Art. 1972 c.c.
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La validità di un atto transattivo avente ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali
L’accordo transattivo che ha ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali è validamente concluso se, da un lato, ha ad oggetto una res dubia e, cioè, se la controversia verta effettivamente su un rapporto giuridico avente carattere di incertezza e, dall’altro, se nell’intento di far cessare la situazione di dubbio i contraenti si facciano delle concessioni reciproche. Tali concessioni reciproche devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già ai diritti effettivamente spettanti a ciascuna delle parti.
Ai fini di dichiarare la nullità di un atto transattivo è necessario svolgere un’indagine volta a stabilire se l’assetto d’interessi complessivamente programmato dalle parti si ponga in contrasto con norme imperative; solo in tal caso, infatti, sussisterà un divieto di transigere che comporterà il ripristino della situazione allo stato di fatto e di diritto anteriore alla stipulazione del negozio transattivo.
Sull’invalidità della transazione avente ad oggetto l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore
La transazione stipulata tra la curatela di una società fallita e l’ex amministratore avente ad oggetto la rinuncia all’azione di responsabilità da parte della prima nei confronti del secondo non può essere invalidata per erronea conoscenza della situazione patrimoniale dell’ex amministratore stesso, essendo ciò irrilevante ai fini della validità dell’accordo.
L.c.a. delle banche venete: regime di invalidità ex art. 2358 c.c. ed interesse ad agire
La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art. 1343 c.c., non contenendo l’art. 2358 c.c. un divieto assoluto ascrivibile alla materia delle norme imperative, ma “solo” una norma inderogabile, la cui violazione genera nullità del contratto e semplicemente la annullabilità, ai sensi dell’art. 1972, co. 2 c.c., della transazione che sia fatta su di esso, a beneficio del solo contraente ignaro della causa di nullità.
Sussiste interesse attoreo e procedibilità della domanda – non essendo l’interesse soddisfacibile in sede fallimentare – quando la parte attrice agisce per ottenere l’accertamento della nullità del finanziamento funzionalmente collegato alle operazioni di commercializzazione di azioni, finalizzata ad ottenere accertamento di non debenza da parte sua dell’adempimento contrattuale, ossia del pagamento delle rate di rimborso.
La validità dell’atto di transazione e la corresponsabilità dei soci in solido con gli amministratori
La sussistenza di illeciti ascritti ad una delle parti in un rapporto transattivo non risulterebbe di per sé sufficiente ad invalidare l’atto di transazione, la cui finalità precipua è anzi quella di prevenire e risolvere ab origine le contestazioni che a vario titolo potrebbero essere sollevate nei confronti delle parti della transazione stessa. Argomentando diversamente, verrebbe frustrata quella che è la causa tipica – e quindi l’interesse in concreto – la cui realizzazione è perseguita dal contratto transattivo; tanto che è lo stesso art.2393 c.c. a prevedere la possibilità di transigere anche con riferimento all’azione di responsabilità avverso l’amministratore. L’unico limite che incontra la transazione, nella verifica intorno alla sua validità, è quello dell’art. 1972 c.c. ove afferma, al primo comma, la nullità della transazione relativa a un contratto illecito, e al secondo comma la sua annullabilità per la mancata conoscenza della nullità del titolo oggetto della transazione. La transazione, infatti, risulta prodromica rispetto al più generale intento – consueto nella prassi della successione delle cariche direttive societarie – di chiudere definitivamente, oltre che bonariamente, qualsiasi rapporto preesistente e/o pendente tra la società e chi all’interno di essa aveva precedentemente ricoperto un incarico direttivo. Definizione che, come espresso dagli atti di transazione, si estende sia alle pendenti pretese di credito sia a qualsiasi potenziale futura pretesa od azione esperibile dalla società nei confronti dei precedenti amministratori.
La rinuncia all’azione di responsabilità contro uno degli amministratori determina ipso iure la rinunzia ad ogni diritto ed azione anche nei confronti dei soci, quali asseriti condebitori solidali degli amministratori (ex art.2476 comma 7 c.c.), ciò in virtù dei principi dell’ordinamento che regolano l’istituto giuridico della solidarietà e, quindi, sulla base degli argomenti che si traggono pure dall’art.1301 c.c.
Responsabilità concorsuale nella violazione di diritti d’autore su forme del design industriale: il caso Moon Boot
Non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occorre rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva può darsi rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto. In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale (l’applicazione di tali criteri ha determinato il Tribunale a riconoscere nel modelli dei Moon Boots la qualità di opera del design industriale ai sensi del n. 10 del comma 1 dell’art. 2 l.d.a., evidenziando a tale fine tutti gli elementi e le circostanze che testimoniavano già all’epoca la considerazione che tale prodotto e le sue peculiari forme avevano assunto da parte di ambienti culturali ed artistici nonché del mondo del design).
La sostanziale identità delle forme non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che i prodotti contestati presentino una colorazione particolare o marchi differenti.
In tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria
La fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata, ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.a. (nel caso di specie, ha ritenuto il Collegio che l’uso del glitter sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma).
La ripresa pedissequa dei medesimi modelli per i quali era operativo l’impegno di astensione assunto in occasione di previo accordo transattivo consente di individuare la specifica violazione degli impegni medesimi, non aggirabili mediante la mera attribuzione ai modelli da ultimo contestati di un codice identificativo diverso da quelli indicati nell’accordo stesso anche in considerazione degli obblighi di buona fede connaturati all’ambito contrattuale di riferimento.
L’obbligo di non contestazione della tutela autorale spettante all’opera dell’ingegno assunto dalle parti contrattualmente è del tutto legittimo, risultando detta rinuncia pertinente a diritti disponibili delle parti.
Per dichiarare anche la sussistenza dell’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. a titolo di concorrenza sleale dipendente dalla violazione di diritti di proprietà intellettuale occorre che sussistano spazi di effettiva autonomia rispetto alle condotte di plagio/contraffazione che ne consentono un’autonoma individuazione. Diversamente essa deve ritenersi assorbita.
Ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto deve risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fini della consumazione dell’illecito (nel caso di specie – e fatte salve le domande di manleva interne svolte dalle convenute tra loro – sono state ritenute responsabili in concorso tra loro la società gerente il sito e-commerce e le attività di promozione, commercializzazione e logistica afferenti alla vendita dei prodotti in contraffazione; la società produttrice dei prodotti contestati e licenziataria del marchio su di essi apposti; la società licenziante dei marchi stessi e corresponsabile dell’ideazione, scelta ed approvazione dei prodotti contestati; la società venditrice dei prodotti)
L’esaurimento del diritto di distribuzione non si verifica ove il primo atto di trasferimento dell’opera originale o di sue copie sia avvenuto senza il consenso del titolare del diritto.
Quanto alla sussistenza di un pregiudizio in danno del titolare dell’opera oggetto di plagio/contraffazione, l’esistenza in sé di tale pregiudizio è connessa alla natura assoluta dei diritti spettanti all’autore ed ai suoi aventi causa sul piano delle facoltà di utilizzazione economica di essa.
Se è vero che il criterio della reversione degli utili non è stato esteso dal legislatore alla disciplina del diritto d’autore nei termini in cui esso è stato trasfuso nel terzo comma dell’art. 125 c.p.i., tuttavia il secondo comma dell’art. 158 l.d.a. prevede espressamente che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione dei diritti. Tale parametro, fondato sul beneficio tratto dall’attività vietata, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto assurge infatti ad utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando il danno sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo.
Per la natura contrattuale dell’arbitrato irrituale, l’eccezione di compromesso non dà luogo a una questione di competenza bensì di proponibilità della domanda, risultando la relativa eccezione di natura sostanziale, attinente al merito. Anche in esito alla novella del 2006, che ha inserito e disciplinato l’istituto dell’arbitrato irrituale all’interno del codice di rito all’art. 808 ter c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che la clausola di arbitrato irrituale non comporti l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere della domanda, ma soltanto, qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione, l’improponibilità della medesima.
Controversia in materia di contratto di concessione per radiodiffusione
Impugnazione della delibera di approvazione del bilancio e competenza arbitrale
Le controversie insorte tra società e soci relative alla validità della delibera assembleare di approvazione del bilancio, in presenza di clausola compromissoria statutaria, sono rimesse alla competenza arbitrale, attesa la non coincidenza [ LEGGI TUTTO ]