Art. 2043 c.c.
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Risarcimento del danno da abusiva diffusione al pubblico di fonogrammi musicali
Il pagamento dei compensi risultanti da un tariffario per l’utilizzo di fonogrammi è un’obbligazione di valuta su cui non può essere riconosciuta la rivalutazione poichè il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva solo qualora, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.
Per il principio di vicinanza alla prova, è onere del soggetto che avrebbe illecitamente duplicato fonogrammi dimostrare di aver comunicato/diffuso al pubblico i brani musicali traendoli da registrazioni dei fonogrammi lecitamente acquisite, trattandosi di circostanza che rientra nella sua esclusiva disponibilità materiale e giuridica.
Diffondere i brani musicali al pubblico e non pagare i diritti al produttore di fonogrammi integra un illecito diverso e ulteriore rispetto al duplicare illecitamente i fonogrammi, in quanto la legittimità della diffusione non implica altresì il diritto a duplicare i fonogrammi, presupponendo al contrario l’utilizzo di fonogrammi lecitamente acquisiti nel rispetto dei diritti del produttore.
Il risarcimento del danno patrimoniale in forma forfettaria quale prezzo del consenso presuppone sostanzialmente una liquidazione in via equitativa rispetto a cui il parametro offerto dalla convenzione fra SCF ed Asso-Intrattenimento rappresenta un chiaro indice di adeguatezza, essendo stata sottoscritta da un’associazione rappresentativa del settore, ragion per cui quanto in essa previsto può utilmente essere utilizzato al fine di quantificare in via equitativa il prezzo del consenso richiedibile agli utilizzatori. Infatti, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, il soggetto leso può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente chiesto per dare il suo consenso alla duplicazione dei brani musicali a scopo commerciale, e tale prezzo può equitativamente essere desunto dalla convenzione SCF-Asso-Intrattenimento.
Con riferimento al diritto all’immagine ed alla reputazione commerciale di SCF, si ritiene che allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito – come danno conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire. In ordine alla prova di tale danno, la stessa deve sempre essere fornita dal soggetto leso in quanto danno-conseguenza e non danno-evento. Non è dunque sufficiente affermare genericamente l’esistenza di un danno non patrimoniale allegando apoditticamente che tale danno sorgerebbe in automatico dal mancato pagamento dei diritti da parte della convenuta, condotta che lederebbe l’immagine di SCF presso i propri soci e presso gli altri utilizzatori di fonogrammi.
Responsabilità degli amministratori per mancata rilevazione di una causa di scioglimento
L’obbligo imposto agli amministratori dall’art 2485 c.c. è quello di accertare “senza indugio” il verificarsi della causa di scioglimento e procedere agli adempimenti conseguenti: pertanto, gli amministratori sono obbligati, da un lato, ad operare con diligenza nell’acquisire le informative sull’andamento della società utili al rilievo della causa di scioglimento e, dall’altro, una volta acquisita in forza di detti elementi la consapevolezza dell’azzeramento del capitale, a convocare, tempestivamente e senza temporeggiamenti, l’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione ovvero in difetto constare lo scioglimento. Inoltre, anche se solitamente la perdita emerge in sede di predisposizione della bozza di bilancio, qualora la situazione della società presenti conclamate criticità, vi è onere per gli amministratori di monitorare detta situazione anche sotto il profilo patrimoniale senza attendere il momento deputato per legge alla predisposizione della bozza di bilancio.
Sussiste la responsabilità degli amministratori là dove, anziché rilevare tempestivamente la causa di scioglimento o chiedere per tempo la ricostituzione del capitale, hanno posticipato la approvazione del bilancio, in spregio alla normativa di cui agli artt. 2482 bis c.c., 2485 c.c. e 2486 c.c., sostituendo illecitamente gli ineludibili “passaggi” imposti da detta normativa con l’assunzione di nuovo rischio di impresa.
La stipula di un contratto di acquisto di azienda costituisce operazione non conservativa e pertanto, nell’ipotesi di perdita del capitale sociale, operazione condotta in violazione del disposto dell’art 2486 c.c., norma che, in situazione di perdita di capitale, limita i poteri dell’organo gestorio e non gli consente l’assunzione di nuovo rischio d’impresa, indipendentemente dagli effetti nell’immediato, se del caso anche positivi, che da tale assunzione di rischio possano discendere.
Del danno derivato dalla indebita prosecuzione dell’attività caratteristica rispondono tutti i componenti del consiglio di amministrazione, a prescindere dalle deleghe attribuite ai singoli amministratori, poiché l’onere di rilevare la perdita del capitale sociale e di porre in essere gli adempimenti conseguenti, nonché di evitare attività gestionali non conservative grava su tutti gli amministratori, non essendo materia suscettibile di deleghe.
Il caso Mediaset-Vivendi: condotta volta ad impedire l’avveramento di una condizione sospensiva, cui è subordinata l’esecuzione di un contratto, e conseguenze risarcitorie
In presenza di un contratto di trasferimento di partecipazioni societarie, la cui esecuzione sia subordinata alla condizione sospensiva del rilascio da parte delle Autorità preposte delle autorizzazioni necessarie all’attuazione dell’operazione secondo le disposizioni normative nazionali e sovranazionali, specialmente di carattere antitrust, costituisce inadempimento contrattuale la condotta della parte che consapevolmente non attui le obbligazioni assunte per favorire il rilascio, da parte della Commissione Europea, della dichiarazione di compatibilità dell’accordo col mercato comune. Il mancato avveramento di tale condizione sospensiva per effetto di siffatte condotte obbliga la parte inadempiente al risarcimento del danno. [ LEGGI TUTTO ]
Regime di responsabilità in caso di azione nei confronti di amministratori e terzi
In caso di azione di responsabilità proposta dal curatore del fallimento ex art. 146 L.F. nei confronti degli amministratori della società e di azione ex artt. 2043 e/o 2049 c.c. nei confronti di terzi che hanno concorso nella causazione del danno alla società ed ai creditori sociali, sussiste – nei rapporti esterni – la responsabilità solidale di tutti i predetti soggetti indipendentemente dalla natura della responsabilità dedotta.
Responsabilità dell’amministratore di S.r.l. ex art. 2476: l’inadempimento ingiustificato non è necessariamente sinonimo di dolosa preordinazione del debitore
Nell’ipotesi di inadempimento non giustificato da parte di una società a responsabilità limitata, ai fini dell’applicazione dell’art. 2476 comma 7 c.c. – quale specificazione dell’art. 2043 c.c. – è necessario allegare la prova della dolosa preordinazione da parte dell’amministratore della società inadempiente perché si configurino gli estremi dell’insolvenza fraudolenta: tale fattispecie richiede che il soggetto agente abbia contratto un’obbligazione con il proposito di non adempierla, dissimulando il proprio stato di insolvenza. A tal scopo, nel caso di specie non è stato sufficiente, per il creditore, allegare le perdite accumulate ed il conseguente fallimento della società debitrice, perché non si può ritenere che l’amministratore intendesse impedire l’operatività dell’azienda sin dalla stipula del contratto oggetto di contestazione. Non è possibile affermare, in termini generali, che dietro ad ogni inadempimento ingiustificato debba necessariamente diagnosticarsi la presenza di una dolosa preordinazione da parte del debitore.
In caso di azione di responsabilità ex art. 2476 comma 6 c.c., va dimostrato il nesso causale tra il danno lamentato da parte attrice e le condotte tenute da parte dell’amministratore della società debitrice, allegando la prova dell’azzeramento del patrimonio, quale elemento rilevante ai fini della responsabilità. Nel caso in esame, è stato ritenuto non sufficiente allegare le violazioni degli artt. 2482-ter, 2484, 2485 e 2486 c.c., oltre che del mancato deposito dei bilanci e delle relazioni previste per legge, successive alla stipulazione del contratto fonte dell’inadempimento, in quanto non vi è alcuna prova del fatto che, in caso di tempestiva liquidazione della società, il credito sarebbe stato soddisfatto. L’aggravamento delle perdite non è stato sufficiente a dimostrare il nesso causale con il danno lamentato da parte attrice, posto che tale condotta non ha reso il patrimonio insufficiente al soddisfacimento del credito, essendo questo già insufficiente prima che si consumassero le violazioni allegate.
Questioni in materia di contratto di edizione musicale
Onere probatorio ai fini dell’accertamento dell’esistenza del conflitto di interessi e dell’illecito di concorrenza sleale
L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore, ai fini dell’annullabilità del contratto, non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore di contrapposte parti contrattuali, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società ed il suo amministratore. [ LEGGI TUTTO ]
Vendita di capi di abbigliamento riproducenti l’altrui opera dell’ingegno
La creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione. Il concetto giuridico di creatività non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività.
L’apposizione di una macchia di colore su una fotografia di una nota attrice integra un sufficiente atto creativo, idoneo a essere tutelato ai sensi della normativa in materia.
La violazione del diritto d’autore costituisce “un danno ingiusto” ex art. 2043 cc, per il cui risarcimento occorre la sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla norma, tra cui vi è il compimento di un “fatto doloso o colposo”.
Concorrenza sleale e pubblicità ingannevole
Tra la disciplina della concorrenza sleale e quella dell’illecito civile intercede un rapporto di specie a genere, che consente di colmare le lacune della prima mediante il ricorso alle regole generali proprie della seconda.
La specificità delle norme repressive dell’illecito concorrenziale non si coglie a livello di determinazione del danno per equivalente, nel senso, cioè, che la distorsione del mercato sia ex se produttiva di un pregiudizio risarcibile, ma, semmai, sotto il profilo dell’elettiva tecnica di repressione adoperata, basata principalmente sull’inibitoria e sugli altri provvedimenti idonei ad eliminare gli effetti della violazione (art. 2599 c.c.), lì dove, invece, è solo l’illecito civile ad essere strutturato in funzione prettamente risarcitoria. E difatti, colpa e danno, coessenziali al paradigma dell’art. 2043 c.c., sono soltanto eventuali, invece, nelle ipotesi di concorrenza sleale previste dall’art. 2598 c.c., e non a caso sono localizzati in una norma a parte sul risarcimento (l’art. 2600 c.c.), che presuppone, al pari dell’art. 2043 c.c., la colpa o il dolo, un danno effettivo (a differenza di quanto richiesto per la tutela inibitoria, accordabile anche per i danni futuri o potenziali) e il nesso causale tra questo e la condotta dei soggetto agente.
Il danno cagionato dal compimento di atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, richiede di essere autonomamente provato secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito. Ne consegue che solo la dimostrazione dell’esistenza del danno consente il ricorso al criterio equitativo ai fini della liquidazione. A non diverse conclusioni si giunge allorquando il danno in questione rivesta natura non patrimoniale e venga particolarmente in questione la lesione dell’immagine commerciale della vittima dell’illecito: un tale danno, difatti, non costituendo un mero danno-evento, deve essere sempre oggetto di allegazione e di prova.
Secondo concorde dottrina e giurisprudenza, l’art. 2105 c.c. riguarda comportamenti che solo il lavoratore subordinato in quanto tale può tenere e presuppone, pertanto, la costanza del rapporto di subordinazione. Ne deriva che non può configurarsi l’illecito previsto da detta norma qualora i comportamenti denunziati siano successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.
Inoltre, al fine di estendere il divieto di concorrenza al periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, è necessaria la stipula di un patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c. In assenza di un patto di non concorrenza non può ritenersi di per sé illegittima la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro.
L’interruzione dei rapporti commerciali a seguito di inadempimento contrattuale non costituisce atto di concorrenza sleale
In materia Antitrust, qualora nel contratto di fornitura di merci sia espressamente stabilito il divieto di trasferire il bene ad un Paese diverso da quello di destinazione, il solo fatto dell’avvenuto sdoganamento e trasferimento del medesimo presso i magazzini di altro Paese, seppur in via transitoria, implica violazione delle obbligazioni contrattuali e consente alla società fornitrice l’interruzione dei rapporti commerciali, non rilevando tale condotta come rifiuto a contrarre sanzionabile quale atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.