Art. 2352 c.c.
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Mancata convocazione del socio la cui partecipazione è sottoposta a sequestro preventivo penale
La deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale di una società per azioni, che sia stata assunta con violazione del diritto di opzione, non è nulla, ma meramente annullabile, in quanto tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilità.
Il sequestro preventivo penale, ex art. 321 c.p.p., di quote o azioni di una società di capitali, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento che lo dispone, priva i soci dei diritti relativi alle quote o azioni sequestrate, sicché il diritto di intervento e di voto nelle assemblee spetta al custode designato in sede penale. L’attribuzione al custode del diritto di voto implica che soltanto a costui sia altresì riservata la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari al fine di ottenerne l’annullamento ai sensi dell’art. 2377 c.c., stante la strumentalità del diritto di impugnazione rispetto a quello di voto, quale esplicazione del medesimo inscindibile potere che si esprime nel concorrere alla formazione della volontà assembleare e nel reagire alle eventuali manifestazioni illegittime di detta volontà.
Diritto di intervento e di voto relativamente a quote di s.r.l. sequestrate
Con il sequestro delle quote il diritto di intervento e di voto in assemblea spetta al custode (artt. 2471 bis e 2352 c.c.); pertanto, il custode/amministratore delle quote totalitarie ha piena legittimazione non solo a convocare l’assemblea, ma anche a prendervi parte e ivi esprimere la volontà dell’assemblea in carica in luogo del socio.
La regola dell’incidenza della giusta causa di revoca solo sul piano risarcitorio e della correlata piena libertà dell’assemblea di revocare gli amministratori in ogni momento, prevista dall’art. 2383, co. 3, c.c. in tema di s.p.a., è applicabile in via analogica alla s.r.l.
Violazione del diritto di prelazione; presupposti e finalità del sequestro giudiziario di azioni
La violazione del diritto di prelazione previsto nello statuto non comporta la nullità del trasferimento né, tanto meno, l’assegnazione delle azioni oggetto di trasferimento al socio pretermesso. Con l’inserimento della clausola di prelazione nell’atto costitutivo si attribuisce alla medesima, al pari di qualsiasi altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente, anche un valore rilevante per la società. Induce a siffatta conclusione il rilievo che clausole, come quelle di prelazione o di gradimento, sono senza dubbio finalizzate dalla volontà dei soci, secondo quanto i medesimi valutino più adatto alle esigenze dell’ente, ad incidere sul rapporto tra l’elemento patrimoniale e quello personale della società, accrescendo il peso del secondo rispetto al primo. Ne discende che le clausole in questione, venendo ad assolvere anche ad una funzione specificamente sociale, atteso il loro inserimento nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente, cessano di esser regolate dai soli principi del diritto dei contratti, per rientrare, invece, nell’orbita più specifica della normativa societaria. Infatti, alla clausola statutaria di prelazione deve attribuirsi efficacia reale, i cui effetti sarebbero opponibili anche al terzo acquirente. Ad ogni modo, la realità della clausola non può condurre alla nullità del trasferimento operato in violazione del patto di prelazione, non versandosi in ipotesi di violazione di norma imperativa, né alla declaratoria di nullità per impossibilità dell’oggetto per indisponibilità della partecipazione ceduta; al contrario, può condurre unicamente ad una pronuncia d’inefficacia del trasferimento in favore del socio pretermesso e/o della società. Più in particolare, la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, secondo i principi generali in tema di inadempimento delle obbligazioni. La violazione della clausola statutaria di prelazione non comporta in favore del socio pretermesso anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela prevista dalla legge in specifici casi da reputarsi tassativi.
I presupposti per l’emanazione di un provvedimento di sequestro giudiziario sono il fumus boni juris e il periculum in mora, specificamente tipizzati dall’art. 670 c.p.c. In particolare, il sequestro giudiziario è ammissibile tutte le volte in cui ricorra la necessità di garantire l’attuazione di futuri provvedimenti di tutela giurisdizionale, tenuto conto della particolare correlazione esistente tra l’oggetto del sequestro e l’oggetto della pretesa che viene dedotta nel giudizio di merito.
In ordine al fumus boni juris della domanda di sequestro, si richiede l’esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale di un’azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (c.d. jus in re), nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta (c.d. jus ad rem). Il sequestro giudiziario, pertanto, è incompatibile con le azioni di accertamento o costitutive. Le finalità per cui l’ordinamento prevede l’autorizzazione al sequestro giudiziario di beni sono individuate, infatti, nell’assicurare la fruttuosità ed utilità pratica dell’esecuzione coattiva di un futuro provvedimento decisorio, mediante la consegna o il rilascio di quegli stessi beni sui quali è stato autorizzato e posto il vincolo.
Il secondo presupposto per la concessione del sequestro giudiziario è rappresentato dall’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione dei beni di cui si chiede il sequestro. Ed invero, il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario ove sussista il timore che la durata del processo possa incidere sulla conservazione del bene, dovendosi, peraltro, precisare che la nozione di conservazione nel sequestro giudiziario, a differenza di quanto accade per il sequestro conservativo, non si sostanzia necessariamente nel pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo invece sufficiente, ai fini della opportunità della cautela, che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determini una situazione tale che, al termine della lite, la parte istante, ove risulti essere vittoriosa, non riuscirebbe a ottenere il vantaggio spettante, vedendo così pregiudicata l’attuazione del diritto controverso.
È inammissibile per difetto di strumentalità il sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. di azioni nel caso in cui nel giudizio di merito non sia stata proposta una domanda di restituzione delle azioni. La finalità del sequestro giudiziario è, infatti, quella di assicurare l’utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio e la fruttuosità della sua esecuzione coattiva mediante la consegna o il rilascio forzati di quegli stessi beni su cui è stato autorizzato e posto il vincolo; un’azione di accertamento e/o costitutiva relativa alla illegittimità di una delibera e degli atti ad essa conseguenti non è compatibile con il sequestro giudiziario.
Esecuzione del sequestro conservativo di azioni di s.p.a, istanza di riduzione del sequestro e nomina del custode delle azioni
Le modalità di esecuzione del sequestro conservativo di azioni di s.p.a. variano a seconda della circostanza che le azioni siano state emesse o meno. Nel caso di azioni incorporate in titoli effettivamente emessi dalla società, vengono in considerazione gli artt. 1997, 2022, 2024 c.c. e 3, co. 1 e 3, del r.d. n. 239/1942. Nel caso di azioni non emesse, ferma restando la loro sequestrabilità (pacificatamene desumibile dal disposto dell’art. 2352), la legge non detta una particolare disciplina esecutiva. Questa lacuna può essere colmata, stante la similitudine sussistente tra azioni non emesse e quote di s.r.l. (entrambe partecipazioni in società di capitali non incorporate in supporto cartolare e non dematerializzate), attraverso l’applicazione dell’art. 2471, co. 1, c.c., nella parte in cui prevede che il pignoramento venga eseguito mediante notificazione al debitore e alla società (non è invece applicabile la parte relativa all’iscrizione del vincolo nel registro delle imprese, che è propria del regime dell’efficacia del trasferimento nei confronti della s.r.l. e che non trova riscontro nella disciplina delle s.p.a.). Con riferimento alle azioni di s.p.a. non emesse, il sequestro conservativo dovrà essere eseguito con ingiunzione ex art. 492 c.p.c. da notificare sia al socio debitore che alla società, salvo l’obbligo degli amministratori di annotare il vincolo a libro soci ai fini dell’opponibilità ad eventuali successivi acquirenti.
L’eventuale irregolarità della fase di attuazione del sequestro conservativo non determina senz’altro l’inefficacia del provvedimento autorizzativo del sequestro prevista dall’art. 675 c.p.c. Tale perenzione, infatti, consegue solo ad una vera e propria inerzia della parte interessata, consistente in comportamenti meramente omissivi e di radicale mancata esecuzione. Pertanto, al fine di evitare l’inefficacia del sequestro sancita dall’art. 675 c.p.c. è sufficiente dare inizio all’esecuzione nel termine di 30 giorni (e ciò anche laddove l’esito sia infruttuoso e venga redatto verbale negativo di sequestro).
Per ottenere una riduzione del sequestro di azioni, il ricorrente ha l’onere di dimostrare la sussistenza dell’eccessività della misura cautelare subita e di fornire la prova del fatto che il valore dei beni sottoposti al vincolo eccede i limiti fissati dal giudice. A tali fini, deve essere considerato il valore reale e non meramente nominale delle azioni. Ciò perché il sequestro conservativo, mediante la conversione in pignoramento, è funzionale all’esecuzione forzata quale forma di soddisfazione coattiva ed effettiva del credito. Si deve aggiungere che una procedura esecutiva avente ad oggetto la vendita di azioni di società di capitali chiusa comporterebbe con ogni probabilità un loro consistente deprezzamento.
In caso di sequestro conservativo su quote di partecipazione societaria la competenza alla nomina del custode va riconosciuta, ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c., in capo al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare di sequestro, il quale provvede su espressa istanza di nomina di una delle parti.
Nullità e abuso del diritto di pegno su partecipazioni sociali
La nullità del pegno per violazione del divieto di patto commissorio non può che derivare da un vizio genetico dell’atto costitutivo di una garanzia che sia congegnata in modo tale da attribuire al creditore la proprietà del bene vincolato nell’ipotesi di inadempimento con modalità che espongano il debitore al rischio di perdere un bene di valore superiore al credito. Come tale, deve necessariamente emergere dall’analisi del contenuto delle pattuizioni negoziali da cui l’effetto sostanziale vietato dalla norma promana, a prescindere dalle modalità di buona o mala fede con cui le parti le abbiano attuate.
L’attribuzione del diritto di voto in assemblea al creditore pignoratizio costituisce elemento connaturale al pegno di partecipazioni sociali specificamente previsto dagli artt. 2352 e 2471 bis c.c., espressione dello spossessamento della peculiare res data in garanzia e non equivale affatto all’attribuzione al creditore pignoratizio di un diritto dominicale sulla partecipazione che possa comportare la violazione del divieto di patto commissorio.
L’abuso del diritto di pegno delineato dall’art. 2793 c.c. presuppone che il creditore pignoratizio nell’esercizio dei diritti derivanti dal possesso della res acquisita in funzione di garanzia ne stia pregiudicando l’integrità ed il valore e, in tema di pegno su partecipazioni sociali, stia, dunque, esercitando il diritto di voto in assemblea in modo tale da pregiudicare l’interesse sociale alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Non è sufficiente a configurare l’abuso del diritto di pegno da parte del creditore la semplice designazione nell’organo amministrativo di componenti di sua fiducia, ma è necessaria anche la prova che costoro stiano tenendo condotte predatorie, lesive dell’integrità del patrimonio sociale, su istruzioni e nell’interesse esclusivo del soggetto che li ha designati.
Sospensione cautelare dell’esecuzione della deliberazione assembleare
La sospensione dell’esecuzione di una delibera assembleare di una società di capitali costituisce una misura cautelare tipica, in quanto espressamente prevista dal terzo comma dell’art. 2378 c.c. e richiede la contemporanea sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris, inteso quale verosimiglianza di fondatezza della domanda, e del periculum in mora, da accertarsi attraverso la comparazione tra il pregiudizio che illegittimamente l’opponente potrebbe subire per effetto dell’esecuzione di una delibera invalida e quello che, legittimamente, potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale esecuzione.
Al fine di valutare la sussistenza del presupposto del periculum in mora, occorre effettuare un bilanciamento tra l’interesse ad agire in via cautelare del socio e quello a resistere della società, al fine di salvaguardare la stabilità degli atti della società adottante il provvedimento, che deve ritenersi essenziale per il buon funzionamento dell’impresa collettiva sul mercato. In particolare, l’interesse della società alla continuità e alla stabilizzazione dell’organizzazione dell’impresa costituisce parte integrante e determinante della suddetta valutazione comparativa.
Iscrizione del trasferimento di quote di s.r.l. nel Registro delle Imprese e diritto di voto
Costituisce principio generale desumibile dalla specifica disciplina dell’efficacia delle vicende traslative della titolarità della quota sociale, prevista dall’art. 2470, co. 1 e 2, c.c. in funzione delle esigenze di certezza e trasparenza dell’organizzazione dell’ente, che, ai fini della corretta individuazione del soggetto legittimato all’esercizio dei diritti sociali nell’ambito endo-societario e, in particolare, all’esercizio del potere di voto in assemblea, rilevi solo l’iscrizione nel Registro delle Imprese del trasferimento, a prescindere dal momento in cui si sia prodotto l’effetto traslativo fra le parti o dalla conoscenza che ne avesse l’organo sociale.
La specifica disciplina dell’art. 2470, co. 1, c.c., secondo cui il trasferimento della partecipazione sociale ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito dell’atto traslativo per l’iscrizione nel Registro delle Imprese, comporta di per sé che in ambito endo-societario la qualità di socio di s.r.l. vada attribuita specificatamente ai soggetti il cui atto di acquisto della partecipazione risulti iscritto nel Registro delle Imprese, senza che tale qualità possa quindi essere contestata, sempre a fini endo-societari, dagli organi sociali in riferimento a vicende di cessione pur realizzatesi tra i soci (o tra i soci e terzi) uti singuli ma non iscritte nel Registro delle Imprese.
La disciplina dell’art. 2470 c.c., co. 1, c.c., in quanto ispirata da esigenze di trasparenza e certezza delle situazione dominicali o organizzative connesse alla partecipazione sociale e genericamente riferita all’effetto del trasferimento della partecipazione sociale nei confronti della società include, in via di interpretazione estensiva, tutte le vicende della quota sociale traslative o costitutive, volontarie o forzose, che incidano con carattere di realità sulla disponibilità della partecipazione e sull’esercizio dei diritti ad essa connessi, oltre che tutte le vicende della partecipazione che, comunque, ammettano all’esercizio dei diritti sociali un soggetto diverso dal titolare. L’interpretazione estensiva della norma richiamata non collide, infatti, con il principio di tassatività delle iscrizioni nel Registro delle Imprese ed è funzionale alle esigenze di pubblicità e certezza delle vicende delle partecipazioni sociali che incidono sensibilmente sull’organizzazione dell’ente.
Anche l’acquisizione a seguito di vendita forzata della partecipazione sociale e la nomina di un custode, ai sensi dell’art. 520 c.p.c., legittimato all’esercizio del diritto di voto in luogo del socio debitore, sono vicende che devono essere iscritte nel Registro delle Imprese affinché possano avere efficacia nei confronti della società. E che anche ai fini della corretta individuazione del soggetto legittimato all’esercizio del diritto di voto in assemblea relativamente alla quota sociale espropriata, debba farsi esclusivo riferimento alle risultanze del Registro delle Imprese in ordine al soggetto che al momento della sua convocazione o riunione rivestiva la qualità di socio o la qualità di un diverso soggetto legittimato ad esprimerlo, ai sensi dell’art. 2471 bis c.c. e dell’art. 2352 c.c.
Legittimazione del custode giudiziario e del socio interveniente nell’azione di sospensiva di delibere assembleari
Spetta soltanto al custode impugnante ex art. 2352 co.1 il potere – intrinsecamente connesso dall’art. 2378 co. 3° c.c. alla notificazione e al deposito della citazione – di provocare la sospensione cautelare della deliberazione impugnata, non potendosi anche sotto tale profilo sostituire a lui e alle sue discrezionali determinazioni al riguardo colui che sia meramente intervenuto ad adiuvandum: atteso che il relativo potere, così come a monte quelli di voto e di impugnazione, spetta necessariamente e soltanto al soggetto cui l’art. 2352 c.c., salvo diversa statuizione nel provvedimento di sequestro, esplicitamente ed esclusivamente li attribuisce.
Delibera assunta con il voto del socio pignorato
Deve ritenersi viziata la delibera assunta con il solo voto del socio, le cui quote sono oggetto di pignoramento da parte di terzi (iscritto presso il Registro delle Imprese) e affidate a custode, da ritenersi unico titolare del diritto di voto ai sensi degli artt. 2352 e 2471-bis c.c.
Esercizio del diritto di consultazione ex art. 2476 c.c. da parte del socio titolare di quote pignorate
La legittimazione del socio privo di incarichi gestori ad esercitare il diritto di controllo della documentazione sociale ex art. 2476 c.c. sussiste anche in presenza di pignoramento delle quote di proprietà dello stesso, data la struttura prettamente individuale del diritto di ispezione, indipendentemente dall’interpretazione della disciplina ex art. 2352 c.c. (richiamata per le S.r.l. dall’art. 2471-bis c.c.) in tema di esercizio del diritto di voto e degli altri diritti amministrativi in caso di pegno e sequestro delle quote.