Art. 1965 c.c.
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La validità di un atto transattivo avente ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali
L’accordo transattivo che ha ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali è validamente concluso se, da un lato, ha ad oggetto una res dubia e, cioè, se la controversia verta effettivamente su un rapporto giuridico avente carattere di incertezza e, dall’altro, se nell’intento di far cessare la situazione di dubbio i contraenti si facciano delle concessioni reciproche. Tali concessioni reciproche devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già ai diritti effettivamente spettanti a ciascuna delle parti.
Ai fini di dichiarare la nullità di un atto transattivo è necessario svolgere un’indagine volta a stabilire se l’assetto d’interessi complessivamente programmato dalle parti si ponga in contrasto con norme imperative; solo in tal caso, infatti, sussisterà un divieto di transigere che comporterà il ripristino della situazione allo stato di fatto e di diritto anteriore alla stipulazione del negozio transattivo.
Sull’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall.: responsabilità per aggravamento del dissesto
Il rilascio, previo parere positivo del comitato dei creditori, dell’autorizzazione del giudice delegato all’esperimento dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ex art. 146, co. 2, l.fall., costituisce una condizione dell’azione, la cui sussistenza (che deve ricorrere necessariamente al momento della pronuncia della sentenza) può e deve essere verificata giudizialmente e la cui carenza, in quanto incidente sulla legittimazione processuale del legale rappresentante della società, può essere rilevata dal giudice anche d’ufficio. La conseguenza processuale dell’eventuale difetto di sufficiente specificità dell’autorizzazione è la rimessione della causa per il compimento delle attività di sanatoria di cui all’art. 182, co. 2, c.p.c. (versione precedente) mediante assegnazione di un termine per la produzione dell’autorizzazione.
Sotto il profilo passivo, l’art. 146 l.fall. deve ritenersi norma di natura processuale e meramente ricognitiva della legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità civilistiche, siccome dotata di una formulazione ampia rispetto ai possibili destinatari dell’azione, da leggersi non atomisticamente, bensì alla luce delle disposizioni di natura sostanziale, come estensiva del novero dei soggetti passivi delle iniziative giudiziarie anche ai revisori, nonché a tutti i soggetti che, a vario titolo, abbiano operato per conto della società, o, ancora, abbiano a qualunque titolo concorso nella causazione della deminutio al patrimonio sociale (si pensi alle iniziative giudiziali intraprese da una curatela per ottenere il risarcimento del danno da indebita erogazione di credito); donde la legittimazione del curatore a anche esperire l’azione risarcitoria nei confronti dei professionisti esterni alla compagine, pacifica essendo la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità solidale per un unico fatto dannoso in capo a più soggetti che allo stesso abbiano concorso, indipendentemente dal titolo.
La legittimazione attiva del curatore volta alla tutela risarcitoria in favore dei creditori deve riconoscersi circoscritta alle azioni di responsabilità da danno indiretto, che si alleghi subito dai creditori in conseguenza dell’inosservanza, da parte degli amministratori, degli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale posto a garanzia dei crediti ex art. 2740 c.c., ossia alle azioni tese all’incremento della massa attiva del patrimonio sociale; la legittimazione alle azioni di responsabilità da danno c.d. diretto causalmente connesso alla condotta dolosa o colposa dell’amministratore, invece, permane in capo al singolo creditore anche a seguito della dichiarazione di fallimento. Le azioni di spettanza del curatore devono individuarsi in tutte e solamente quelle che fanno capo alla stessa società fallita, onde la legittimazione del medesimo curatore a esercitarle si ricollega alla sua stessa funzione di gestore del patrimonio del fallito, o in quelle che sono qualificabili come azioni di massa, in quanto destinate a incrementare la massa dei beni sui quali i creditori ammessi al passivo possono soddisfare le proprie ragioni secondo le regole del concorso.
L’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci, esercitata dal curatore del fallimento ex art. 146 l.fall., compendiante in sé le azioni contemplate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. e diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia dei soci e dei creditori sociali, sorge nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente per il soddisfacimento dei creditori della società (il che consente di affermare che il danno da essi subito costituisce la misura del loro interesse ad agire) e si manifesti il decremento patrimoniale costituente il pregiudizio che la società non avrebbe subito in assenza del comportamento illegittimo. Il curatore ha facoltà di scegliere se cumulare le due azioni o formulare separatamente domande risarcitorie, potendo, altresì, scegliere quale delle due azioni esercitare: se l’azione sociale, di natura contrattuale, o quella verso i creditori, di natura extracontrattuale. In ogni caso, tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, connotata da regimi differenti in punto di distribuzione dell’onere della prova, di criteri di determinazione dei danni risarcibili e di regime di decorrenza del termine di prescrizione.
Quanto alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c., in applicazione del principio generale espresso dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, l’esperimento dell’azione da parte dei creditori sociali presuppone la conoscibilità delle condizioni per la relativa proposizione e, dunque, l’emersione dell’incapienza patrimoniale che legittima gli stessi all’esercizio dell’azione di responsabilità. Pertanto, occorre avere riguardo, nell’individuazione del dies a quo, non già del momento in cui i creditori abbiano avuto effettiva conoscenza dell’insufficienza patrimoniale, o di quello in cui si verifica tale insufficienza – che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale (non implicante necessariamente la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale), ma va intesa come eccedenza delle passività sulle attività o insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti della società –, ma al momento, che può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione del fallimento, in cui essi siano stati in grado di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società, ossia al momento in cui l’insufficienza si manifesta, diventando oggettivamente conoscibile da parte dei creditori. In ragione dell’onerosità della prova a carico del curatore avente ad oggetto l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando al convenuto che eccepisca la prescrizione fornire la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza e di esteriorizzazione dello stato di incapienza patrimoniale; prova che, sebbene possa desumersi anche dal bilancio di esercizio, deve pur sempre avere ad oggetto fatti sintomatici di assoluta evidenza, dovendosi escludere, come dies a quo antecedente alla dichiarazione di fallimento, la pubblicazione di un bilancio che, all’epoca della relativa redazione, rendeva l’incapienza patrimoniale, pur effettivamente già sussistente, non oggettivamente percepibile da parte dei terzi, siccome artatamente occultata.
In punto di prescrizione, opera nei confronti del revisore contabile la lex specialis di cui al d.lgs. n. 39/2010, il quale all’art. 15, prevede che l’azione di risarcimento si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato, emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, senza alcuna previsione di cause ad hoc di sospensione del decorso dei termini.
Ai fini dell’individuazione del tempo della prescrizione, rileva l’astratta sussumibilità di un illecito in una fattispecie di reato, a prescindere dall’esito del procedimento penale avviato ai danni del danneggiante, non produttivo dei medesimi effetti di una sentenza di assoluzione con formula piena passata in giudicato. L’applicabilità a un illecito civile del più ampio termine prescrizionale previsto per un corrispondente fatto di reato, ex art. 2947, co. 3, c.c., presuppone la ricorrenza, in concreto, della totale identità e della piena concomitanza tra gli elementi (oggettivo e soggettivo) dell’illecito civile e di quello penale.
Sebbene il dovere di regolare tenuta della contabilità rientri tra i doveri gravanti sugli amministratori, l’erronea redazione di scritture contabili non costituisce, di per sé, una causa potenzialmente efficiente rispetto al danno, giacché la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, ma non li determina, ed è da quegli accadimenti, e non dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità, che deriva la perdita patrimoniale.
A fronte di una diminuzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite, a norma dell’art. 2482 bis c.c., si impone all’organo amministrativo pro tempore in carica la tenuta di una condotta diligente consistente nella convocazione dell’assemblea “senza indugio” – ossia in una data ragionevolmente prossima, tenuto conto delle circostanze del caso concreto –, nella sottoposizione alla stessa di una specifica relazione, nel monitoraggio capillare dell’attività e nella convocazione di un’assemblea, nell’esercizio successivo, per l’approvazione del bilancio e la riduzione del capitale in proporzione alle perdite accertate e medio tempore non riportate sotto la soglia di allarme suindicata. In caso di totale azzeramento del capitale, ricorrono, ai sensi dell’art. 2484, n. 4, c.c., i presupposti per l’insorgenza di un’ulteriore serie di obblighi di condotta, quali, anzitutto, quello negativo di astensione dall’intraprendere nuove operazioni sociali e quello, dal lato attivo, di convocare l’assemblea per deliberare la ricapitalizzazione o lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2485 c.c.: di talché l’inosservanza di tali obblighi integra un inadempimento dell’amministratore agli obblighi sullo stesso incombenti e rende indebita la successiva attività di impresa non meramente liquidatoria, con conseguente responsabilità risarcitoria dell’organo di gestione per tutte le successive perdite subite dalla società e causalmente connesse alla violazione del dovere di astensione, ex art. 2486 c.c. All’indomani del verificarsi della causa di scioglimento, infatti, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, come in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, sicché gli amministratori non possono più utilizzarlo a tale fine, ma sono abilitati a compiere soltanto gli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando agli stessi inibito il compimento di nuovi atti di impresa suscettibili di porre a rischio, da un lato, il diritto dei creditori della società a trovare soddisfacimento sul patrimonio sociale, e, dall’altro, il diritto dei soci a una quota, proporzionale alla partecipazione societaria di ciascuno, del residuo attivo della liquidazione: in particolare, devono essere qualificate come nuove operazioni vietate tutte quelle realizzate dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di mera liquidazione della società.
Posto che la proposizione di richiesta di una procedura concorsuale o di una procedura alternativa da parte di una società in crisi o insolvente, in luogo della dichiarazione di fallimento, è prevista dall’ordinamento, in astratto, come del tutto legittima e, anzi, può rivelarsi in concreto maggiormente opportuna rispetto all’opzione alternativa, gli amministratori e gli organi sociali possono essere ritenuti responsabili per il pagamento di professionisti incaricati di verificare le condizioni di una richiesta concordataria, nonché di redigere le relative relazioni tecniche, soltanto laddove l’istanza di concordato risulti essere stata proposta abusivamente, ossia appaia, secondo un giudizio ex ante, irrazionale e arbitraria, e dunque del tutto infondata. L’arbitrarietà della domanda di concordato dev’essere, tuttavia, appurata non sulla scorta della semplice declaratoria di inammissibilità, né tantomeno in ragione dell’intervenuto rigetto da parte del tribunale, occorrendo invero un quid pluris, in specie rappresentato dalla conoscenza ex ante dell’insussistenza dei presupposti per adire la procedura – conoscenza che vale a connotare in termini di abuso del diritto o, quantomeno, a qualificare alla stregua di atto di mala gestio e di negligenza dell’organo gestorio una domanda altrimenti qualificabile in termini di attività lecita e, anzi, economicamente conveniente sotto il profilo dell’ottica aziendalistica.
Con riguardo alla disamina della ragionevolezza, con riferimento alla data della proposizione, della scelta di percorrere in prima battuta l’opzione del deposito di una domanda di concordato, quale strumento di risoluzione della crisi dagli stessi appena rilevata, il giudizio che il tribunale è chiamato a compiere, entro il perimetro del sindacato giudiziale consentito in sede concorsuale nel merito della fattibilità della proposta di concordato, non escluso dall’attestazione del professionista, e al contempo necessario ai fini della declaratoria di ammissibilità così come dell’omologazione della proposta, verte, anzitutto, sulla legittimità della stessa, intesa come non incompatibilità con le norme ordinamentali, e si estende, altresì, alla verifica della non manifesta inettitudine del piano sotto il profilo economico, intesa come effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato, inserita nel quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur parziale, dei creditori, fermo il controllo della completezza e della correttezza dei dati informativi forniti ai creditori ai fini della consapevole espressione del voto; riservata essendo, per contro, al comitato dei creditori la valutazione della fattibilità del medesimo piano sotto il profilo strettamente economico.
Effetti della transazione sull’azione volta a far valere la simulazione di una cessione di quote
La transazione – quale strumento negoziale di prevenzione di una lite – è destinata, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto e il deducibile.
Responsabilità da contatto sociale qualificato dell’amministratore di fatto
La figura dell’amministratore di fatto ricorre qualora un soggetto, non formalmente investito della carica, si ingerisca nell’amministrazione, esercitando (di fatto) i poteri inerenti alla gestione della società. In particolare, costituiscono requisiti per l’integrazione di tale figura da parte dei soggetti che non rivestono formalmente il ruolo di amministratori (cc.dd. amministratori di diritto): (i) l’assenza di una valida ed efficace investitura assembleare; (ii) l’esercizio significativo e continuativo dei poteri tipici riservati agli amministratori; (iv) l’autonomia decisionale; (v) l’accettazione della prestazione resa dall’amministratore di fatto da parte della società, cioè dell’amministratore di diritto.
La responsabilità sociale degli amministratori di diritto verso la società amministrata è responsabilità contrattuale da inadempimento; la responsabilità degli amministratori di fatto va qualificata, invece, come da contatto sociale qualificato. Da un lato, infatti, il contatto sociale qualificato idoneo a costituire ex art 1173 c.c. fonte di obbligazioni opera anche in ambito societario. Dall’altro lato, nella figura dell’amministratore di fatto si rinvengono tutti gli elementi della fattispecie di contatto sociale qualificato o relazione privilegiata generativa di obbligazioni, ossia: (i) l’assenza del contratto (nomina ed accettazione o loro invalidità); (ii) l’esecuzione in via di fatto di atti gestori in favore della società – imputati alla società (artt. 2384, 2475, co. 2, c.c.) – propri dell’amministratore; (iii) l’accettazione di tale situazione di fatto, cioè della prestazione, da parte della società, ovvero dell’amministratore di diritto.
In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi — e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi — esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice e alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza dell’indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore.
Ove la transazione stipulata tra il creditore e uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Sul debito dell’amministratore convenuto in caso di transazione
In caso di debito solidale derivante da azione di responsabilità, il debito dell’amministratore che non abbia preso parte alla transazione deve essere ridotto per i seguenti importi: in misura pari al pagamento previsto in transazione, se uguale o superiore a quello corrispondente alla quota di corresponsabilità attribuibile al debitore che la ha sottoscritta; oppure, in misura pari alla quota di corresponsabilità del debitore che ha transatto, se il pagamento concordato è inferiore a quello ad essa corrispondente.
Il consenso tacito nell’accordo transattivo
Per il negozio transattivo è richiesta la forma scritta ad substantiam dell’atto pubblico o della scrittura privata solo nel caso in cui la materia transatta riguardi uno dei rapporti considerati dall’art. 1350 n.12 c.c. In tutti gli altri casi la forma scritta è richiesta solo ad probationem e può anche non rivestire la forma completa del contratto, potendo quindi essere costituito da scritti separati, non contestuali e anche successivi al tempo in cui il negozio transattivo fu effettivamente posto in essere. Nei casi in cui la transazione necessiti di forma scritta soltanto ad probationem, la prova del contratto può anche essere fornita da un documento sottoscritto da una sola parte, ove risulti il consenso, anche solo tacito, purché univoco, dell’altra parte manifestato mediante attuazione integrale dei relativi patti.
Domanda di adempimento dell’accordo transattivo stipulato tra la cooperativa e l’amministratore; tardiva costituzione del convenuto contumace
Il convenuto costituitosi in giudizio tardivamente entra nel processo allo stato in cui si trova, non potendo compiere atti processuali che siano ormai preclusi alle parti, salva la prerogativa di cui all’art. 293, ult. co., c.p.c. Pertanto, se costituito dopo la scadenza dei termini previsti all’art. 183, co. 6, c.p.c., lo stesso non può modificare il tema né allegatorio né probatorio cristallizzato durante la contumacia, potendo articolare solo mere difese su questioni rilevabili anche d’ufficio.
Interpretazione dell’oggetto del negozio transattivo
L ‘oggetto del negozio transattivo va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti bensì all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni, giacché la transazione – quale strumento negoziale di prevenzione di liti – è destinata, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto ed il deducibile.
In tema di emissione di azioni la transazione conclusa tra la società emittente e l’azionista danneggiato può liberare il revisore
La responsabilità degli amministratori della società emittente e dei revisori legali dei conti per il danno derivato, ai soci ed ai terzi, dall’inadempimento ai loro doveri è solidale. Nel particolare caso in cui l’incarico di revisione sia stato svolto da una società, anche la responsabilità delle persone fisiche rileva, essendo queste tenute in solido – con la medesima – al risarcimento verso la società revisionata ed i terzi danneggiati, sebbene «entro i limiti del proprio contributo effettivo al danno cagionato».
Nel caso di azione dell’investitore volta ad ottenere il risarcimento del danno per perdita dell’investimento compiuto confidando nella veridicità dei dati risultanti da bilancio, la transazione intervenuta tra l’investitore medesimo e la società emittente determina potenzialmente l’estinzione del debito risarcitorio gravante sui revisori, potendo questi approfittare, in via potestativa, dell’effetto liberatorio di cui all’art. 1304 comma 1 c.c. Infatti, la transazione relativa all’intero debito solidale – e non solo alla quota del singolo – estende i suoi effetti anche ai condebitori che siano rimasti estranei all’accordo e che abbiano dichiarato di approfittare dell’effetto liberatorio; gli unici presupposti per l’esercizio del diritto sono, dunque, il vincolo solidale dal lato passivo dell’obbligazione e la natura «tombale» della transazione, che deve necessariamente avere ad oggetto l’intero debito.
Validità dell’accordo transattivo
Per la validità causale e oggettiva della transazione non è indispensabile l’esteriorizzazione delle contrapposte pretese né che siano state usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, essendo necessario e sufficiente che sia comunque espressa la volontà di porre fine ad ogni ulteriore contesa.
I requisiti dell’aliquid datum aliquid retentum non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti bensì alle rispettive pretese e contestazioni, rendendo non necessaria l’esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni.