Art. 1456 c.c.
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I presupposti del sequestro giudiziale sulla quota
Osta alla concessione del sequestro giudiziale della quota di una società a responsabilità limitata la mancata prova dell’attivazione della clausola risolutiva espressa contenuta nel relativo contratto preliminare di compravendita di partecipazioni sociali, in quanto tale omissione determina il mancato sorgere dell’obbligo dell’acquirente di restituire la quota compravenduta e, più in generale, sottende l’assenza di alcuna controversia circa la proprietà della suddetta quota.
Ai fini del sequestro giudiziale della quota, sussiste il requisito del periculum qualora (i) la quota corra il rischio di alterazione, distruzione, deterioramento; (ii) vi sia una cattiva gestione del bene da parte del possessore e/o detentore; (iii) si prospetti un pregiudizio tale da compromettere l’esercizio del diritto che sarà accertato al termine della controversia. Contribuisce a escludere il pregiudizio di cui al romanino (iii) la circostanza per cui la quota potenzialmente soggetta a sequestro rappresenti una partecipazione di minoranza che, come tale, non ostacola l’adozione delle delibere assembleari funzionali allo svolgimento delle attività sociali.
ll rigetto della domanda di brevetto rende nullo il contratto di licenza per mancanza di oggetto
Il D.Lgs. n. 168 del 2003, nell’attribuire alle Sezioni specializzate in materia d’impresa la cognizione delle controversie previste dall’art. 3, prevede una competenza per materia avente carattere funzionale e quindi inderogabile. Deve essere dichiarata pertanto inefficace la clausola del contratto di licenza in cui le parti concordano un diverso foro competente.
Il contratto di licenza è nullo, mancando l’oggetto del relativo contratto, ove il titolo di proprietà industriale vantato oggetto di licenza (nella specie, un brevetto) venga rifiutato dall’UIBM per carenza dei requisiti di tutela.
Il fatto che una parti dichiari risolto di diritto il contratto non rende inammissibile l’accertamento successivo della nullità originaria del contratto essendo pacifico che l’adempimento e la risoluzione presuppongono l’esistenza di un atto morfologicamente valido, sicché la nullità può essere sempre oggetto di dichiarazione/accertamento da parte del giudice.
Nel caso in cui il differimento della prima udienza di comparizione da parte del giudice istruttore, ai sensi dell’art. 168-bis, comma 5, c.p.c. intervenga dopo che sia già scaduto il termine di cui all’art. 166 c.p.c. per la costituzione del convenuto, il differimento stesso non determina la rimessione in termini del convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico ai sensi dell’art. 167 c.p.c.
La domanda implicita di risoluzione del contratto
La domanda di risoluzione del contratto sulla base di una clausola risolutiva espressa è diversa da quella di risoluzione del contratto per grave inadempimento: sia quanto al petitum, perché invocando la risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 c.c., si chiede una sentenza costitutiva mentre la domanda di cui all’articolo 1456 c.c. ne postula una dichiarativa; sia relativamente alla causa petendi, perché nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453 c.c., il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa.
In tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche quella di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa, nella quale sia stata proposta soltanto quest’ultima domanda, restando precluso l’esame di quella di risoluzione di diritto, a meno che i fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo.
La volontà di risolvere un contratto di compravendita per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalle parti in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un’altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga la domanda di risoluzione. Ciò in quanto il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale.
L’eccezione di inadempimento nel contratto di cessione di ramo d’azienda
L’avvenuto trasferimento di un ramo d’azienda le cui condizioni igienico sanitarie richieste dalla pubblica amministrazione, non consentano l’effettivo esercizio dell’attività d’impresa, costituisce inadempimento contrattuale grave da parte del cedente tale da giustificare l’eccezione di inadempimento ex art.1460 c.c. da parte del cessionario.
Anche ove rispetto a un eccezione di inadempimento sia invocata la risoluzione di diritto del contratto, ciò non esime il Giudice dal valutare se la parte che intenda avvalersi della clausola di risoluzione sia a sua volta inadempiente, attesa la pregiudizialità logica dell’eccezione di inadempimento rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 cc, dall’accertamento di un inadempimento colpevole.
Sulla clausola risolutiva espressa in un contratto preliminare di cessione di partecipazioni societarie
L’accertamento in ordine all’essenzialità del termine, inserito dalle parti in un contratto preliminare di cessione di partecipazioni societarie, deve essere condotta dal giudice di merito non solo alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti, ma soprattutto alla stregua della natura e dell’oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo.
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento.
Tolleranza dell’inadempimento e clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di distribuzione
La mera tolleranza dell’inadempimento da parte del creditore, sia che si estrinsechi sotto forma di una condotta negativa sia che si manifesti come condotta positiva, non integra una rinuncia tacita ad avvalersi della clausola risolutiva espressa presente nel contratto, ove il medesimo creditore contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti poi la volontà di avvalersi della predetta clausola in caso di protrazione dell’inadempimento. [Nella specie, la Corte ha qualificato come atto di tolleranza e non di rinuncia a far valere la clausola risolutiva espressa – poi successivamente attivata – la condotta del creditore che, pur a fronte del mancato raggiungimento da parte del distributore delle soglie minime di acquisto pattuite per la precedente annualità contrattuale, abbia continuato a dare esecuzione al contratto per due ulteriori mensilità, accettando ed eseguendo nuovi ordini, risolvendo il contratto solo una volta rilevata l’impossibilità per il distributore di raggiungere gli obiettivi minimi di acquisto contrattualmente pattuiti anche per l’anno corrente].
Risoluzione per inadempimento del contratto di associazione in partecipazione
Secondo il dettato dell’art. 2967 c.c., come interpretato dai costanti indirizzi di legittimità, il creditore che agisce al fine di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento deve provare la fonte – negoziale o legale – del proprio diritto, mentre è il debitore che ha l’onere di provare il fatto estintivo – costituito dall’adempimento – del diritto azionato dal creditore.
Esecuzione del contratto di licenza avente ad oggetto l’uso di due brevetti in Italia
Obbligo principale del licenziante è quello di garantire al licenziatario per l’intera durata del contratto la persistente validità dei brevetti in tutti i territori convenuti e quindi il pieno e duraturo godimento dei diritti patrimoniali derivanti dallo sfruttamento dei diritti di privativa industriale.
Onere della prova nell’azione di risoluzione del contratto di cessione d’azienda
In forza della disciplina della ripartizione degli oneri probatori, il creditore che agisce per la risoluzione o per l’adempimento del contratto può limitarsi a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, e ad allegare l’inadempimento della controparte, spettando al debitore convenuto provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.
Consorzio per lo smaltimento di rifiuti e contrapposte domande risolutorie
Quando i contraenti richiedono reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione dello stesso, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono tuttavia, in considerazione delle premesse contrastanti, dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale.