Art. 1453 c.c.
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Onere della prova nell’azione di risoluzione del contratto di cessione d’azienda
In forza della disciplina della ripartizione degli oneri probatori, il creditore che agisce per la risoluzione o per l’adempimento del contratto può limitarsi a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, e ad allegare l’inadempimento della controparte, spettando al debitore convenuto provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.
Inadempimento in tema di mancato pagamento di royalties nei contratti di produzione artistica
L’esclusione del socio di società cooperativa per gravi inadempienze
Le norme sull’esclusione del socio “per gravi inadempienze” hanno carattere speciale e sostituiscono quelle generali sulla risoluzione per inadempimento dei contratti con prestazioni corrispettive, di cui agli artt. 1453 e segg. c.c., le quali non sono applicabili al contratto di società sia per la mancanza di interessi contrapposti tra il socio e l’ente sociale, sia per le diverse finalità cui esse sono preposte. La risoluzione mette nel nulla il rapporto contrattuale nei confronti della parte inadempiente, con gli effetti restitutori di cui all’art. 1458 c.c., e, nel caso le parti in contratto siano soltanto due, elimina del tutto il rapporto con i reciproci obblighi restitutori delle parti di cui alla citata disposizione di legge. L’esclusione del socio comporta, invece, soltanto lo scioglimento del vincolo sociale limitatamente al socio inadempiente, con il diritto di quest’ultimo esclusivamente ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, ma non anche, di per sé, lo scioglimento della società, neppure nel caso in cui i soci siano soltanto due, perché, in tale ipotesi, la società si scioglie solo se, nel termine di sei mesi, non venga ripristinata la pluralità di soci.
Per quanto riguarda l’ipotesi prevista al 1° co. dell’art. 2533 c.c., il carattere della gravità, in base alla disciplina generale, deve essere vagliato in relazione al peculiare interesse del creditore, quindi al mancato – o particolarmente difficoltoso – raggiungimento dello scopo sociale, trattandosi di condotte che possano avere inciso negativamente sulla situazione economica dell’ente, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini.
Quanto al riparto dell’onus probandi (ex art. 2697 c.c.), nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe su quest’ultima l’onere di provare i fatti posti a base della determina impugnata: la veste processuale di convenuta è infatti puramente formale, non diversamente che in qualsiasi altro giudizio a struttura oppositiva o impugnativa di un provvedimento giudiziale, ovviamente nel solco di quelle che sono le argomentazioni e le eccezioni formulate dal socio (o dai soci, nella specie) opponente.
Risoluzione dell’accordo di coesistenza ed azione di contraffazione di un marchio utilizzato per prodotti di bellezza
La buona fede nella esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo tale da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico. Si ritiene, pertanto, che un compromesso negoziale fondato anche su particolari piccoli impone alle parti di uniformare i propri comportamenti a un livello molto elevato di correttezza, tale da evitare che anche in via indiretta si possano generare o anche solo avallare fraintendimenti ed equivoci. La violazione continuata e duratura delle disposizioni contrattuali, nonché del canone di lealtà costituisce inadempimento contrattuale di indubbia rilevanza e oggettiva gravità, tale, quindi, da giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione. Nei contratti a esecuzione continuata, in conformità della previsione di cui all’art. 1458 c.c., l’efficacia della pronuncia retroagisce al momento della litispendenza, con conseguente cessazione degli effetti contrattuali alla data della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio.
Il risarcimento del danno derivante da inadempimento del contratto di cessione di azienda e la quantificazione del danno emergente
L’inadempimento del contratto di cessione di azienda, dichiarato risolto ex art. 1453 c.c., può far sorgere, in capo alla parte non inadempiente, il diritto al risarcimento del danno secondo la disciplina della responsabilità contrattuale. Per la quantificazione del danno emergente, si può fare riferimento al valore attribuito convenzionalmente dalle parti all’azienda oggetto del contratto.
Collocamento di azioni nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. in tema di assistenza finanziaria
L’art. 2358 c.c., che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società.
Deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere in essa anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Ne consegue che, ove un collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità.
L’interesse preminente tutelato dal legislatore con l’art. 2358 c.c. è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni.
Quanto alle banche costituite in forma cooperativa si rileva che la disciplina che limita le operazioni che possono mettere a rischio il capitale non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Così non può dirsi incompatibile con la natura delle società cooperative la necessità di delibera assembleare autorizzativa ex art. 2358 c.c., posto che se è esclusivo compito degli amministratori l’ammissione di nuovi soci, non è possibile escludere di per ciò stesso la necessità di delibera assembleare per autorizzare gli amministratori a collocare azioni mediante l’operazione di assistenza finanziaria.
L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 – che prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40 % delle riserve legali – e il disposto dell’art. 150 bis t.u.b. – che indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari e non novera tra queste quella di cui all’art. 2358 c.c. – autorizzano a ritenere che sussista anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di proprie azioni secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c.
In presenza di un contratto di cessione di quote sociali, solo la promissaria acquirente può agire contro il socio inadempiente
L’assunzione da parte di un gruppo di soci dell’obbligazione di vendere alla società Alfa “ciascuno per la propria quota di partecipazione e comunque tutti congiuntamente e solidalmente per l’intero” capitale sociale della società Beta comporta una responsabilità congiunta e solidale dei soci verso la promissaria acquirente nell’ipotesi di inadempimento anche di uno solo all’obbligo di cessione della propria quota. Da una tale clausola non rileva però alcun impegno reciproco fra i soci a vendere la propria partecipazione: i soci che hanno effettivamente ceduto la propria quota non possono agire nei confronti del socio che non ha dato seguito alla clausola. Infatti solo la promissaria acquirente ( società Alfa ) può, sulla base di una tale clausola, lamentare la mancata cessione e far valere l’inadempimento ai fini della risoluzione di diritto del contratto. In mancanza di azione, nulla possono lamentare gli altri soci che abbiano regolarmente eseguito la propria prestazione.
Non può essere indice di collusione tra il socio che non ha ceduto la partecipazione e la società ( Alfa ) che non ha agito nei suoi confronti, la cessione a quest’ultima di un bene immobile a prezzo ribassato rispetto a una precedente proposta, atteso che in presenza di altri offerenti in concorso con proposte pressochè identiche, la conclusione dell’affare con la società non è affatto certa e che bisogna verificare in concreto le ragioni che giustificano un ribasso del prezzo concordato.
La dichiarazione della parte non inadempiente di volersi valere della clausola risolutiva espressa non necessita di una procura scritta
L’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale la diffida ad adempiere ha natura negoziale e, in virtù della disciplina della rappresentanza, deve essere sostenuta da una procura rilasciata nella stessa forma della diffida stessa non può estendersi al regime della clausola risolutiva espressa.
Difatti, mediante la diffida ad adempiere la parte adempiente manifesta una volontà ulteriore rispetto al contenuto del contratto nel quale va ad inserire un termine essenziale, in una situazione di già intervenuto inadempimento (cfr. Cass. Sez. Un. n. 14292/2010). Al contrario, in presenza di una clausola risolutiva espressa la parte adempiente gode del diritto potestativo di comunicare alla parte inadempiente di volersi avvalere di detta clausola già inserita nel contratto.
Risoluzione per inadempimento del contratto di cessione d’azienda e ripartizione dell’onere probatorio
In materia di risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento ex art. 1453 c.c., spetta al creditore cedente la dimostrazione della fonte negoziale o legale del proprio credito e, se previsto, del relativo termine di scadenza, nonché l’allegazione dell’inadempimento del cessionario; spetta, invece, al debitore cessionario provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.
Risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di cessione di quote e riduzione della penale secondo equità
Risulta del tutto irrilevante che un socio, che abbia perso la titolarità di una partecipazione in una società, non possa più assolvere all’impegno traslativo delle proprie quote, assunto mediante antecedente contratto preliminare, qualora il promittente alienante abbia precedentemente inviato formale diffida ad adempiere (rimasta senza esito), risultando per l’effetto preclusa al promissario acquirente la successiva domanda di adempimento (ex art. 1453 co. 2° e 3° c.c.). È dunque alla data della domanda giudiziaria che va valutata la sussistenza dell’inadempimento dedotto, e sarà facoltà del Tribunale rilevare una causa estintiva delle obbligazioni dedotte in causa, ove ciò emerga inequivocabilmente dagli atti e costituisca passaggio ineludibile per verificare i presupposti della fondatezza delle domande ed eccezioni di parte.
La lettera dell’art. 1384 c.c. comporta, oltre alla valutazione di eventuali esecuzioni parziali della prestazione, la valutazione dell’interesse che il creditore aveva all’adempimento. Pertanto, se il primario interesse del socio cedente è quello di liberarsi della sua partecipazione nella società, la mancata percezione del controvalore a tale partecipazione, lo terrebbe vincolato al contratto sociale contro la sua volontà, e per tali motivi, non deve ritenersi integrata la manifesta eccessività richiesta dalla norma, che giustificherebbe una diminuzione secondo equità dell’ammontare della penale.