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Art. 2272 c.c.
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14 Novembre 2024

Società di persone: usufrutto di quote, venir meno della pluralità dei soci e applicazione analogica dell’art. 2395 cod. civ.

Non v’è incompatibilità fra accettazione con beneficio di inventario e subentro dell’erede nella qualità di socio illimitatamente responsabile in società di persone, e ciò sia nel caso in cui l’acquisto della qualità di socio sia intervenuto in forza di una clausola statutaria c.d. di continuazione automatica, sia nel caso in cui il subentro fosse stato convenuto tra gli eredi e i soci superstiti con un accordo ad hoc.

L’usufrutto della quota di una società di persone è ammissibile, poiché la quota può formare oggetto di diritti ai sensi dell’art. 810 cod. civ. e rientrare nel concetto di beni mobili immateriali ex art. 812, comma 3, cod. civ., ma la qualità di socio non viene però acquistata dall’usufruttuario ma permane in capo al nudo proprietario. L’assetto dei poteri, diritti e facoltà attribuibili al titolare di un diritto parziario quale l’usufruttuario non discende dalla qualificazione giuridica eventualmente utilizzata dalle parti per individuare il titolare del diritto costituito o trasferito, ma discende dalla tipologia di diritto sulla quota che è stato in concreto costituito o traferito; in altri termini, la volontà delle parti non può spingersi sino a modificare il contenuto del diritto reale di usufrutto in senso contrario a quanto voluto dal legislatore e a far acquisire la qualità di socio a colui che non può essere considerato tale per scelta dell’ordinamento.

Nelle società di persone l’incarico gestorio può essere affidato ad un soggetto non socio.

La mancata ricostituzione entro sei mesi della pluralità dei soci non determina affatto la cessazione o l’estinzione automatica della società di persone, ma soltanto che la stessa si scioglie ex lege ai sensi dell’art. 2272, n. 4, cod. civ. e entra automaticamente in stato di liquidazione; il socio rimasto, dopo aver lasciato trascorrere il semestre, potrebbe proseguire l’attività d’impresa utilizzando il complesso dei beni sociali senza dare inizio alla fase di liquidazione e pertanto la società potrebbe proseguire con un unico socio, sostanzialmente come una società unipersonale a tempo indeterminato assoggettata ad un particolare regime di responsabilità per le obbligazioni sociali, esposta al rischio di liquidazione derivanti da azioni esecutive promosse dal creditore particolare del socio superstite e di cancellazione d’ufficio da parte del registro delle imprese.

L’art. 3 d.p.r. 247/2004 non prevede affatto un’estinzione automatica della società di persone al verificarsi di una causa di scioglimento, ma soltanto che, laddove risulti una di tali cause, l’ufficio del registro delle imprese debba invitare gli amministratori a comunicare l’avvenuto scioglimento o a fornire elementi idonei a dimostrare la persistenza dell’attività sociale e che, decorso un termine di trenta (in caso di ricevimento dell’invito) o quarantacinque giorni (in caso di irreperibilità) senza che gli amministratori abbiano fornito riscontro, l’ufficio provveda a trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale, il quale potrà nominare d’ufficio il liquidatore oppure – se non lo ritiene necessario – trasmettere direttamente gli atti al giudice del registro per l’adozione delle iniziative necessarie a disporre la cancellazione della società.

Il socio che richiede il pagamento della sua parte degli utili è tenuto a dimostrare l’avvenuta approvazione del rendiconto annuale da parte dei soci, in quanto presupposto indefettibile per la distribuzione degli utili.

L’art. 2395 cod. civ. si ritiene applicabile analogicamente anche alle società di persone così come il principio – affermato sulla base del dato testuale di tale disposizione, che peraltro risponde ai principi generali sul risarcimento del danno aquiliano – secondo cui l’azione individuale del socio non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 cod. civ. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.

L’applicazione analogica dell’art. 2395 cod. civ. anche alle società di persone si giustifica sulla base del fatto che ancorché prive di personalità giuridica, dette società costituiscono comunque un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei singoli soci.

Nell’ambito delle azioni di risarcimento per danno da c.d. mancata distribuzione degli utili occorre distinguere: (i) l’ipotesi in cui il socio lamenti la mancata approvazione del rendiconto – unico adempimento necessario nelle società di persone, a differenza delle società di capitali ove invece è necessaria una delibera che ne autorizzi la distribuzione – nella quale si è al cospetto di un danno che può essere fatto valere ai sensi dell’art. 2395 cod. civ. e che può essere riconosciuto sempre a condizione che sia dimostrata la presenza di utili distribuibili; (ii) l’ipotesi in cui il socio faccia valere in giudizio la mancata percezione degli utili come derivante da diversi comportamenti di gestione tenuti dall’amministratore, quali ad esempio atti distrattivi, nella quale si è al cospetto di un danno meramente indiretto non risarcibile ai sensi dell’art. 2395 cod. civ., posto che le condotte dell’amministratore ledono in via primaria il patrimonio sociale e solo di riflesso quello del socio.

L’azione di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, sulla legge o su clausole generali, si rilevi carente ab origine del titolo giustificativo, mentre resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.

24 Settembre 2024

Cancellazione dal registro delle imprese e presunzione di estinzione della società

La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese porta a presumere che l’ente sia estinto. Tale presunzione è vincibile dando prova che la società ha continuato ad operare mentre la persistenza di rapporti giuridici attivi e/o passivi non è idonea a superare la presunzione di estinzione dell’ente, tanto più che l’effetto estintivo dell’ente comporta il trasferimento in capo ai soci dei rapporti ancora esistenti.

Il potere di controllo di regolarità formale e qualificatorio dell’atto è esercitato correttamente dal Conservatore del registro delle imprese che abbia iscritto la cancellazione della società in nome collettivo senza liquidazione sulla base della dichiarazione sostitutiva di atto notorio del socio superstite con la quale certificava la mancanza di un residuo attivo e passivo che non lasciava spazio per una fase di liquidazione (nel caso di specie il Giudice del Registro ha respinto il ricorso contro la cancellazione della cancellazione di una società di persone richiesto sulla base di un preteso errore materiale per la mancata liquidazione dell’attivo della società).

26 Febbraio 2024

Morte dell’unico socio accomandatario

Se alla morte del de cuius è venuta meno la pluralità dei soci ex art. 2272, n. 4, c.c. (richiamato direttamente dall’art. 2308 c.c. e indirettamente dall’art. 2323 c.c.) e al contempo non vi sono più i soci accomandatari (art. 2323 .c.c.), queste due autonome fattispecie possono condurre ciascuna allo scioglimento della società in caso di mancata ricostituzione della pluralità dei soci entro il semestre successivo. In caso di concorso tra cause di scioglimento del singolo rapporto sociale e cause di scioglimento della società diverse da quella prevista dall’art. 2284 c.c., prevale quella verificatasi e perfezionatasi per prima.

Le due disposizioni di cui agli artt. 2284 e 2272, n. 4, c.c. risultano compatibili, visto che la loro operatività si svolge su piani diversi e che ciascuna di esse conserva un proprio ambito applicativo.  Pertanto, anche in caso di morte del socio in una società costituita da due soli soci rimangono comunque attivabili tutte le opzioni previste dall’art. 2284 c.c. Ove i superstiti optino per lo scioglimento della società, su tale decisione gli eredi, o legatari, del de cuius non possono incidere, giacché la loro posizione non è quella di soci, non essendo subentrati in tale veste al de cuius, ma di meri creditori della quota di liquidazione del loro dante causa. In tale ipotesi, quindi, cessa immediatamente il diritto a vedersi liquidata la quota del proprio dante causa nell’arco dei sei mesi dalla sua morte, e al fine di conseguire il valore di detta quota essi dovranno necessariamente attendere la conclusione delle operazioni relative alla liquidazione della società. In tale sede gli eredi del socio defunto, unitamente ai soci superstiti, potranno partecipare alla divisione dell’eventuale attivo, quale residuerà dopo l’estinzione di tutte le passività sociali. Invero, il diritto alla liquidazione della quota rimane attratto nel più esteso ambito della liquidazione della società, prodotta da tale scioglimento, e nella relativa sede è tutelabile. Gli eredi non assumono tuttavia la qualità di soci della società in liquidazione, partecipando solo alla distribuzione dell’eventuale attivo e, dunque, per converso, non dovendo anticipare le spese di liquidazione.

Il prezzo della compravendita è tale da determinare la carenza di causa del contratto solo laddove sia concordato un prezzo obiettivamente non serio o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. Da ciò consegue che la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, può rilevare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione e operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale.

20 Settembre 2021

Scioglimento della società per irreperibilità del socio amministratore

In caso di società di persone costituita da soli due soci, allorché lo statuto attribuisca il compimento degli atti di ordinaria amministrazione ai soci amministratori congiuntamente, la protratta irreperibilità di uno dei soci amministratori è idonea ad integrare una causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2272, secondo comma, c.c., in quanto, determinando di fatto l’inattività dell’organo sociale, causa l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

23 Settembre 2019

Socio s.a.s. irreperibile. Ammessa la liquidazione giudiziale

L’irreperibilità di uno dei due soci della s.a.s. e il disinteresse di entrambi a proseguire l’attività sociale è equiparabile a uno dei motivi di scioglimento della società ex art. 2272 n.2 cod.civ e, pertanto, giustifica l’adozione del provvedimento giudiziale di messa in liquidazione della società.

Diritto di informazione del socio di srl su società controllate di una società holding

Il perimetro del diritto di informazione del socio sui documenti relativi all’amministrazione della società da lui stesso direttamente partecipata deve intendersi comprensivo di tutta la documentazione “ragionevolmente necessaria ovvero in concreto esaminata/utilizzata per l’esercizio delle proprie funzioni dall’organo amministrativo della società soggetta al potere di ispezione [ LEGGI TUTTO ]

21 Gennaio 2019

Sulla nomina del liquidatore da parte del Presidente del Tribunale ex art. 2275 c.c.

A fronte dello stato di liquidazione di una società di persone, inattiva da molti anni, e dell’estraneità di entrambi i soci rispetto alla stessa – situazione questa assimilabile all’ipotesi di scioglimento ex art. 2272, primo comma, n. 2, c.c. –, ricorrono i presupposti per la nomina da parte del Presidente del Tribunale del liquidatore ai sensi dell’art. 2275 c.c., anche considerate le disposizioni del DPR n.247/2004 in tema di cancellazione d’ufficio dal Registro delle Imprese delle società di persone per le quali risulti il mancato compimento di atti di gestione per tre anni consecutivi,

16 Novembre 2018

Dissidio tra soci di s.a.s. e scioglimento della società per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale

Nelle società di persone, il dissidio tra i soci può comportare l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, con conseguente integrazione della causa di scioglimento di cui all’art. 2272, co. 1, n. 2, c.c., allorché il conflitto sia tale da rendere obiettivamente non più conveniente la continuazione dell’attività sociale e conseguentemente inutile e improduttiva la permanenza del vincolo sociale (nel caso di specie, [ LEGGI TUTTO ]

Il dissidio tra soci è causa di scioglimento solo se rende impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale

In una società semplice composta da due soci, il dissidio insanabile tra i consociati può configurare un’ipotesi di scioglimento ex art. 2272, n. 2, c.c. solo qualora impedisca alla società di funzionare e perseguire l’oggetto sociale. Infatti il socio [ LEGGI TUTTO ]