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Art. 1441 c.c.
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31 Maggio 2024

Annullamento del contratto di cessione di quote sociali

Il dolo, quale vizio del consenso e causa di annullamento del contratto, assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà all’esito della quale il contraente si sia determinato a stipulare; ne consegue che l’effetto invalidante dell’errore frutto di dolo è subordinato alla circostanza, della cui prova è onerata la parte che lo deduce, che la volontà negoziale sia stata manifestata in presenza od in costanza di questa falsa rappresentazione.

La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.

Il dolo contrattuale può manifestarsi anche in forma omissiva, laddove si nascondano alla conoscenza del deceptus, con il silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive per la manifestazione del consenso, ma al fine di connotare la reticenza o il silenzio come causa di annullamento del contratto, è necessario che l’inerzia della parte si inserisca in un complessivo comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, alterando la rappresentazione della realtà.

25 Ottobre 2022

Contratto stipulato tra la S.r.l. ed il suo amministratore in conflitto di interessi

Il conflitto di interessi sotteso al contratto di cessione di credito stipulato tra una S.r.l. (cedente) ed il suo amministratore (cessionario) può comportare, ai sensi degli artt. 1394 e 1395 c.c., l’annullamento del contratto stesso; annullamento che solo la società è legittimata a chiedere e che non può in alcun modo pregiudicare il terzo debitore, secondo le previsioni generali degli artt. 1441 e 1445 c.c. Infatti, il debitore ceduto può opporre al cessionario solo le eccezioni opponibili al cedente, ossia quelle dirette contro la validità dell’originario rapporto (nullità – annullabilità) e quelle dirette a far valere l’estinzione del credito (pagamento – prescrizione). Al contrario, non può il debitore ceduto opporre al cessionario le eccezioni che attengono al rapporto di cessione, perché il debitore è rimasto ad essa estraneo e tale rapporto non incide in alcun modo sull’obbligo di adempiere.

24 Febbraio 2021

Annullamento per dolo del contratto di locazione stipulato tra socio e cooperativa

E’ annullabile per vizio del consenso il contratto stipulato tra socio di cooperativa e cooperativa, nell’ambito di un programma regionale di edilizia agevolata, avente ad oggetto la locazione di un immobile espressamente finalizzata ad un successivo riscatto del medesimo, laddove il riscatto non sia effettuabile per via di esplicito divieto dettato dalla legge regionale.

Il dolo contrattuale può manifestarsi anche in forma omissiva, laddove si nascondano alla conoscenza del deceptus, con il silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive per la manifestazione del consenso. Al fine di connotare la reticenza o il silenzio come causa di annullamento del contratto, la giur. richiede che l’inerzia della parte si inserisca in un complessivo comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, alterando la rappresentazione della realtà.

L’annullamento del contratto di locazione, pur operando retroattivamente, non comporta il diritto del conduttore ad ottenere la ripetizione dei canoni medio tempore pagati, giacché l’occupazione dell’immobile comporta la necessità di pagare la relativa indennità. Analogamente, non sono soggette a ripetizione le spese condominiali.

Una cooperativa edilizia che benefici di un finanziamento pubblico per porre in essere un intervento edilizio nell’ambito di un piano di edilizia agevolata, può, coerentemente con i principi mutualistici, porre, in tutto o in parte, il rimborso del finanziamento in capo ai soci che stipulino contratti di godimento degli immobili agevolati e, trovandosi nella fascia superiore di reddito, hanno titolo a riscattare il proprio alloggio; non è invece coerente con il principio mutualistico che il rimborso del finanziamento sia invece posto indifferentemente in capo a tutti i soci, compresi quelli con minore redditi e privi della possibilità di riscattare il proprio alloggio.

30 Ottobre 2020

Compromettibilità in arbitri di controversie concernenti delibere assembleari aventi ad oggetto un contratto preliminare di vendita

Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. La volontà dei soci di devolvere la controversia all’arbitro che deve decidere in via irrituale deve essere espressamente indicata nello statuto. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia. In tema di deliberazioni, il limite dell’indisponibilità dei diritti ricorre nel caso in cui modifiche dell’oggetto sociale prevedano attività illecite o impossibili [nella specie, non può che essere attribuita agli arbitri, la controversia avente ad oggetto la delibera assembleare di approvazione e ratifica dell’operato del c.d.a. in merito alla stipula del contratto preliminare di vendita dell’immobile aziendale, rientrando, tale operazione, in conformità con l’oggetto sociale, nelle scelte gestionali pienamente legittime. In aggiunta, i diritti preordinati a una impugnativa di delibere assembleari aventi ad oggetto la vendita dell’immobile aziendale ad un prezzo inferiore a quello di marcato, sono diritti squisitamente patrimoniali, in quanto tali, disponibili, rispetto ai quali opera pienamente la clausola compromissoria].

Quanto all’impugnativa del contratto preliminare di compravendita, ai sensi dell’art. 1441 c.c. “l’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge”. Pertanto, la condizione essenziale per domandare l’annullamento di un contratto è la qualità di parte di esso. Il singolo socio, non avendo alcun potere rappresentantivo della società, è in difetto di legittimazione attiva: l’unica legittimata a dolersene può essere soltanto la compagine societaria nel cui interesse è stato previsto il preliminare di vendita.

8 Ottobre 2020

Natura, validità ed efficacia dei patti parasociali

I patti parasociali sono contratti atipici aventi carattere complementare e collaterale al contratto di società e sono diretti alla stabilizzazione degli assetti proprietari ovvero alla governance della società, quest’ultima intesa come “complesso delle attività svolte dagli organi societari”. Tali strumenti consentono, infatti, di neutralizzare ovvero temperare il conflitto che spesso sorge tra l’interesse personale del singolo socio, ovvero di gruppi di soci, e quello della società e possono essere stipulati in qualunque forma, tra soci ovvero anche tra soci e terzi estranei alla società.

L’introduzione degli artt. 2341 bis e 2341 ter c.c. ad opera del legislatore della riforma del 2003 ha avuto un duplice effetto: da un lato, quello di conferire dignità giuridica a tali accordi (della cui validità in passato si dubitava), e, dall’altro, di tipizzare taluni patti in funzione della loro idoneità a fornire alla società stabilità negli assetti proprietari o nel governo della società. L’art. 2341 bis c.c. disciplina espressamente i patti aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto (cc.dd. sindacati di voto), quelli volti a limitare il trasferimento delle partecipazioni sociali (cc.dd. sindacati di blocco) e quelli aventi ad oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza anche dominante sulla società (cc.dd. sindacati di concertazione). Tale previsione normativa, lungi dal fornire una definizione di questa espressione dell’autonomia negoziale, è finalizzata a operare una selezione di tali patti (non sono previsti ad esempio i patti di consultazione, né quelli sull’acquisto di azioni) rispetto ai quali vi sia un interesse protetto al contenimento della durata e all’informazione di terzi. Infatti, per le convenzioni parasociali espressamente menzionate nella norma è prevista una durata massima di 5 anni e una particolare forma di pubblicità, ex art 2341 ter c.c. Come sancito dalla legge delega, però, le norme codicistiche che disciplinano i patti parasociali si applicano limitatamente alle s.p.a. e alle società che le controllano.

L’affermarsi di pratiche di affari sempre piu’ evolute, che richiedono versatilità e duttilità, hanno contribuito al ricorso frequente anche a forme atipiche di patti parasociali, cui, pertanto, trova applicazione la disciplina generale in materia di contratti. I patti parasociali (e, in particolare, i cc.dd. sindacati di voto) sono, nella loro composita tipologia (che non consente, pertanto, la riconduzione ad uno schema tipico unitario), accordi atipici, volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti, il loro diritto di voto in assemblea. Il vincolo che discende da tali patti opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell’organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere parasociale e, conseguentemente, l’esclusione della relativa invalidità ipso facto), sicchè non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all’esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare (operando il vincolo obbligatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare in un certo modo), poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto.

Talvolta, tali patti sono confezionati anche secondo lo schema della promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c. e ciò accade, allorquando, ad esempio, uno o più soci si impegnano nei confronti di altri soci o di terzi a ottenere una condotta di uno o più amministratori, spesso determinata per relationem, mediante rinvio alle decisioni assunte in sede parasociale dalla maggioranza dei soci sindacati o dall’organo direttivo del patto.

Ai fini, poi, della configurazione di tali accordi, non è essenziale che tutti i partecipanti rivestano la qualità di socio e che il patto parasociale, in forza del quale taluni soci si impegnano a eseguire prestazioni a beneficio della società, integri la fattispecie del contratto a favore di terzo ai sensi dell’art. 1411 c.c., del quale sono legittimati a pretendere l’adempimento sia la società, quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati a che l’obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte.

Non sussiste alcuna preclusione a che la convenzione parasociale venga sottoscritta oltre che dai soci anche da terzi, purché l’oggetto del patto sia l’assunzione di obbligazioni in relazione all’esercizio dei diritti sociali all’interno della società. Nessuna norma preclude a un terzo di prendere parte al patto parasociale, non essendo previste limitazioni soggettive, atteso che l’intesa deve vertere sostanzialmente sull’esplicazione dei diritti sociali all’interno della compagine societaria interessata.

Nessun precetto obbliga al fatto che la volontà assembleare si formi soltanto nel consesso assembleare (a tal proposito, emblematici sono gli istituti del voto per rappresentanza e per corrispondenza). Sono inderogabili le regole formali del procedimento assembleare (convocazione, votazione, verbalizzazione, ecc.), ma non quelle relative alle modalità di formazione della volontà dei soci. Pertanto, se i criteri di nomina degli amministratori o la formazione della volontà dell’organo consiliare sono prestabiliti all’esterno, rispettivamente, dell’assemblea sociale o del CdA, ciò non assume conseguenze particolari sulla compagine societaria o sull’ordinamento societario, semprechè non si configuri un conflitto con l’interesse sociale.

Il patto parasociale vincola il parasocio ad assumere un certo comportamento all’interno della vita societaria, ma lo stesso non assume un obbligo coercitivo in tal senso. Il socio conserva comunque il diritto alla libera partecipazione alla formazione della volontà assembleare e, quindi, può liberamente decidere di non rispettare il sindacato di voto, né tantomeno l’adempimento può essere suscettibile di esecuzione in forma specifica. Il mancato rispetto del patto parasociale lo esporrà inevitabilmente alle conseguenze dell’inadempimento, ma non condiziona sempre e comunque l’esercizio dei propri diritti sociali. D’altra perte, il patto con cui alcuni soci si accordino per votare in una certa maniera non costituisce di per sé una violazione del principio della libertà di voto poiché i soci sono comunque liberi di disporre del proprio voto, né il patto di per sé pone in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare sotto il profilo di una alterazione della corretta formazione della maggioranza poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto.

[Nella specie, il Tribunale ha dichiarato la nullità parziale di una clausola del patto che stabiliva un quorum di approvazione del 70% in relazione a qualsiasi delibera assembleare per contrarietà al disposto dell’art. 2369, co. 4, c.c. – ai sensi del quale lo statuto non può imporre maggioranze più elevate per l’approvazione del bilancio e per la nomina e revoca delle cariche sociali – senza che ciò determinasse l’estensione di tale nullità parziale alle altre disposizioni del patto parasociale, le quali non erano contrarie a norme imperative o elusive di norme o principi dell’ordinamento].

Perché un soggetto sia considerato amministratore di fatto della società, le attività gestorie dallo stesso poste in essere devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale; sempre che detto esercizio non sia giustificabile in base ad un rapporto lavorativo subordinato e/o autonomo con la società, per cui l’interessato verta in una posizione di subordinazione o soggiaccia a poteri di direttiva dell’amministratore di diritto. Non è richiesta la riferibilità degli atti compiuti all’intero spettro delle attività amministrative, risultando sufficiente un intervento incisivo e non occasionale, che, in quanto idoneo a influenzare le scelte imprenditoriali in settori chiave, sia tale da improntare di sé l’operato complessivo della società. In quest’ottica, pur dovendosi riconoscere che un siffatto condizionamento non può non trasparire nei rapporti con i terzi, deve altresì escludersi la necessità che esso si traduca nel diretto compimento di atti a rilevanza esterna, risultando invece sufficiente che le determinazioni riguardanti la gestione sociale siano riconducibili alla volontà dell’amministratore di fatto, eventualmente anche in concorso con l’amministratore di diritto, il quale non deve necessariamente rivestire il ruolo di mero prestanome.

Ai fini della riduzione ad equità della clausola penale ex art. 1384 c.c., l’apprezzamento dell’eventuale eccessività della penale per inadempimento suppone – si tratti di richiesta di parte o di iniziativa d’ufficio – che le circostanze rilevanti per il giudizio di sproporzione comunque emergano dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, quale risultante ex actis, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio. L’intervento di riduzione ad equità presuppone che la manifesta eccessività della penale sia valutata tenendo conto dell’interesse che il creditore aveva all’adempimento.

23 Giugno 2016

Risoluzione per inadempimento di un contratto di licenza di marchio

Nell’ambito di un contratto di licenza di marchio, la condotta di una parte risulta “abusiva del diritto” allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando [ LEGGI TUTTO ]

4 Aprile 2016

Domanda di accertamento del minor prezzo dovuto ai sensi di un contratto di cessione del pacchetto azionario di controllo per vizio del consenso

La cessione delle azioni di una società di capitali (nella specie di una società di calcio) ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta; sicché [ LEGGI TUTTO ]

12 Maggio 2015

Annullabilità di transazione, risarcibilità ex art. 1440 c.c. e occultamento di documenti

Le false o omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è indispensabile alla controparte per una corretta formazione della sua volontà contrattuale comportano, in capo al contraente mendace o reticente, l’obbligo di risarcire il danno arrecato alla controparte, qualora quest’ultima, laddove fosse stata a conoscenza delle circostanze maliziosamente taciute, avrebbe concluso il contratto a condizioni diverse da quelle raggiunte e salvo che il primo contraente non dimostri che la controparte era comunque a conoscenza dei fatti dallo stesso occultati ovvero anche solo che avrebbe potuto conoscerli, usando la normale diligenza. [ LEGGI TUTTO ]