Art. 1418 c.c.
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Nullità parziale delle fideiussioni omnibus
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287/1990 e 101 del TFUE) sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, co. 3, l. 287/1990 e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Tale ipotesi di nullità riguarda esclusivamente le fideiussioni omnibus, caratterizzate dalla previsione secondo la quale fideiussore garantisce il debitore di una banca per tutte le obbligazioni da questo assunte, comprensive non solo dei debiti esistenti nel momento in cui la garanzia fideiussoria viene prestata, ma anche di quelli che deriveranno in futuro da operazioni, di qualunque natura, intercorrenti tra la banca e il debitore principale, entro un importo massimo garantito, da definire comunque in sede di sottoscrizione del contratto ai fini della sua validità, ai sensi della formulazione vigente dell’art 1938 c.c., predeterminazione necessaria per evitare che il fideiussore resti obbligato oltre a quanto stabilito al momento del rilascio della garanzia. La nullità non può colpire anche le fideiussioni specifiche, riproducenti lo schema ABI relativo alla fideiussione omnibus, ai sensi dell’art. 2 della l. 287/1990 e ciò a prescindere dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005. Con riguardo alle fideiussioni specifiche, è da considerarsi quindi non sufficiente l’allegazione di moduli contenenti le clausole censurate, predisposte da vari istituti di credito, al fine della prova dell’illiceità dell’intesa a monte, in quanto la standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali, né costituisce elemento dirimente per accertare l’accordo illecito tra gli istituti di credito.
Fideiussione omnibus: azione per declaratoria di nullità totale, parziale e onus probandi
Il procedimento di mediazione non costituisce condizione di procedibilità nelle azioni promosse per la declaratoria di nullità delle fideiussioni omnibus, in quanto, da un lato, la fideiussione è un contratto di garanzia tipico non rientrante nei contratti bancari in senso stretto e, dall’altro lato, si tratta di un’azione rientrante nell’alveo della materia antitrust in cui il tribunale è chiamato a verificare l’esistenza di un’intesa illecita a monte, da cui discenda la nullità dei contratti a valle, la cui natura (contratto bancario/finanziario/assicurativo) è quindi irrilevante ai fini dell’accertamento.
Le suddette azioni non possono essere sospese in ragione del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia col quale si chieda di accertare l’inclusione o meno del contratto a valle nella nozione di accordi prevista dall’art. 101, § 1 e 2 del TFUE e, in caso di risposta negativa, se osta all’applicazione del diritto eurounitario un’interpretazione estensiva dell’accordo da parte della giurisprudenza interna, atteso che si tratterebbe di una nullità assoluta, più ampia di quella codicistica ex art. 1418 c.c., a presidio dell’ordine pubblico economico che deve essere assecondata anche nelle ipotesi in cui l’istituto de quo non trovi una specifica disciplina in una previsione normativa.
Il potere officioso di rilievo della nullità ex art. 1421 c.c. non comprende la rilevabilità d’ufficio della nullità parziale del contratto, in mancanza di una domanda ritualmente esperita in tal senso dalla parte in virtù del principio dispositivo che governa il processo ai sensi degli artt. 2907 c.c., 99 e 112 c.p.c. Quando il giudice sia stato investito fin dall’inizio da una domanda di nullità, il rilievo d’ufficio può riguardare anche una causa di nullità diversa da quella fatta valere dall’attore in quanto vi è coincidenza tra petitum (declaratoria di nullità e conseguente inefficacia ab origine dell’atto) e causa petendi (inidoneità del contratto a produrre effetti a causa della nullità). E ciò sempre a condizione che la diversa causa di nullità emerga ex actis e purché si instauri il contraddittorio sul punto ex artt. 183, co. 4, e 101, co. 2, c.p.c. Nel caso di domanda di nullità parziale del contratto è doverosa la rilevazione d’ufficio della nullità totale e, in caso di mancata modifica della domanda inizialmente proposta a seguito della rilevazione d’ufficio, occorrerà rigettare la domanda di nullità parziale, in quanto tra le domande vi è la diversità strutturale del petitum; vale anche l’ipotesi speculare di domanda avente ad oggetto la declaratoria di nullità totale del contratto e di rilevazione d’ufficio della nullità parziale.
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Quanto all’onus probandi, in ipotesi di formulazione di richiesta di declaratoria di nullità totale della fideiussione, l’attore dovrà provare l’essenzialità delle clausole per la manifestazione della volontà delle parti contraenti di concessione del finanziamento, per l’istituto di credito, e di prestazione della garanzia, per il garante.
L’eventuale domanda riconvenzionale di richiesta di pagamento da parte dell’istituto di credito è inammissibile, atteso che le domande devolvibili per ragioni di connessione ex art. 31 e 36 c.p.c. alle sezioni specializzate di impresa ex art. 3, co. 3, d. lgs. 163/2003 sono solo quelle che, per valore e materia, dipendono dal titolo già dedotto in giudizio dall’attore.
Fideiussione omnibus: nullità, onere probatorio e prova privilegiata
Nei giudizi aventi a oggetto controversie antitrust, l’organo giudicante è chiamato a verificare l’esistenza di un’intesa illecita “a monte” che ha come conseguenza la nullità dei contratti “a valle”. Tale accertamento si riflette nei giudizi aventi a oggetto la declaratoria di nullità di una fideiussione in una verifica, in primo luogo, del rapporto personale di garanzia dedotto e, in secondo luogo, del periodo temporale in cui detto rapporto personale di garanzia è stato dedotto con una conseguente gradazione dell’onus probandi.
L’organo giudicante, quanto al rapporto personale di garanzia dedotto, è chiamato a verificare la sussumibilità della fideiussione nello schema delle fideiussioni omnibus, avendo quest’ultima la finalità, specifica e diversa dalla fideiussione civile, di garantire specificatamente il credito bancario in ragione dell’attività di concessione di finanziamenti in via professionale e sistematica agli operatori economici. È, infatti, questa specifica fattispecie contrattuale oggetto di valutazione da parte della Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 2005; quanto al periodo temporale di assunzione del rapporto di garanzia, la data di assunzione dell’impegno di garanzia. E invero, il provvedimento n. 55 del 2005 di Banca d’Italia costituisce prova privilegiata dell’intesa restrittiva della concorrenza solo per gli impegni di garanzia assunti tra il 2002 e il 2005. Ne consegue che, per gli impegni di garanzia assunti successivamente a tale arco temporale, l’attore sarà onerato dell’allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito concorrenziale ex art. 2, co. 2, lett. a), l. 287/1990. Tale onere sarà ancora più stringente laddove la declaratoria di nullità venga invocata per fideiussioni che, in ragione del relativo contenuto, non essendo sussumibili alla figura della fideiussione omnibus, rientrino nella fideiussione civile specifica; in tale ipotesi, l’attore sarà onerato di allegare e dimostrare con autonomi e specifici fatti l’esistenza di una fattispecie di comportamento anticoncorrenziale censurabile.
Cessione di quote e autorizzazione a contrarre con sé stesso
È annullabile il contratto concluso dal rappresentate con sé stesso se la procura, che pure un tale contratto autorizzi, non contenga una determinazione degli elementi negoziali sufficienti a tutelare il rappresentato, e in particolare l’indicazione di un prezzo minimo di vendita che impedisca eventuali abusi da parte del rappresentante.
L’oggetto di un contratto è determinato quando, pur se non indicato con assoluta precisione, sia però chiara la volontà delle parti quale risulta dal contratto, mentre è determinabile quando è individuabile in base a criteri oggettivi o quando le parti abbiano previsto il procedimento mediante il quale pervenire alla determinazione.
Azione di simulazione della cessione di quote sociali esercitata dall’erede: onere della prova
In tema di domanda per l’accertamento della simulazione relativa di una cessione di quote sociali dissimulante una donazione esperita dall’erede-legittimario si applica il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il regime probatorio muta a seconda che il legittimario agisca prospettando la lesione della propria legittima e, quindi, a tutela dell’intangibilità della quota di riserva, nel qual caso assume la veste di terzo rispetto alle parti contraenti del negozio e non incorre nelle limitazioni previste dall’art. 1417 c.c. (ed è quindi ammesso a provare la simulazione per testi e presunzioni senza limiti) o, diversamente, agisca quale erede successore del de cuius facendo valere un diritto di questo in funzione della divisione tra coeredi, nel qual caso non può essere considerato terzo, ma parte del negozio, con conseguente inammissibilità della prova testimoniale e della prova per presunzioni. Allorquando, poi, siano proposte sia la domanda di divisione che quella di simulazione, il regime probatorio dev’essere scisso in relazione a ciascuna azione proposta, con riconoscimento della qualità di terzo esclusivamente in relazione alla tutela specifica della posizione del legittimario.
Quando l’attore che agisce in divisione esperisce domanda di simulazione dell’atto di cessione di quote finalizzato ad incrementare l’entità del patrimonio relitto da dividere assume senz’altro la veste di parte ed essendo, quindi, assoggettato ai limiti probatori di cui all’art. 1417 c.c., non è ammesso a dare prova della simulazione ricorrendo a presunzioni, essendo, invece, richieste idonee produzioni documentali, in mancanza delle quali la prova della simulazione della cessione delle quote non può ritenersi raggiunta.
La circostanza che la partecipazione di un socio diventi di minoranza a seguito del trasferimento delle partecipazioni intervenuto tra gli altri soci non costituisce un fatto illecito idoneo a far sorgere un diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., in particolare nelle ipotesi in cui lo statuto non preveda alcun limite alla circolazione delle quote, le quali, pertanto, sono liberamente trasferibili ai sensi dell’art. 2469 c.c.
Non costituisce causa di nullità del contratto preliminare di cessione di quote della S.r.l. il generico approfittamento di uno stato di debolezza psichica da cui non derivi alcun nocumento patrimoniale
L’azione di annullamento per incapacità naturale prevista dall’art. 1425 e 428 c.p.c. richiede, innanzitutto, la deduzione e prova dell’incapacità di intendere e di volere al momento della conclusione dell’accordo, non essendo sufficiente la mera suggestionabilità o debolezza psichica prospettata, mentre le altre azioni di annullamento per dolo, violenza o errore essenziale richiedono la deduzione e prova della specifica condotta tenuta dal contraente per incidere sulla volontà negoziale dell’altro che la convenuta non ha né descritto né offerto di provare in giudizio.
Laddove l’approfittamento della situazione di debolezza psichica dell’altro contraente integri la fattispecie del reato di circonvenzione d’incapace allora il contratto stipulato è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, quale è l’art. 643 c.p..
Non costituisce un “atto che importi per il soggetto passivo qualsiasi effetto giuridico dannoso” tale da configurare un elemento del reato di circonvenzione d’incapace ex art. 643 c.p. l’esecuzione di un contratto preliminare che prevede un compenso congruo per la cessione di una quota di S.r.l. di una società messa in liquidazione per perdita integrale del capitale sociale in quanto manca l’elemento della pregiudizialità dell’impegno, anche se detto impegno sia stato assunto a causa di un generico approfittamento di una situazione di debolezza psichica.
Contratto di cessione del software e prova dell’adempimento
Cessione d’azienda stipulata dall’amministratore di s.r.l. in violazione dei limiti del suo potere gestorio
La conclusione, da parte dell’amministratore di società a responsabilità limitata, di un contratto di cessione di azienda in violazione dei limiti del suo potere gestorio rileva unicamente sul piano dei rapporti interni e non si traduce in una invalidità del negozio, salvo che si provi che i terzi hanno intenzionalmente agito in danno della società, secondo quanto previsto dall’art. 2475 bis c.c.
Al fine di ottenere una dichiarazione di nullità del contratto di cessione d’azienda per contrarietà a norme imperative ex art. 1418 c.c., non è sufficiente la produzione nel giudizio civile della sentenza pronunciata in sede penale (avente ad oggetto le medesime condotte poste in essere dall’amministratore della società cedente) se questa ha dichiarato estinto il reato contestato per intervenuta prescrizione. Infatti, il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all’accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa dell’intervenuta prescrizione del reato. La pronuncia di non luogo a procedere per estinzione del reato viene ad escludere lo stesso accertamento dell’illecito penale e quindi non prova nulla circa la responsabilità degli imputati per quel fatto. Per queste ragioni, il giudice civile non è vincolato al rispetto della sentenza e deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione, potendo ripartire la responsabilità in modo diverso rispetto a quanto stabilito dal giudice penale.
Nell’ipotesi di vendita di azienda altrui si applicano i principi generali previsti all’art. 1478 c.c., secondo cui tale vendita non è nulla o inefficace, bensì è valida con efficacia obbligatoria (e non traslativa), facendo sorgere in capo al venditore l’obbligo di procurare l’acquisto del bene altrui venduto al compratore. In ogni caso, l’acquirente che era ignaro dell’altruità dell’azienda al momento dell’acquisto può, in conformità con quanto previsto dall’art. 1479 c.c., chiedere la risoluzione del contratto.
Nullità del contratto di fideiussione per violazione della disciplina in tema di intese anticoncorrenziali
L’estensione, per via interpretativa, alle fideiussioni “non omnibus” della nullità delle clausole oggetto del provvedimento n.55/2005 della Banca d’Italia – relativo alle sole fideiussioni omnibus e che, come noto, ha giudicato anticoncorrenziali alcune clausole presenti nello schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) con la circolare serie tecnica n. 20 del 17 giugno 1987 – potrebbe, in ipotesi, cagionare la sola nullità parziale – limitata, appunto, a tali clausole – ma non anche la totale invalidità del negozio fideiussorio.
Il rimedio di cui al primo comma dell’art.1419 c.c. trova applicazione solo laddove l’assetto degli interessi negoziali venga pregiudicato dall’eliminazione di singole clausole nulle, al punto che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.
Legittimazione a impugnare la delibera del CdA e interesse ad agire per l’accertamento della nullità di un contratto
L’affermazione dell’obiettivo di ottenere la rimozione dall’ordinamento di una delibera contraria a norma imperativa equivale all’affermazione di un generico interesse all’attuazione della legge; di contro, l’interesse ad impugnare (nell’accezione di cui agli artt. 1421 c.c. e 100 c.p.c.) richiede la prospettazione dell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica. Non è coerente con il sistema ammettere all’impugnativa chi abbia contribuito direttamente a determinare la causa di nullità (art. 157 c.p.c.), né potrebbe mai riconoscersi un valido interesse ad agire nell’obiettivo di ottenere, con la pronuncia di annullamento, l’eliminazione dal mondo giuridico degli effetti di una condotta già definitivamente accertata, in sede giudiziale erariale, come produttiva di danno, stante la prevalenza dell’interesse pubblicistico al perseguimento della pretesa recuperatoria dell’indebito erariale. Ove il deliberato consiliare, di contenuto autorizzativo, costituisca un atto prodromico alla stipulazione di un successivo contratto – fonte, a sua volta, dell’effettivo spostamento patrimoniale indebito – non può ammettersi l’impugnativa sine die della stessa delibera che ha esaurito i suoi propri effetti con la stipulazione del successivo contratto.