento improntato a buona fede – ex art. 1375 c.c. – avrebbe imposto all’amministratore di comunicare tempestivamente l’istituto di credito dell’accaduto, anche per metterla in condizione di assumere eventuali conseguenti provvedimenti circa l’affido erogato.]
Condotte integranti concorrenza sleale
L’utilizzo, da parte di un’impresa concorrente e, segnatamente, nella propria pubblicità, di un segno distintivo di cui altra impresa ha diritto all’uso esclusivo come marchio di fatto, può essere inibito, ove tale utilizzo possa determinare confusione nel pubblico, a sensi dell’art. 2, comma 4, c.p.i. (che tutela i segni o marchi di fatto) e dell’art. 2598 c.c.; tale utilizzo dell’altrui segno distintivo, anche di fatto, costituisce infatti non solo “contraffazione di marchio”, ma anche “concorrenza sleale confusoria”, quando si verifica nell’ambito di un rapporto concorrenziale. [ LEGGI TUTTO ]
Inefficacia del term sheet per mancato avveramento di una condizione sospensiva priva di termine specifico
Al fine di valutare secondo i canoni di buona fede oggettiva la correttezza del comportamento di una parte che dichiari di ritenere divenuto inefficace un term sheet per il mancato avveramento di una condizione sospensiva priva di un termine specifico, occorre considerare gli interessi dedotti in contratto per verificare se era ormai decorso un lasso di tempo ragionevole entro il quale secondo il regolamento contrattuale si sarebbe dovuta verificare la condizione sospensiva ovvero se al momento della dichiarazione della parte poteva ancora ritenersi presente l’interesse contrattuale al suo mantenimento.