Art. 1418 c.c.
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Contratto di cessione di partecipazioni sociali e azione di rescissione per lesione
E’ ammessa la possibilità di introdurre una nuova domanda anche in sede della prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. purché la stessa sia fondata sui medesimi fatti costituitivi e si ponga in una situazione di incompatibilità rispetto all’originaria domanda ovvero sia conseguenza della domanda riconvenzionale proposta dalla parte convenuta.
L’azione generale di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. rappresenta un rimedio che la legge predispone a favore di un soggetto che abbia concluso a particolari condizioni un contratto in uno stato di “bisogno”, situazione in cui la persona può essere salvata con una prestazione che non sia di fare o in cui il pericolo riguardi non la sfera personale, ma i beni del contraente.
Secondo l’art. 1448 c.c., l’esperimento dell’azione di rescissione del contratto di acquisto di quote sociali è possibile solo in caso di simultanea concorrenza dei tre requisiti: a) della lesione, b) dello stato di bisogno e c) dell’approfittamento di chi si trova in una situazione di anomala e pregiudizievole alterazione della libertà negoziale, in violazione del principio di solidarietà sancito dalla Costituzione o dei doveri di buona fede e correttezza contrattuale.
Lo stato di bisogno, che deve costituire la spinta psicologica a contrarre, non coincide necessariamente con l’assoluta indigenza o condizione di povertà e nullatenenza, ma può essere rappresentato anche da una semplice, obiettiva difficoltà economica o da una contingente carenza di liquidità o momentanea indisponibilità di denaro che sia risultata determinante della volizione negoziale e della disponibilità ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla propria prestazione.
La nullità del contratto può derivare esclusivamente (i) dalla violazione di norma imperativa (c.d. nullità virtuale) o (ii) dalla assenza, illiceità, impossibilità dell’oggetto o della causa (c.d. nullità strutturale) o, infine, (iii) dalla legge (c.d. nullità testuale). Al contrario, la mera iniquità di un contratto a prestazioni corrispettive non è causa di nullità del contratto, potendo la sproporzione tra prestazioni al più comportare l’annullamento del contratto (se effetto di dolo determinante ex art. 1439 c.c.) o la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.
La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione del contratto ai sensi dell’art. 1438 c.c., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che si verifica quando il fine ultimo perseguito consiste nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei
modi previsti dall’ordinamento.
Non costituisce ipotesi di minaccia di fare valere un diritto prevista dall’art.1438 c.c. la semplice minaccia di adire le vie giudiziarie per ottenere l’annullamento di un contratto di cessione di quote sociali su uno specifico presupposto previsto dalla legge.
Banca Popolare di Vicenza: il divieto di promuovere o proseguire azioni previsto dall’art. 83 t.u.b.
La ratio dell’art. 83 t.u.b. è quella di devolvere al giudice della procedura, oltre alle domande cautelari ed esecutive, l’accertamento delle poste di credito vantate nei confronti della liquidazione nel rispetto della par condicio creditorum.
Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni od impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicchè la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum.
Il discrimen tra procedibilità o meno della domanda passa per l’esame del bene della vita che la parte intende ottenere: se le domande di accertamento o costitutive perseguono scopi diversi ed ultronei rispetto all’accertamento del passivo fallimentare e quindi esorbitanti rispetto ai poteri del giudice della procedura (in via esemplificativa, domande finalizzate a provocare la liberazione della parte in bonis rispetto agli obblighi contrattuali assunti, conservazione del posto di lavoro tramite impugnativa del licenziamento), esse sono procedibili se proposte avanti al giudice ordinario.
Nullità del contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni dell’istituto di credito
Rientrano nella competenza del giudice del concorso, e sono dunque improponibili o improseguibili avanti al giudice ordinario, tutte le domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione. La competenza di tale giudice riguarda, quindi, non solo le domande di condanna e di accertamento di crediti, ma anche tutte le domande che sono comunque funzionali ad incidere sul patrimonio del fallimento, compresi gli accertamenti che costituiscono la premessa di una pretesa nei confronti della massa o che sono diretti a porre in essere il presupposto di una domanda di condanna. Rimangono invece escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo tutte le domande di accertamento o costitutive che non siano dirette a far valere crediti risarcitori o restitutori, ma a conseguire la liberazione da un obbligo assunto verso l’impresa sottoposta a procedura concorsuale. Di conseguenza, sono procedibili o proseguibili davanti al giudice ordinario tutte le domande che non sono funzionali all’accertamento di crediti da vantare verso la procedura, quali ad esempio, quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e proprie della procedura, anche laddove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità, annullabilità ovvero risoluzione del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima.
A fronte di contratti autonomi, affinché possa opinarsi dell’esistenza di un collegamento che attribuisca rilevanza ad una causa concreta esterna ad essi, è sempre necessario che detto collegamento sia propriamente negoziale, ossia risulti voluto e condiviso dalle parti secondo le pattuizioni concretamente intervenute tra di esse. Tale prova può essere data, oltre che in via diretta, anche in ragione di accertamento presuntivo, sulla scorta di indizi gravi, precisi e concordanti. [Nel caso in cui si tratti di un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni della banca, costituiscono indizi idonei a raggiungere tale prova la vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e l’acquisto delle azioni, nonché il fatto che precedentemente al finanziamento l’acquirente non disponesse di depositi sufficienti per l’acquisto azionario].
La norma dell’art. 2358 c.c. ha carattere imperativo, dal momento che il divieto di assistenza finanziaria è volto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori e della società. In particolare, l’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento del capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento e non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari a disposizione della società.
La nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. discende non solo dalla violazione di norme imperative che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ma anche di quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. Di conseguenza, nel caso in cui il collocamento di azioni avvenga in violazione delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c., la sanzione comminabile sarà quella della nullità.
L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. n. 105/1948 e il disposto dell’art. 150 bis TUB portano a ritenere che la disciplina del divieto di assistenza finanziaria è applicabile anche alle banche costituite in forma cooperativa.
Inefficacia del contratto di cessione di ramo d’azienda
La rappresentanza generale dell’amministratore di cui all’art. 2475 bis c.c. trova un limite legale nell’oggetto sociale, espressione delle condivise scelte economiche dei soci nel momento di costituzione della società e quindi dello scopo di lucro perseguito. Pertanto, l’attività dell’amministratore che esorbiti dai limiti indicati e conduca, senza alcuna autorizzazione dei soci, ad una sostanziale modifica dell’oggetto sociale, è un atto gestorio compiuto in assenza totale di poteri.
Un contratto concluso in violazione dei limiti di cui all’art. 2479, comma 2 c.c., in contrasto con i limiti legali del potere di rappresentanza dell’amministratore, deve essere ritenuto non nullo o annullabile, quanto piuttosto improduttivo di effetti rispetto alla parte rappresentata, società e soci, con applicazione quindi dei principi generali di cui all’art. 1398 c.c.
La violazione dei limiti ex art. 2479, comma 2, è opponibile ai terzi, in deroga a quanto stabilito dall’art. 2475 bis comma 2, c.c.
La prova semplificata derivante dalla conformità allo schema ABI riguarda solo le fideiussioni omnibus
L’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale nel provvedimento di Banca d’Italia del 2005 è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, assunti dal debitore principale entro un limite massimo predeterminato, ai sensi dell’art. 1938 c.c. Ciò significa che, qualora taluno si sia obbligato rispetto ad una fideiussione avente i caratteri su esposti, e così qualificata, potrà invocare la natura di prova privilegiata della decisione della Banca d’Italia del 2 maggio 2005 e porla a fondamento della sua invalidità, unitamente alla prova dell’applicazione uniforme. Lo stesso non vale, però, per le fideiussioni specifiche conformi allo schema ABI.
In assenza di alcun provvedimento di natura sanzionatoria emesso dall’Autorità di vigilanza competente (ora l’AGCM) che abbia accertato l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale in violazione dell’art. 2, comma 2, lettera a), della L. n. 287/90 relativa alla formulazione uniforme dei contratti di fideiussione a valere come prova c.d. privilegiata, l’onere probatorio relativo all’esistenza di un’intesa illecita all’epoca della stipula dei contratti di fideiussione grava interamente sulla parte attrice, che ne eccepisce la nullità per asserita violazione della normativa antitrust.
Nullità del contratto di fideiussione per violazione della normativa in materia di concorrenza
La mera presenza nel regolamento contrattuale di una clausola di pagamento a prima richiesta non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come contratto autonomo di garanzia o come fideiussione, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita. Per poter configurare un negozio fideiussorio come contratto autonomo di garanzia, è necessario che dal contratto emerga la volontà dei contraenti di rendere autonoma la garanzia, imponendo al garante non solo di pagare immediatamente, ma anche di non sollevare in modo assoluto – anche in un secondo momento – eccezioni. Sebbene l’inserimento dell’inciso “a semplice richiesta” possa, in astratto, essere un indice della volontà delle parti di elidere il nesso di accessorietà tipico della fideiussione, al fine di operare una più corretta qualificazione giuridica dell’impegno assunto dal garante è necessario esaminare l’intero contesto delle pattuizioni.
In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. n. 287/1990 e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della Banca di Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, co. 11, l. n. 262/2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Il giudice di merito è, quindi, tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento, con cui è stato imposto dall’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario.
Con riferimento alle fideiussioni omnibus, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art. 2 l. n. 287/1990, può configurarsi, oltre al rimedio del risarcimento del danno, anche quello civilistico della nullità speciale, posta – attraverso le previsioni di cui agli artt. 101 TFUE e 2, co. 2, l. 287/1990 – a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell’ordine pubblico economico; dunque, nullità ulteriore a quella che il sistema già conosceva. In tal senso depone la considerazione che siffatta forma di nullità ha una portata più ampia della nullità codicistica (art. 1418 c.c.) e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento – come la “nullità di protezione” nei contratti del consumatore (c.d. secondo contratto) e la nullità nei rapporti tra imprese (c.d. terzo contratto) – in quanto colpisce anche atti, o combinazione di atti avvinti da un nesso funzionale, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale. La ratio di tale speciale regime è tale da ravvisarsi nell’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali ed europee antitrust.
Sul valore probatorio dell’accertamento di infrazioni anticoncorrenziali ad opera delle Autorità di Vigilanza: le fideiussioni omnibus
In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. n. 287/90, e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della Banca di Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, co. 11, della l. n. 262 del 2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale. Pertanto, l’accertamento effettuato dalla Banca d’Italia con il provvedimento amministrativo n. 55 del 2005 riferibile al periodo temporale ottobre 2022 – maggio 2005 esplica elevata attitudine probatoria in ordine all’esistenza dell’intesa anticoncorrenziale rispetto alle fideiussioni omnibus stipulate nel corso della finestra temporale oggetto dell’accertamento.
Quel che assume rilievo, ai fini della nullità delle clausole del contratto di fideiussione omnibus riproducenti lo schema ABI, è che esse costituiscono lo sbocco dell’intesa vietata e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita nei confronti di tutti gli operatori del mercato; ciò che va accertato, pertanto, è la coincidenza delle condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale che possa ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva, per cui il giudice deve valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva.
Con riferimento alle fideiussioni omnibus, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano il frutto o, meglio, l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art. 2 l. n. 287/1990, può configurarsi, oltre al rimedio del risarcimento del danno, anche quello civilistico della nullità speciale, posta – attraverso le previsioni di cui agli artt. 101 del TFUE e all’art. 2, co. 2, della l. 287/90 – a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell’ordine pubblico economico; dunque, nullità ulteriore a quella che il sistema già conosceva. In tal senso depone la considerazione che siffatta forma di nullità ha una portata più ampia della nullità codicistica (art. 1418 c.c.) e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento – come la nullità di protezione nei contratti del consumatore (c.d. secondo contratto), e la nullità nei rapporti tra imprese (c.d. terzo contratto) –, in quanto colpisce anche atti, o combinazione di atti avvinti da un nesso funzionale, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale. La ratio di tale speciale regime è tale da ravvisarsi nell’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali ed europee antitrust. Il contratto tra imprenditore e utente finale costituisce il compimento stesso dell’intesa anticompetitiva tra imprenditori, la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante, mentre ragionando diversamente si giungerebbe a negare l’intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa antitrust, la quale è posta a tutela non solo dell’imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato.
Le clausole del contratto di fideiussione omnibus conformi a quelle di cui allo schema ABI illecito, devono essere dichiarate nulle in virtù al principio di conservazione degli atti negoziali, costituente la regola nell’ordinamento, a meno che non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità, per l’assetto degli interessi divisato, dalla parte del contratto colpita da nullità. Va, per contro, esclusa la nullità totale del contratto a valle, con specifico riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio. Ed invero, anche a prescindere dalle critiche mosse a siffatta impostazione – sotto i diversi profili dell’inconfigurabilità di un collegamento negoziale tra intesa e fideiussione, della non ravvisabilità di un vizio della causa o dell’oggetto, ecc.) –, è proprio la finalità perseguita dalla normativa antitrust ad escludere l’adeguatezza del rimedio in questione.
Il provvedimento n. 55 del 2005, quale prova privilegiata relativa alla sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale, non si estende né alla prova dell’esistenza del nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno patito, né alla prova del danno conseguenza, che resta rimessa all’onere probatorio di parte istante. Se il legislatore avesse voluto estendere l’efficacia della decisione dell’Autorità Garante anche alla prova del nesso di causalità e del danno lo avrebbe fatto espressamente.
Applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche popolari
L’art. 2358 c.c. consente alla società di concedere assistenza finanziaria solo alle condizioni specificate nella norma stessa. Da detta disciplina emerge che l’interesse preminente tutelato dal legislatore è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni. Infatti, la disciplina dell’art. 2358 c.c. non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Così non può dirsi incompatibile con la natura delle società cooperative la necessità di delibera assembleare autorizzativa, posto che se è esclusivo compito degli amministratori l’ammissione di nuovi soci, non è possibile escludere di per ciò stesso la necessità di delibera assembleare per autorizzare gli amministratori a collocare azioni mediante l’operazione di assistenza finanziaria.
L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società. Detto ciò e considerato il divieto di assistenza finanziaria imposto da norma imperativa, deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1 c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto.
Il patto leonino si configura solo se stipulato al momento della costituzione del rapporto sociale
La configurabilità della nullità della previsione che esclude in modo continuato ed assoluto uno dei soci dalla partecipazione alle perdite per violazione del divieto di patto leonino presuppone logicamente che la pattuizione sia adottata al momento della costituzione del rapporto sociale così che al socio sia assicurata l’esenzione per tutta la sua durata dall’alea tipica dell’investimento nella società, in modo tale da alterare stabilmente la ripartizione del rischio di impresa fra i soci. Per poter avere l’effetto di alterare la causa del contratto sociale, la previsione negoziale che realizzi l’effetto vietato dall’art. 2265 c.c. deve essere contenuta nell’atto costitutivo, nello statuto o in un patto parasociale coevo all’acquisto della partecipazione. La pattuizione dell’opzione di vendita successiva, contenuta in un contratto di compravendita fra soci si risolve, invece, in una comune vicenda circolatoria della partecipazione, esterna al contratto sociale e inidonea ad alterarne la causa.
L’andamento negativo dell’attività di impresa e la perdita di valore della partecipazione sociale che ne deriva non rappresentano uno degli avvenimenti straordinari e imprevedibili che, in un contratto con prestazioni corrispettive, può giustificare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.
La compensazione legale è difficilmente configurabile fra obbligazioni reciproche scaturenti dallo stesso contratto e concepite dalle parti per essere ciascuna autonomamente eseguita in funzione della realizzazione degli interessi in concreto perseguiti da ciascuna di esse. In una simile fattispecie, l’effetto estintivo potrebbe prodursi solo a seguito di una compensazione volontaria.
La domanda volta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto che abbia ad oggetto il trasferimento della proprietà di cose determinate non può essere accolta se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge. L’altro presupposto della pronuncia ex art. 2932 c.c. è costituito dalla possibilità giuridica del trasferimento azionario al momento della pronuncia della sentenza, in relazione alla configurabilità o meno nel trasferimento coattivo della titolarità delle azioni di una società fallita del c.d. aliud pro alio rispetto alla prestazione promessa nell’impegno preliminare relativo al trasferimento di azioni di una società ancora in bonis.
Nullità della fideiussione omnibus e competenza
In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. 287/1990, e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il noto provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, co. 11, della l. 262/2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Il giudice del merito è, quindi, tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento, con cui è stato imposto dall’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario.
Quel che assume rilievo, ai fini della nullità delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI è il fatto che costituiscono lo sbocco dell’intesa vietata e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita nei confronti di tutti gli operatori del mercato. Ciò che va accertato, pertanto, è la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale che possa ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva. Il giudice deve dunque valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva.
Con riferimento alla fideiussione omnibus, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano il frutto o, meglio, l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art. 2 l. 287/1990, può configurarsi, oltre al rimedio del risarcimento del danno, anche quello civilistico della nullità speciale, posta – attraverso le disposizioni di cui agli artt. 101 del TFUE e dell’art. 2 l. 287/1990 – a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell’ordine pubblico economico: dunque, nullità ulteriore a quella che il sistema già conosceva. In tal senso depone la considerazione che siffatta forma di nullità ha una portata più ampia sia della nullità codicistica di cui all’art. 1418 c.c. sia delle altre nullità conosciute dall’ordinamento, in quanto colpisce anche atti o combinazione di atti avvinti da un nesso funzionale, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale.
In caso di proposizione di una domanda finalizzata all’accertamento e alla dichiarazione di nullità di una fideiussione riproducente lo schema contrattuale censurato dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 2005, la relativa cognizione è rimessa alla competenza esclusiva della sezione specializzata per le imprese. Tale principio non deve però essere travisato giungendo conseguentemente a ritenere che la competenza spetti inderogabilmente alla sezione specializzata per le imprese ogniqualvolta venga dedotta o allegata la nullità della fideiussione perché conforme allo schema ABI del 2003, censurato dalla Banca d’Italia. Invero, la riserva di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa riguarda, per espressa disposizione della lettera dell’articolo 33 l. 287 del 1990, le sole azioni, non anche le eccezioni. Così, nel risolvere la questione del coordinamento tra la competenza funzionale a conoscere dell’opposizione del decreto ingiuntivo e la competenza del tribunale delle imprese in materia di nullità dei contratti per violazione delle norme antitrust, occorre riconoscere che soltanto se l’opponente formula una vera e propria domanda riconvenzionale di accertamento della nullità della fideiussione omnibus, indicata quale modalità di attuazione dell’intesa anticoncorrenziale, sussiste la competenza sul punto delle sezioni specializzate in materia di impresa.