Art. 2289 c.c.
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Scioglimento del vincolo particolare del socio di snc per mutuo consenso nel concorso tra due cause di scioglimento
Pur essendo la società l’unica legittimata passiva rispetto alla azione di impugnazione della delibera di esclusione del socio, non è ravvisabile carenza di legittimazione passiva processuale e sostanziale dei singoli soci convenuti ove l’attore abbia introdotto anche domande di condanna della società e dei soci, quali obbligati in solido ex art 2291 c.c., al risarcimento dei danni conseguenti ai fatti che avrebbero giustificato il recesso dalla società e al pagamento del valore di liquidazione della sua partecipazione sociale; rispetto a queste domande (pagamento del valore di liquidazione della quota e risarcimento danni) legittimata passiva è la società ma non può escludersi anche la legittimazione passiva dei soci superstiti al fine di far valere la loro responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.
Nel concorso tra le due cause di scioglimento del rapporto associativo [nel caso di specie, esclusione e recesso] vi è concorde volontà tra tutti i soci parti del contratto sociale sullo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio uscente; ciò comporta il venire meno di un interesse giuridico attuale all’opposizione con l’assorbimento di ogni questione sulla regolarità formale della decisione dei soci di esclusione.
La liquidazione della quota del socio defunto nelle società di persone
I soci di una s.a.s. possono decidere di riprodurre in statuto il disposto dell’art. 2284 c.c. sia per il caso di decesso del socio accomandatario, sia per il caso di decesso del socio accomandante, con la conseguenza che né gli eredi del socio accomandante, né gli eredi del socio accomandatario subentrano nella posizione del defunto nell’ambito della società, ma hanno diritto solo alla liquidazione della quota del loro dante causa, salvo diverso accordo con gli altri soci in ordine alla continuazione della società. In tal caso, la morte del socio produce, come effetto ex lege, lo scioglimento del rapporto tra tale socio e la società, con conseguente obbligo di liquidazione della quota.
Una volta che il socio superstite abbia optato per l’offerta agli eredi della liquidazione della quota appartenuta al defunto secondo le modalità previste dall’art. 2289 c.c., il diritto di credito degli eredi del socio deceduto è indifferente alle successive vicende della società.
La liquidazione della quota deve essere fatta dalla società, che è l’unico debitore. La società di persone, infatti, ancorché priva di personalità giuridica, è dotata di autonoma soggettività giuridica, quale autonomo centro di imputazione di rapporti attivi e passivi.
L’art. 2284 c.c. fa salva la contraria disposizione del contratto sociale. In particolare, i soci possono introdurre nell’atto costitutivo la clausola di consolidazione; essa prevede che, in caso di morte del socio, la quota del de cuius si accresca in proporzione ai soci superstiti, i quali sono obbligati a liquidare la quota all’erede. Gli elementi essenziali della clausola di consolidazione impura sono pertanto i seguenti: la quota del socio defunto si accresce automaticamente ai soci superstiti, in proporzione alle quote di partecipazione al capitale sociale da ciascuno possedute; i soci superstiti sono obbligati a liquidare la quota agli eredi entro il termine di sei mesi.
L’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento. Spetta pertanto al socio superstite dimostrare quale fosse la situazione patrimoniale, nel giorno in cui si è verificato il decesso, mediante la produzione in giudizio delle scritture contabili della società.
Determinazione del valore della quota del socio defunto tenendo conto della fiscalità latente sulle rettifiche del patrimonio netto
La morte del socio produce come effetto ex lege lo scioglimento del rapporto tra tale socio e la società e fa sorgere in capo agli eredi il diritto di ottenere dai soci superstiti la liquidazione della quota, ossia il diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota, da determinarsi in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (art. 2289 c.c.), ossia in base alla effettiva consistenza della società a tale data. Ne consegue che ai fini della liquidazione della quota si deve tener conto del patrimonio netto rettificato, in aumento o in diminuzione, in funzione delle differenze riscontrabili tra i valori correnti degli elementi dell’attivo e del passivo e i corrispondenti valori contabili.
In ipotesi di rettifiche in aumento degli elementi dell’attivo si deve tener conto degli effetti della fiscalità latente sulle rettifiche apportate. Infatti, se si prende a riferimento il valore del bene nel mercato, non si possono non considerare le passività fiscali che incidono sul valore di quel bene nel mercato, dal momento che nel mercato il valore monetario/economico effettivo ricavabile dal bene è quello che risulta al netto della imposizione fiscale. Ciò determina, pertanto, la necessità di stimare il carico fiscale sulle plusvalenze che emergono in sede di rideterminazione dei valori patrimoniali a valori correnti dei beni sociali. Detta necessità non si fonda su una prognosi circa la possibile/probabile vendita in futuro del bene da parte della società, ma entra in considerazione come un elemento per stabilire a una certa data il valore effettivo di mercato del bene.
Il carico fiscale sulle eventuali plusvalenze che emergono in sede di rideterminazione dei valori patrimoniali a valori correnti, dato dalla c.d. fiscalità latente, va stimato, pur trattandosi di imposte differite e solo potenziali, secondo la normativa fiscale vigente (OIC 25, par. 23), e ai fini del loro ammontare si deve tenere conto anche di fattori contingenti come la previsione di aliquote agevolate.
L’onere di provare il valore della quota del socio defunto grava sui soci superstiti
La situazione patrimoniale di cui all’art. 2289 c.c. non può essere redatta facendo riferimento solo all’ultimo bilancio o, comunque, ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, occorrendo tener conto dell’effettiva consistenza al momento della uscita del socio, sicché, ai fini della determinazione del valore dell’avviamento – la cui rilevanza, quale elemento del patrimonio sociale, si proietta nel futuro, traducendosi nella probabilità, pur fondata su elementi presenti e passati, di maggiori profitti per i soci superstiti – vanno considerati non solo i risultati economici della gestione passata, ma anche le prudenti previsioni della futura redditività dell’azienda.
L’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento.
Applicabilità della clausola compromissoria alla controversia sul valore di liquidazione della quota del socio receduto
La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società, la quale preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, deve ritenersi estesa alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società, sicché il socio, pur receduto, è dunque astretto dal vincolo compromissorio per tutto quanto attiene alle vicende sociali, trattandosi di conflitti che attengono comunque al sodalizio di impresa. La cessazione per qualunque causa del rapporto sociale non comporta l’inapplicabilità nei rapporti tra la società e l’ex socio della clausola arbitrale eventualmente contenuta nello statuto, la quale continua a spiegare i suoi effetti in ordine alle controversie aventi matrice nel contratto sociale, tra le quali devono essere ricompresi i conflitti nascenti dall’esercizio da parte del socio del diritto di recesso.
La controversia attinente alla liquidazione della quota del socio receduto, sebbene sorta successivamente alla sua fuoriuscita dalla compagine sociale, ha ad oggetto un credito che ha la sua fonte nel contratto sociale ed è assoggettata all’efficacia della clausola compromissoria: si tratta, infatti, di contesa attinente alla vicenda estintiva del rapporto sociale rispetto al singolo contraente che, considerata nel suo complesso, a prescindere dall’immediata operatività dello scioglimento del vincolo, ricomprende anche la fase della liquidazione del valore della quota del socio receduto, esaurendosi solo con il pagamento della somma dovuta.
Recesso del socio di s.a.s. e liquidazione della partecipazione
Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell’art. 2289 c.c., e non la quota di liquidazione risultante all’esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto per l’assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l’apertura del secondo.
Il recesso del socio di una s.a.s. è atto unilaterale recettizio, la cui efficacia si produce non appena portato a conoscenza della società e gli effetti della pubblicità legale nel registro delle imprese sono quelli della pubblicità dichiarativa, ex art. 2193 c.c., nei confronti dei terzi e non invece nei confronti della società, che è parte del rapporto sociale. Inoltre, l’iscrizione dell’intervenuto recesso nel registro delle imprese compete all’amministratore nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’art. 2300 c.c.
Per quanto concerne la natura dell’obbligazione di liquidare la quota al socio uscente, avendo ad oggetto, sin dalla sua origine, una somma di denaro, la stessa ha natura di debito non già di valore, bensì di valuta, soggetto, pertanto, al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c., potendo la svalutazione monetaria assumere rilievo solo in mancanza di tempestivo adempimento (da compiersi entro il termine di sei mesi previsto dall’ultimo comma dell’art. 2289 c.c.), con conseguente applicabilità dei principi sul risarcimento del danno da mora debendi. Nel caso in cui il creditore rivesta la qualità di imprenditore commerciale, pur potendosi presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, che la somma dovuta, se tempestivamente pagata, sarebbe stata reimpiegata e così sottratta al deprezzamento della moneta, il creditore ha l’onere di allegare la circostanza che il tasso di svalutazione annuo fosse superiore ed il maggior danno non sia stato assorbito dalla liquidazione degli interessi.
Gli effetti della morte del socio nella società di persone e azioni esperibili dagli eredi del socio defunto a tutela della partecipazione all’attivo finale di liquidazio
Nel caso in cui si verifichi la morte del socio nelle società di persone la legge, all’art. 2284 c.c., prevede tre possibili alternative: (i) lo scioglimento del singolo rapporto con la prosecuzione della società tra i soci superstiti come effetto legale della morte del socio cui consegue ex art 2289 c.c. il diritto degli eredi alla liquidazione del valore della quota alla data dello scioglimento del rapporto di società; (ii) lo scioglimento anticipato della società: si tratta di facoltà rimessa alla decisione dei soci superstiti che deve trovare causa nella morte del socio; in questo caso gli eredi del socio defunto hanno diritto non alla liquidazione della quota del socio defunto ex art 2289 c.c., ma alla quota di liquidazione che gli sarebbe spettata ex art 2282 c.c.; essi restano sempre creditori della società, ma la liquidazione viene condotta cumulativamente con quella degli altri soci, la causa di scioglimento sorta limitatamente al socio deceduto apre in questa ipotesi le porte allo scioglimento di tutta la società, gli eredi avranno un’aspettativa di credito il cui oggetto non è più il valore della quota ex art 2289 co 2 c.c. ma la partecipazione all’attivo finale di liquidazione, senza che gli eredi acquistino la qualità di soci durante la fase di scioglimento; quindi può dirsi che in caso di morte del socio sorge per la società con riferimento alla liquidazione degli eredi del socio defunto una obbligazione alternativa; (iii) la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, scelta cui devono partecipare anche gli eredi del socio deceduto, situazione che esclude alcun credito degli eredi. Gli eredi del socio deceduto nelle prime due opzioni non acquistano mai la posizione del socio defunto nell’ambito della società; di conseguenza, essi non sono legittimati ad esercitarne le prerogative, né partecipano alla fase di scioglimento e di liquidazione, e la salvaguardia della loro posizione di titolari verso la società di un credito trova sede nelle disposizioni a tutela dei terzi e dei creditori sociali, soprattutto con riferimento alle operazioni poste in essere durante la liquidazione che possano compromettere il loro credito.
Determinazione del valore di liquidazione della quota del socio di s.n.c. escluso
Morte del socio e liquidazione della quota agli eredi: criteri di quantificazione
Nella disciplina legale dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio della società di persone, contenuta all’art. 2284 c.c. e applicabile alla società in nome collettivo in forza del richiamo dell’art. 2293 c.c., la morte di uno dei soci determina immediatamente lo scioglimento del vincolo del singolo socio al momento del decesso, ponendo i soci superstiti nell’alternativa tra: (i) continuare fra loro l’attività e liquidare la quota agli eredi del socio deceduto, titolari iure proprio verso la società del diritto di credito ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota del socio defunto al momento del decesso, ai sensi dell’art. 2289 c.c.; (ii) sciogliere la società determinando la perdita del diritto degli eredi del socio defunto alla liquidazione della quota, con la conseguenza che essi saranno costretti a partecipare al procedimento di liquidazione della società; (iii) accordarsi con gli eredi del socio defunto per continuare con loro la società. La disciplina richiamata trova applicazione anche nell’ipotesi di società composta da due soli soci, così che il socio superstite, in mancanza dell’accordo per la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, ha sempre l’alternativa tra l’offerta agli eredi della liquidazione del valore della quota appartenuta al socio deceduto e lo scioglimento anticipato della società.
Una volta che il socio superstite abbia optato per l’offerta agli eredi della liquidazione della quota appartenuta al defunto secondo le modalità previste dall’art. 2289 c.c., il diritto di credito degli eredi del socio deceduto è indifferente alle successive vicende della società, fossero anche lo scioglimento e lo stato di liquidazione derivanti dalla mancata ricostituzione della pluralità di soci.
L’art. 2289 c.c. prevede che nei casi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio la liquidazione in denaro della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. La situazione patrimoniale a cui la norma richiamata si riferisce deve essere rapportata all’effettiva consistenza del patrimonio sociale nel giorno del decesso del socio. Non può, dunque, farsi semplice riferimento all’ultimo bilancio sociale ma deve essere redatta dall’amministratore, tenuto ai sensi dell’art. 2261 c.c. a rendere il conto della gestione, una situazione patrimoniale ad hoc, che rappresenti l’effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto nei confronti del socio.
Nell’ipotesi di mancata redazione o di contestazione della situazione patrimoniale posta a fondamento della quantificazione della quota è onere del socio superstite, a prescindere dal fatto che il defunto fosse o meno socio amministratore, dimostrare quale fosse la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio mediante la produzione in giudizio delle scritture contabili della società. L’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento.
Dal mancato assolvimento da parte del socio superstite dell’onere di provare la situazione patrimoniale della società al momento del decesso del socio il giudice può trarre argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., nella soluzione delle specifiche contestazioni sollevate dall’erede del socio defunto in ordine alle singole poste patrimoniali.
La denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio effettivamente subito dal diritto di difesa in conseguenza della denunciata violazione, così che non può dar luogo a nullità dell’atto processuale la violazione che non abbia in concreto impedito la piena esplicazione del contraddittorio.
Recesso del socio e determinazione del valore della quota: indicazioni metodologiche
La determinazione del valore della quota di capitale sociale del socio recedente da una s.a.s. che svolga attività immobiliare è da effettuarsi, preferibilmente, utilizzando il metodo misto patrimoniale-reddituale con stima autonoma dell’avviamento, che attenua gli effetti derivanti dai limiti dei due metodi puri patrimoniale e reddituale, in modo da valutare il patrimonio inserito in una gestione aziendale nella sua possibilità di produrre reddito futuro.