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Art. 2043 c.c.
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29 Dicembre 2021

Mutamento della domanda e principio iura novit curia

Le responsabilità contrattuale ed extracontrattuale hanno causa petendi e petitum diversi, giacché entrambe hanno riguardo a diritti eterodeterminati, per l’individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente tra loro e identificano due distinte identità.

Il principio iura novit curia comporta la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Esso tuttavia non consente al giudice di pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.

1 Dicembre 2021

Responsabilità degli amministratori di s.p.a.: transazione parziale, amministratore di fatto e notificazione al convenuto residente all’estero

In tema di obbligazioni solidali, al fine di determinare il debito che residua a carico degli altri debitori in solido a seguito della transazione conclusa da uno di essi nei limiti della propria quota, occorre verificare se la somma pagata sia pari o superiore alla quota di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore, perché, nel primo caso, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, mentre, nel secondo caso, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto.

È infondata la domanda risarcitoria proposta dalla società che si fonda sulla prospettazione della responsabilità solidale di un individuo considerato amministratore di fatto o quale terzo concorrente ai sensi dell’art. 2043 c.c., qualora, a seguito dell’intervenuta transazione in corso di giudizio conclusa dalla società con gli altri convenuti coobbligati solidali membri del consiglio di amministrazione, la società non riduca nei confronti del convenuto coobbligato solidale rimasto estraneo alla transazione la pretesa risarcitoria in considerazione della porzione di debito già estinta dagli altri debitori in solido, né produca in giudizio il testo delle transazioni concluse con gli altri convenuti, rendendo impossibile l’accertamento in giudizio dell’esistenza e consistenza del danno residuo che è uno degli elementi costitutivi della responsabilità.

Ai fini del riconoscimento della qualità di amministratore di fatto è necessario che il soggetto privo di formale investitura si sia ingerito nella gestione della società, compiendo atti tipici di esercizio della funzione gestoria o impartendo direttive che ne condizionino le scelte operative con sistematicità, continuità e completezza, non potendo la gestione di fatto esaurirsi in episodi sporadici ed occasionali.

È infondata la domanda risarcitoria svolta della società attrice nei confronti del convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c. per aver indotto, in qualità di terzo, l’organo amministrativo della società a compiere una complessa operazione di compravendita di quote e sottoscrizione di azioni dell’aumento di capitale e, in ultima analisi, quale conferente in natura di assets senza i presidi di cui agli art. 2342 ss. c.c., ovvero di una relazione giurata di un perito nominato dal tribunale, escogitata a suo esclusivo vantaggio in danno della società, in assenza di specifica allegazione da parte della società attrice delle modalità con cui il convenuto avrebbe “indotto” l’organo amministrativo a compiere l’operazione illecita se con l’inganno o con la minaccia, né avendo la società attrice spiegato come l’inganno o la minaccia avrebbero potuto influenzare in misura determinante un esperto del settore, tanto da indurlo ad agire in danno della società.

È da ritenersi valida la notificazione eseguita nei confronti del convenuto avente la residenza anagrafica all’estero presso la sua dimora in Italia, ai sensi dell’art. 142, co. 1, c.p.c., interpretato in modo tale da privilegiare il collegamento più rilevante del destinatario con il luogo sito in Italia in base al principio di effettività della notificazione, non trovando applicazione diretta per i soggetti residenti all’estero l’ordine preferenziale dei luoghi di consegna stabilito dall’art. 139 c.p.c.

30 Novembre 2021

Principi sostanziali e processuali in materia di responsabilità di amministratori e sindaci

Il potere-dovere di controllo dei sindaci non è limitato alla sola verifica del rispetto della legge e dello statuto, ma si estende alla valutazione dei principi di corretta amministrazione, compresa la verifica che il procedimento decisionale che ha determinato l’organo amministrativo nella scelta di gestione sia completo e corredato di tutte le informazioni del caso concernenti i potenziali rischi nel contesto della situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società. Inoltre, il dovere di vigilanza e controllo dei sindaci, pur non potendo travalicare sulla opportunità e la convenienza delle scelte gestionali, il cui apprezzamento è riservato agli amministratori, si estende alla legittimità sostanziale dell’attività sociale.

I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c.: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.

Affinché si configuri la violazione del dovere di vigilanza da parte dell’organo di controllo, non è necessaria l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, eventualmente anche mediante la denuncia al tribunale di cui all’art. 2409 c.c.

Il vincolo solidale ex art. 2055 c.c. tra sindaci e amministratori trova il proprio presupposto nell’unicità dell’evento dannoso, ancorché determinato dall’azione/omissione di più soggetti e indipendentemente dalla colpa (intesa come apporto causale) di ciascun partecipe, la quale rileva unicamente nei rapporti interni per l’eventuale regresso. Infatti, il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso) e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato.

Per dimostrare l’esistenza di una supersocietà di fatto che abbia eterodiretto altre società, abusando del proprio potere direzionale e di controllo, non è sufficiente la prova della sussistenza di un operare concertato e finalizzato, né della circostanza che i componenti di una stessa famiglia si siano alternati nei ruoli gestori in più società, connotazioni di per sé non anomale in un contesto di gruppo societario di fatto.

È improduttiva di effetti giuridici, perché tardiva, la costituzione in giudizio del convenuto che, a seguito di interruzione del processo e successiva riassunzione, si sia costituito con il deposito della comparsa conclusionale: con la rimessione della causa al collegio ex art. 190 c.p.c. solo le parti già ritualmente costituite possono interloquire con gli scritti conclusivi e non sono ammissibili ulteriori attività processuali; ne consegue che, espletate le attività ex art. 190 c.p.c., la parte contumace non può più costituirsi in giudizio e l’eventuale costituzione nei termini assegnati per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche va dichiarata inammissibile, con conseguente preclusione dell’esame dell’atto eventualmente depositato.

4 Novembre 2021

Qualificazione di una monografia quale opera derivata, collettiva, in comunione o indipendente

Per opera derivata s’intende quella in relazione alla quale autore è colui che provveda all’elaborazione creativa dell’opera preesistente. Il relativo onere probatorio è, ovviamente, posto a carico di chi intenda far valere i relativi diritti. Il risultato dell’elaborazione di un’opera esistente può essere oggetto di utilizzo (come la pubblicazione) da parte di terzi a condizione, però, che ricorra il preventivo consenso dell’autore dell’opera base. In altre parole, lo sfruttamento economico dell’opera derivata è sempre subordinato al veto dell’autore di quella di base.

Perchè sia integrata un’opera collettiva, occorre provare tra gli altri l’esistenza di un indice, uno schema editoriale, una precisa ripartizione dei lavori, un titolo.

L’opera in comunione ai sensi dell’art. 10 l.d.a. è tale se realizzata “insieme” da più autori (che non abbiano un ruolo di mera revisione di parti di testo da altri elaborate).

La realizzazione di un’opera indipendente richiede l’effettuazione di una serie di interventi così significativi e profondi da dare, conclusivamente, alla luce una vera e propria opera individuale. Tali non sono correzioni assolutamente minime, formali, stilistiche e, di certo, non sostanziali.

16 Ottobre 2021

La responsabilità della società di revisione

Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, “i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri”.

La norma, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e la dottrina prevalente, delinea nei confronti dei soci e dei terzi estranei al contratto di revisione, la concorrente responsabilità di natura aquiliana della società di revisione per i danni cagionati alla loro sfera giuridica dall’inosservanza dei doveri che regolano l’attività di revisione, in modo tale da assicurare l’affidabilità delle informazioni dirette al pubblico, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società contenute nei bilanci sottoposti al suo giudizio.

La responsabilità in questione, ancorché solidale con quella degli amministratori, è una responsabilità civile per fatto proprio colposo o doloso dei revisori commesso nell’esercizio dell’attività di controllo contabile loro demandato e come tale presuppone, in estrema sintesi, l’accertamento:

– dell’inadempimento dei revisori ai loro doveri attraverso la violazione delle regole tecniche e dei principi internazionali di revisione oltre che delle comuni regole di diligenza e prudenza nell’accertamento della corrispondenza alla realtà della rappresentazione contabile dei fatti di gestione;

– del pregiudizio economico arrecato alla sfera giuridica del terzo o del socio, dal conseguente mancato rilievo della discrepanza tra la situazione patrimoniale, economica e finanziaria reale della società e quella rappresentata nei bilanci attestati senza rilievi;

– del nesso causale tra la condotta illecita ed il pregiudizio economico, in modo tale che quest’ultimo costituisca, ai sensi dell’art. 1223 c.c., conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento da parte dei revisori ai loro doveri.

Affinché il danno lamentato dal terzo o dal socio sia imputabile alla società di revisione è indispensabile, dunque, la prova del nesso eziologico tra la violazione dei doveri di controllo ed il pregiudizio economico lamentato.

27 Settembre 2021

Domanda risarcitoria nei confronti dei revisori e nesso causale tra attività di revisione e danno lamentato

Qualunque sia la connotazione della responsabilità invocata in un’azione risarcitoria, la struttura della fattispecie postula che tra la condotta inadempiente o contra ius addebitata al danneggiante e il danno patito dal danneggiato sussista un nesso di causalità, seppur ‘adeguata’ e di carattere probabilistico, tale per cui sia allegato e dimostrato dall’attore (su cui incombono entrambi detti oneri) che la condotta commissiva ed omissiva del convenuto sia stata, se non la causa determinante, quantomeno una concausa efficacemente concorrente della lesione subita nella propria sfera giuridico-economia. Sicché, nel caso di azione risarcitoria promossa nei confronti dei revisori legali da parte di terzi entrati in contatto con la società revisionata, a prescindere che la domanda sia proposta ex art. 15 d.lgs. n. 39/2010 ovvero ex art. 2043 c.c., grava sull’attore fornire la prova che l’inadempimento dei revisori agli obblighi su di essi incombenti si sia posto in diretta relazione causale con il danno lamentato [nel caso di specie il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria nei confronti del revisore non ravvisando la prova che l’asserito inadempimento del revisore si sia posto in diretta relazione causale con la decisione dell’attrice di acquistare azioni della società revisionata, poi messa in l.c.a.].

27 Settembre 2021

Legittimazione attiva e passiva nel giudizio ex art. 2598 cc e azione residuale ex art. 2043 cc

Presupposto per l’applicazione dell’art. 2598 cc (e , di conseguenza, del connesso regime probatorio più vantaggioso dato dall’applicazione della presunzione di colpevolezza di cui all’art 2600 ultimo comma) è l’esistenza di un “rapporto di concorrenzialità” fra l’autore e  la vittima dell’illecito.  Ai fini della sussistenza della condotta anticoncorrenziale è necessario che sia il soggetto attivo sia quello passivo delle condotte censurate siano imprenditori, talché la legittimazione attiva e passiva nel relativo giudizio ex art. 2598 è riconosciuta solo a chi possiede tale qualità. 

Il soggetto non imprenditore può comunque esser chiamato a rispondere dei danni conseguenti a comportamenti anticoncorrenziali a svantaggio dell’imprenditore, ma solo qualora tali condotte integrino un illecito ex art 2043, con la conseguenza che il regime di responsabilità applicabile a tali ipotesi è quello ordinario. 

 

Responsabilità dell’amministratore: necessaria allegazione per la risarcibilità del danno non patrimoniale e rilevanza probatoria del patteggiamento

Anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, il danno non patrimoniale, costituendo anch’esso un danno conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo mai considerarsi in re ipsa. L’art. 2059 c.c. opera esclusivamente sul piano della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale, ai soli casi previsti dalla legge, lasciando integri gli elementi della fattispecie costitutiva dell’illecito ex art. 2043 c.c. Occorre distinguere l’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale, che si ricava dalla individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela, dalla verifica giudiziale di tale pregiudizio, che deve compiersi attraverso gli ordinari criteri di accertamento dei fatti previsti dall’ordinamento giuridico.

La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova per il giudice civile, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Infatti, la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice dall’onere della prova.

Violazione del diritto d’autore: onere della prova

L’art. 158 l.d.a. rappresenta, secondo dominante orientamento giurisprudenziale, una specificazione dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione delle medesime regole probatorie previste in materia di responsabilità extracontrattuale e, in particolare, la dimostrazione della sussistenza dei presupposti soggettivi del diritto d’autore stesso, ossia della presenza di una situazione soggettiva protetta in base alla legge sul diritto d’autore, del fatto illecito, del danno conseguenza e del nesso di causalità.

Sebbene la giurisprudenza talvolta reputi sufficiente una prova per presunzioni della sussistenza degli elementi integranti l’illecito in questione, giungendo anche a configurare un danno in re ipsa ogni qualvolta sia violato il diritto d’autore, in ogni caso, è indispensabile la prova certa del fatto illecito generatore del danno, il cui onus (probandi appunto) incombe evidentemente sul danneggiato.

E’ inammissibile l’istanza di esibizione documentale dei libri contabili avanzata dall’attrice ai sensi dell’art. 210 c.p.c., in quanto, in difetto di idonee allegazioni, in fatto, circa l’esistenza del denunciato illecito, nonché della assoluta indispensabilità dell’incombente istruttorio de quo, il relativo ordine, ove disposto, avrebbe finalità meramente esplorative e sostanzialmente sostitutive dell’onere assertivo e probatorio incombente sulla parte istante.

Perchè l’art. 2055 c.c. possa trovare concreta applicazione in un ambito così specifico qual è quello del diritto d’autore e delle sue peculiari violazioni, con conseguente estensione della responsabilità anche a soggetti diversi da chi ha materialmente compiuto la condotta illecita, occorre, in ogni caso, un “contributo rilevante all’illecito”. Inoltre, sempre in applicazione dei generali principi in tema di responsabilità aquiliana, occorre la prova dell’elemento soggettivo, in termini di dolo o di colpa.

La prova dell’elemento soggettivo in termini di dolo o colpa, indispensabile ai fini dell’applicazione dell’art. 158 l.d.a., è stata  positivamente ravvisata dalla giurisprudenza ogni qualvolta sia violato lo standard di diligenza richiesto allo specifico operatore del settore.